SARS-CoV-2: vecchie e nuove varianti

Il virus SARS-CoV-2 e l’insorgenza delle varianti

Il virus SARS-CoV-2 appartiene alla famiglia dei coronavirus, una famiglia di virus nota per essere potenzialmente in grado di causare pandemie.

Il virus SARS-CoV-2 appartiene alla famiglia dei coronavirus, una famiglia di virus nota per essere potenzialmente in grado di causare pandemie.
Figura 1: Virus SARS-CoV-2

SARS-CoV-2 causa principalmente una malattia di tipo respiratorio, detta “sindrome respiratoria acuta grave” (da qui l’acronimo “SARS”).

Generalmente i pazienti che manifestano sintomi più gravi sono persone anziane di età superiore ai 60 anni e quelle con patologie preesistenti.

La trasmissione avviene per via aerea, tramite secrezioni respiratorie e goccioline, ed è estremamente rapida. È proprio a causa dell’elevata trasmissione in ambiente comunitario, in concomitanza con altri fattori, che si promuove l’insorgenza di mutazioni nel virus.

Nonostante molte mutazioni non siano significative in termini di fitness del virus, alcune di queste mutazioni conferiscono un vantaggio selettivo al microrganismo in questione, che risulta quindi avere maggior successo nella sopravvivenza e nella replicazione rispetto ad altri ceppi.

Classificazione delle varianti

Durante il 2020 sono emerse alcune varianti di rilievo di SARS-CoV-2 che hanno spinto l’OMS in collaborazione con esperti, istituzioni, ricercatori e autorità nazionali a caratterizzarle in maniera specifica.

Sono quindi state definite due tipi di varianti, in base al rischio potenziale per la salute pubblica globale:

  • Variant of interest (VOI) ovvero una variante del virus che presenta mutazioni potenzialmente in grado di influenzale: trasmissibilità, gravità della malattia, fuga dalla risposta immunitaria e dai sistemi diagnostici attualmente in uso;
  • Variant of concern (VOC) ovvero una variante del virus che comprende le caratteristiche precedentemente elencate per “VOI” ma che è associata maggiormente a: aumento della trasmissibilità, aumento della virulenza, cambiamenti nella presentazione clinica della malattia, diminuzione dell’efficacia delle misure di contenimento e dei metodi diagnostici disponibili attualmente;

È proprio secondo quanto detto fino ad ora che nel mondo sono state identificate molte varianti di questo virus ma quelle più rilevanti, e quindi classificate come VOC, attualmente sono:

  • Variante Alpha (nota anche come B.1.1.7) identificata per la prima volta nel Regno Unito. E’ stato dimostrato come questa sia caratterizzata da maggiore trasmissibilità.
  • Variante Beta (nota anche come B.1.351) identificata in Sudafrica. Sembrerebbe causare l’effetto di “immune escape” nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali.
  • Variante Gamma (nota anche come variante P.1) identificata per la prima volta in Brasile. Sembrerebbe essere caratterizzata da maggiore trasmissibilità e rischio di reinfezione.
  • Variante Delta (nota anche come B.1.617) rilevata per la prima volta in India. E’ stato dimostrato come questa sia caratterizzata da maggiore trasmissibilità (dal 40 al 60% in più) rispetto alla variante Alpha.
  • Variante Omicron (nota anche come B.1.1.529) individuata molto recentemente in Sudafrica. Ancora in fase di studio.

Nuova variante Omicron (B.1.1.529): cosa sappiamo?

La variante Omicron (B.1.1.529) è stata segnalata per la prima volta in Sudafrica il 24 novembre 2021. A richiamare l’attenzione sulla possibilità della presenza di una nuova variante è stato un aumento vertiginoso dei casi di infezione da SARS-CoV-2.

Sono stati quindi sequenziati i ceppi causa delle infezioni delle ultime settimane e la prima infezione causata dalla variante B.1.1.529 proviene da un campione raccolto il 9 novembre 2021.

La nuova variante è caratterizzata da un numero di mutazionei molto elevato collocate nella regione della proteina spike. Numerosi laboratori hanno segnalato che uno dei test molecolari maggiormente utilizzati per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 viene inficiato in uno dei tre geni bersaglio ricercati, quello del gene S, fenomeno noto come “drop-out” del gene S.

Questa negatività al gene S viene utilizzata, per il momento, come metodo per individuare l’eventuale presenza di un ceppo mutato, utilizzando quindi questo sitema come come marker per questa variante.

I campioni in cui è presente il fenomeno del drop-out del gene S vengono quindi sequenziati al fine di confermare la positività alla nuova variante.

Con questo metodo è stato possibile rilevare la presenza della variante in un numero sempre crescente di campioni. Questo delinea il fatto che potremmo essere in presenza di una variante caratterizzata da mutazioni che gli conferiscono un vantaggio in termini di trasmissione, ma è tuttora in fase di studio. Attualmente non esistono evidenze scientifiche per cui i vaccini disponibili non funzionino su questa variante o che B.1.1.529 causi manifestazioni cliniche più gravi.

Fonti

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