Dopo la missione spaziale che ci ha visti protagonisti nella lotta all’osteoporosi, la ricerca italiana si tinge ancora una volta di azzurro, con l’Ateneo federiciano che torna a essere in prima linea contro il COVID-19.
Un team di ricercatori, coordinato dal professor Bruno Trimarco, in collaborazione con l’Albert Einstein University di New York City e l’Ospedale Cotugno di Napoli, ha sperimentato l’utilizzo dell’aminoacido L-arginina come nuova strategia terapeutica, da implementare a quelle standard (principalmente di supporto), e sempre valide, nei pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2.
L-arginina nei pazienti COVID-19
L’intuizione è frutto della conoscenza del decorso clinico della malattia da coronavirus 2019. In letteratura è, infatti, ormai noto che il virus SARS-CoV-2 infetta l’ospite utilizzando il recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), espresso in diversi organi, quali polmone, cuore, rene, intestino, e sulle cellule dell’endotelio, tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni, linfatici e del cuore, nonché bersaglio cardine nel processo di infezione del virus.
Le evidenze cliniche e precliniche dimostrano che proprio la disfunzione endoteliale che ne segue, sia uno dei principali meccanismi scatenante lo sviluppo della patologia grave da COVID-19. In particolare, sono stati riscontrati ridotti livelli plasmatici di L-arginina insieme a una maggiore attività dell’arginasi (enzima che catalizza, in una reazione di idrolisi del Ciclo dell’Urea, la conversione dell’arginina in ornitina), in pazienti COVID-19, soprattutto nelle forme più gravi della malattia.
Lo studio clinico
I ricercatori hanno così ipotizzato di poter agire sulla disfunzione endoteliale incrementando i livelli di L-arginina, nei pazienti ricoverati con ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) grave, poiché convertita in ossido nitrico nell’organismo umano, è questa una molecola che promuove la vasodilatazione (aumento del calibro dei vasi sanguigni), favorendo un miglior flusso di sangue.
Lo studio clinico, randomizzato, in doppio cieco e controllato verso placebo, ha coinvolto 101 pazienti, cui sono stati somministrati 1,66 g di L-arginina (o placebo) due volte al giorno per via orale. Da una prima analisi ad interim, si evince che i pazienti trattati con L-arginina, abbiano mostrato una degenza ospedaliera significativamente ridotta rispetto ai pazienti cui è stato somministrato il solo placebo.
Dopo 10 giorni dall’inizio della terapia, il 71,1% dei pazienti nel gruppo L-arginina e 44,4% nel gruppo placebo (p < 0,01) ha ridotto il supporto respiratorio; ergo, è stato possibile concludere che L-arginina abbia davvero un ruolo cruciale nel migliorare la disfunzione endoteliale, poiché è evidente che l’aggiunta di L-arginina alla terapia standard, nei pazienti ricoverati in unità sub-intensiva per COVID-19, sia in grado di ridurre, oltre che la durata del ricovero, anche l’assistenza respiratoria rispetto ai pazienti trattati con la sola terapia standard.
Discussione
Gli eccellenti risultati ottenuti mirano ad un prosieguo dello studio con un numero complessivo di pazienti pari a 300. Ad alimentare l’entusiasmo sono stati anche i rari casi di eventi avversi gravi segnalati, ma non correlati – secondo i ricercatori – al trattamento in studio con L-arginina, il ché ci consente di aggiungere un ulteriore tassello in questa ardua sfida, con cui facciamo i conti da quel “lontano” marzo 2020; un tassello che potremo (forse) inserire alla voce “cura”.
Teresa Cantone