“Variante inglese”: cosa sappiamo della mutazione di SARS-CoV-2?

La “variante inglese” e l’aumento del tasso di infezione nel Regno Unito

La variante inglese”, soprannominata VUI 202012/01 o B.1.1.7, fa scalpore e spaventa. Rilevata per la prima volta nell’ottobre 2020 e iniziata a diffondersi a dicembre, sembrerebbe essere correlata all’aumento del tasso di infezione nel Regno Unito (Fig. 1).

Cosa sappiamo della nuova "variante inglese"?
Figura 1 – Cosa sappiamo della nuova “variante inglese”?
Fonte immagine: microbiologiaitalia.it

In cosa consiste la “variante inglese”?

La “variante” inglese è definita tale perché frutto di diverse mutazioni che si accumulano nel tempo (a differenza di una singola mutazione che invece non è in grado di generare una variante).

Dunque, le mutazioni riscontrate sono molteplici e interesserebbero la proteina spike/strong> di SARS-CoV-2, essenziale per l’aggancio del virus alla cellula ospite (Fig. 2). Esse sono: A570D, D614G, D1118H, N501Y, P681H, S982A, T716I oltre alle delezioni nelle posizioni 69-70 e 145.

Quelle che però hanno attirato l’attenzione dei principali media riguardano:

  • la mutazione N501Y che, attraverso un cambiamento da asparagina a tirosina, incrementerebbe l’affinità di legame al recettore ACE2 della cellula ospite;
  • la mutazione P681H, adiacente al sito di azione della furina, anch’essa probabilmente implicata nella patogenicità di SARS-CoV-2;
  • le delezioni H60Del e V70Del, potenzialmente capaci di eludere il sistema immunitario.

Inoltre, dalle indagini preliminari è emerso che la variante inglese abbia una trasmissibilità superiore al 70% con un potenziale aumento dell’indice Rt di 0.4.

Da queste caratteristiche nascono le nuove preoccupazioni riguardo la diffusione di varianti virali più efficaci e aggressive.

Le mutazioni a carico di SARS-CoV-2, però, non sono cosa nuova e in generale, le mutazioni virali non dovrebbero stupirci in quanto normale prassi del ciclo vitale di un virus che evolve nel tempo.

Rappresentazione schematica di SARS-CoV-2. La "variante inglese" presenterebbe mutazioni soprattutto a carico della proteina spike
Figura 2 – Rappresentazione schematica di SARS-CoV-2. La “variante inglese” presenterebbe mutazioni soprattutto a carico della proteina spike
Fonte immagine: unisr.it

Cosa succede in Italia?

Secondo una nota del ministero della Salute, la variante inglese sarebbe stata isolata e sequenziata anche in Italia dal Dipartimento Scientifico del Policlinico Militare del Celio che sta collaborando con l’istituto Superiore di Sanità.

Nel frattempo, dunque, l’Italia ha bloccato i voli con la Gran Bretagna fino al 6 gennaio.

I nuovi vaccini funzioneranno?

Anche in questo caso non abbiamo abbastanza prove per poter affermare che i vaccini siano “inefficaci” contro la variante inglese.

Nel frattempo, l’Agenza europea per i medicinali (EMA) ha dato l’ok al vaccino anti-Covid Pfizer-BioNTech (Fig. 3).

“Al momento non ci sono indicazioni che il vaccino non funzionerà contro la variante del Covid” ha comunicato Emer Cooke, direttrice esecutiva dell’Agenzia europea per i medicinali.

D’impatto anche le parole del presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli: “I vaccini determinano la formazione di una risposta immunitaria contro diversi ‘pezzettini’ della proteina spike. Se anche c’è una mutazione in uno, due o tre ‘pezzettini’ della proteina spike, è altamente improbabile che il vaccino possa risultare inefficace”.

 L'EMA dà l'ok al vaccino Pfizer-BioNTech
Figura 3 – L’EMA dà l’ok al vaccino Pfizer-BioNTech
Fonte immagine: adnkronos.com

Come agire

In attesa di maggiori studi, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha stilato alcune norme per il controllo della nuova variante virale:

  • invito per le autorità e i laboratori della sanità pubblica ad analizzare e sequenziare, mediante PCR, gli isolati virali in modo tempestivo;
  • obbligo di notificazione allorquando vengono riconosciuti pazienti positivi alla nuova variante virale e particolare attenzione ai casi di reinfezione;
  • necessità di una buona comunicazione con il pubblico e particolare attenzione alle linee guida per evitare viaggi non essenziali;
  • stretto monitoraggio degli individui vaccinati.

C’è davvero da preoccuparsi?

Non ancora. I dati a nostra disposizione sono pochi per poter affermare con certezza che si tratti di una mutazione tale da rendere SARS-CoV-2 più aggressivo.

Come sempre quindi, vale la regola della pazienza. Niente allarmismi e tempo alla scienza che incessantemente studia per aggiungere tasselli alla conoscenza di un virus ancora tutto da scoprire.

Elena Panariello

Fonti

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

1 commento su ““Variante inglese”: cosa sappiamo della mutazione di SARS-CoV-2?”

  1. Sars-CoV-2 e varianti, cosa si può dire… l’ unica cosa certa è che è molto difficile avere certezze e, prima si isolano le persone portatrici e gli eventuali focolai, più l’infezione può essere contenuta. Tutti noi noi speriamo che i dati diventino sempre più attendibili, basati su una attenta analisi dei casi e non su illazioni per manie di protagonismo. Apprezziamo il lavoro attento e puntuale dei ricercatori, che lavorano nei loro laboratori, senza cercare di stupire, ma dando il loro serio contributo a questa grave pandemia. Se avessi un’altra età sarei in prima linea.
    Grazie a tutti coloro che ci aiutano a fare chiarezza.

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