Vaccino a mRNA contro HIV: al via lo studio clinico

Un anno dopo la comparsa del virus SARS-CoV-2 , sono iniziate le prime somministrazioni del vaccino – un tempo record, grazie alla tecnologia dei vaccini a RNA messaggero (mRNA) . Molti scienziati ritengono che questa metodica, che hanno iniziato a studiare a partire dagli anni Novanta, potrebbe funzionare anche contro malattie diverse. Abbiamo già parlato dei vaccini a mRNA per combattere il cancro o la malattia di Lyme. Sono in fase di sperimentazione anche vaccini contro Zika, il citomegalovirus, l’influenza e altri virus.

Moderna, l’azienda biotech produttrice di uno dei primi vaccini contro SARS-CoV-2, aveva annunciato nel 2020 l’intenzione di realizzare un vaccino contro l’HIV, il virus responsabile dell’AIDS (Sindrome da immunodeficienza umana acquisita). Poco più di un anno dopo, l’azienda, in collaborazione con l’organizzazione no-profit International Aids Vaccine Initiative (Iavi), ha iniziato a somministrare le prime dosi di vaccino in uno studio clinico di fase 1. È solo il primo passo verso la validazione clinica del farmaco, ma consentirà di valutare il suo profilo di sicurezza e stabilire la dose su poche decine di volontari sani.

Vaccino per HIV, un percorso a ostacoli

L’AIDS oggi fa meno paura che in passato, ma resta una minaccia per la salute globale, con circa 37 milioni di soggetti colpiti nel mondo. In Italia, dall’inizio dell’epidemia, nel 1982, a oggi sono stati segnalati 71.591 casi di AIDS, di cui oltre 46 mila deceduti fino al 2018. Nel 2020 sono stati diagnosticati 352 nuovi casi di AIDS pari a un’incidenza di 0,7 nuovi casi per 100.000 residenti (dati dell’Istituto Superiore di Sanità). Un vaccino contro l’HIV, il virus responsabile della malattia, non esiste ancora. La ricerca in questo campo non si è mai fermata, ha conosciuto parziali successi, ma anche clamorosi fallimenti.

Proprio l’anno scorso, gli esperti dei National Institutes of Health statunitensi hanno bloccato la sperimentazione di un vaccino contro l’HIV, testato in Sudafrica su 5000 persone. Nonostante i risultati di laboratorio, i vaccinati hanno contratto il virus con la stessa frequenza dei non vaccinati. Pochi mesi fa, una brutta notizia anche dalla Johnson & Johnson, altra azienda produttrice di un vaccino anti-COVID. La J&J aveva iniziato nel 2017 la sperimentazione di un candidato vaccino contro l’HIV su 2.600 donne tra Sudafrica, Malawi, Mozambico, Zimbabwe e Zambia. A differenza di altri, da questo studio sono emerse tracce di efficacia, calcolata al 25%: troppo bassa per proseguire. Lo stesso destino era toccato nel 2009 al vaccino Alvac/Aidsvax, testato in Thailandia su oltre 16.000 volontari. Con una efficacia intorno al 30%, anche questo progetto aveva fallito.

Il serbatoio latente del virus

Lo sviluppo di un vaccino efficace contro il virus HIV, dunque, appare estremamente complesso. Viene da chiedersi perché siamo riusciti in così poco tempo a realizzare un vaccino contro un virus sconosciuto come SARS-CoV-2, mentre non sono bastati 40 anni per avere un vaccino anche solo parzialmente efficace contro l’AIDS. Ma il paragone, in verità, ha poco senso. I due virus sono molto diversi, e quello dell’HIV sfrutta una strategia particolarmente subdola e ingegnosa per replicare nelle cellule umane.

Appartiene a un gruppo di virus noti come retrovirus, così chiamati perché hanno un genoma a RNA. I retrovirus possiedono anche un enzima, la trascrittasi inversa, che crea una copia di DNA a partire dall’RNA virale. Questa copia si inserisce, con l’aiuto di altri enzimi, nel genoma della cellula ospite: da questo momento in poi, non parliamo più di particelle virali indipendenti e separate. I geni del virus sono ormai una parte integrante del DNA della cellula, possono essere trascritti in RNA e tradotti in proteine al pari dei geni umani.

Le copie di DNA virale possono restare nascoste all’interno delle cellule ospiti per molti anni. Anche se il virus scompare dal sangue, non c’è modo di eliminare questo serbatoio latente: il sistema immunitario non lo vede e le terapie tradizionali non hanno effetto, perché non replica. I soggetti sieropositivi possono trascorrere molti anni, o anche tutta la vita, in assenza si sintomi. Ma non possono mai smettere di assumere farmaci perché il virus dormiente potrebbe riprendere a moltiplicarsi.

Il tasso di mutazione

L’altro aspetto del virus HIV che lo rende così sfuggente è il tasso di mutazione particolarmente elevato. A ogni ciclo di replicazione, il virus commette “errori” nella copiatura del suo materiale genetico, generando numerose varianti. Quest’anno abbiamo sentito spesso parlare di varianti in riferimento a SARS-CoV-2, ma nessuna, neanche la più recente Omicron, elude completamente la protezione dei vaccini. L’HIV, invece, ha un tasso di mutazione fino a 4 volte maggiore. Le proteine di superficie del virus, il bersaglio naturale di un vaccino, possono essere molto diverse tra un ceppo e l’altro, per oltre il 30%. In queste condizioni, è molto probabile che gli anticorpi sviluppati contro un ceppo perdano rapidamente efficacia contro gli altri ceppi.

Gli anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro

A fronte degli ostacoli e delle numerose battute d’arresto, la comunità scientifica non si è arresa. Poiché nessun paziente guarisce completamente dall’HIV, non conosciamo con esattezza la caratteristiche di una reazione immunitaria in grado di sconfiggere il virus. Sappiamo però che alcuni pazienti sviluppano degli anticorpi capaci di neutralizzare il virus, anche ceppi diversi. La presenza di questi anticorpi non è indice di guarigione, poiché si sviluppano solo dopo molti anni e non possono comunque eliminare il virus latente.

Gli esperimenti hanno però dimostrato che potrebbero avere un ruolo nella profilassi, poiché bloccano l’infezione nei modelli animali. Un candidato vaccino, dunque, dovrebbe indurre anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro, che possono cioè neutralizzare ceppi diversi di HIV perché si legano a siti del virus che non variano molto da ceppo a ceppo. Nel 2020, erano in corso almeno 5 studi clinici di fase 2 e 3 per vaccini o anticorpi contro l’HIV.

Un vaccino a mRNA contro HIV?

La tecnologia dei vaccini a RNA messaggero potrebbe oggi dare una nuova spinta alla ricerca di un vaccino contro l’HIV. È di questo parere, ad esempio, il virologo Paolo Lusso, capo del laboratorio di patogenesi virale al National Institutes of Health di Washington. In un’intervista a Repubblica il ricercatore ha spiegato che “con il vaccino mRNA noi passiamo alle nostre cellule le istruzioni per produrre gli antigeni, ovvero le proteine virali da cui il sistema immunitario imparerà a difendersi. Nel caso del vaccino per l’HIV, il fatto che gli antigeni siano fabbricati proprio dalle nostre cellule invece che arrivare dall’esterno fa sì che questi antigeni abbiano esattamente le stesse, eterogenee,  “decorazioni” che verranno poi prodotte dal virus vero e proprio durante un’infezione futura”. Lusso, in collaborazione con Moderna, sta sperimentando un vaccino a mRNA contro l’HIV, che ha già dimostrato di indurre anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro negli animali.

Al via lo studio clinico di fase 1

Sempre Moderna, in collaborazione con l’organizzazione di ricerca scientifica no-profit International aids vaccine initiative (Iavi), ha annunciato in questi giorni di avere iniziato a somministrare le prime dosi di un altro vaccino contro l’HIV, mRNA-1644, in uno studio clinico di fase 1. Il vaccino contiene le molecole di RNA messaggero che trasportano le istruzioni per produrre le proteine dell’involucro virale di HIV. Allo studio clinico Iavi G002 parteciperanno 56 volontari, che riceveranno una o due dosi di vaccino. Dopo l’ultima vaccinazione, tutti i partecipanti saranno monitorati per sei mesi. Lo scopo è valutare il profilo di sicurezza del vaccino e testare la risposta del sistema immunitario, in particolare quella dei linfociti B, che producono gli anticorpi neutralizzanti.

Questo vaccino, in verità, non è del tutto nuovo. La sua sperimentazione era iniziata nel 2018, con lo studio clinico Iavi G001, ma sotto un’altra veste. Stesso antigene, ma diversa formulazione: non mRNA, ma subunità proteiche. Iavi in collaborazione con lo Scripps Research Institute statunitense aveva dato il via allo studio clinico di fase 1 con risultati più che soddisfacenti: il 97% dei soggetti aveva sviluppato una risposta dei linfociti B contro l’antigene del vaccino.

Poi c’è stato il COVID, che ha aperto la strada ai nuovi vaccini a mRNA. Studiati da oltre 30 anni nei laboratori di tutto il mondo, finalmente hanno dimostrato la loro efficacia sul campo, in una situazione di profonda emergenza. Moderna e Iavi hanno dunque realizzato un vaccino basato sullo stesso antigene di quello testato quattro anni fa, ma composto da RNA messaggero. “Data la velocità con cui possono essere prodotti i vaccini con questa tecnologia” – sottolineava Iavi nel comunicato stampa – “la piattaforma avrebbe offerto un approccio più agile e reattivo alla progettazione dei vaccini, con un notevole risparmio di tempo in fase di sperimentazione”.

Fonte

IAVI and Moderna launch trial of HIV vaccine antigens delivered through mRNA technology. iavi.org

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