Il norovirus: la spada di Damocle dei viaggiatori

Scoperto nel 1972 a seguito di una terribile epidemia nel ’68 in Ohio, 100 volte più contagioso dell’influenza (bastano 10 particelle virali contro le 1000 della seconda), estremamente resistente (tollera fino a 60°C e resiste al cloro), amante dei viaggi e, soprattutto, dei viaggiatori: stiamo parlando del norovirus.

Questo virus ha rappresentato per anni un vero e proprio enigma da risolvere per la comunità scientifica, sia per la difficoltà nello studiarlo (a causa delle dimensioni notevolmente piccole e dell’impossibilità di isolarlo o coltivarlo in laboratorio) che nel diagnosticarlo (per molto tempo è stato riconosciuto solo ed esclusivamente attraverso il dosaggio degli anticorpi nel sangue, oggi sono invece a disposizione marcatori molecolari fecali).

Nonostante evolva spontaneamente verso la risoluzione senza ulteriori complicazioni, ci sono casi in cui questo virus molto aggressivo può essere pericoloso: secondo il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ogni anno sono circa 20 milioni gli americani che lo contraggono, 70mila i ricoveri e quasi 800 i decessi.

Del norovirus si conoscevano già tanto i sintomi (diarrea, vomito, nausea, febbre), quanto la durata (12-48 ore per l’esplosione dell’infezione e 2 giorni circa il decorso), le modalità di infezione (per via aerea od orofecale) e la stagionalità (colpisce prevalentemente in inverno), ma solo un anno fa circa avvenne la vera svolta. Nell’estate dell’anno 2015 infatti la prestigiosa rivista Science pubblicò una ricerca condotta dagli scienziati di genetica molecolare e di microbiologia dell’Università della Florida, che svelava il segreto del funzionamento del norovirus.

Al contrario delle convinzioni di allora, cioè che questo virus attaccasse in primis le cellule epiteliali dell’intestino, i ricercatori scoprirono che il vero bersaglio di questo virus erano le placche di Peyer, cellule del sistema immunitario intestinale ed in particolar modo nell’ileo. Queste placche sono aggregati di linfociti formati da ampi follicoli di cellule B e rappresentano uno dei primi sistemi di difesa dell’organismo contro gli attacchi esterni.

Un’altra notevole scoperta fu che che l’aggressione virale veniva facilitata da alcuni batteri della flora intestinale, detti batteri commensali, a cui il virus si legava e che infettava per sfruttarne i meccanismi enzimatici e replicarsi. Azzerando la flora batterica intestinale nei topi infetti tramite somministrazione di antibiotici per via orale la replicazione del virus diminuiva drasticamente.

Nonostante la comprensione dei punti deboli di questo virus sia ancora agli inizi un primo passo in avanti nella prevenzione lo si deve ad uno studio scientifico condotto di recente dai ricercatori dell’Università di Heidelberg del German Cancer Research Center (DKFZ) e da quelli dell’University of New South Wales in Australia. La ricerca, pubblicato sulla rivista Virology, si concentra sulla capacità del citrato, contenuto nel succo di limone, di agire come una sorta di disinfettante legandosi e inattivando le proteine di superficie del norovirus.

Fonti: Centers for Disease Control and Prevention, Science e Virology.

Laura Tasca

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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