Introduzione
In natura esistono comunità microbiche, chiamate biofilm, nelle quali le singole cellule sono adese ad una superficie mediante sostanze polimeriche extracellulari (EPS). I batteriofagi (anche detti fagi) sono “predatori” naturali dei batteri e rappresentano l’entità biologica che pare essere più diffusa sul pianeta Terra. Le interazioni tra batteri e fagi sono davvero complesse e particolari, e in effetti non è ancora ben chiaro il ruolo dei fagi nel modellare la diversità batterica in questi microambienti. I test di infezione in vitro o ex vivo, affiancati a simulazioni computazionali, possono comunque essere utili a comprendere meglio queste interazioni naturali.
I meccanismi alla base del rapporto fagi-batteri all’interno dei biofilm sono molto diversificati, così come i metodi di studio utili ad indagare sulle potenziali applicazioni dei fagi per il controllo dei biofilm. In questo articolo si andrà ad approfondire gli aspetti sopracitati.
Le strutture fagi-batteri
Fagi e biofilm sono presenti in ogni tipo di ambiente. Il rapporto fagi-batteri è stato sicuramente fondamentale per ottenere l’enorme diversità fenotipica e genotipica del mondo microbico. Questo particolare legame può portare ad effetti che possiamo definire negativi, dovuti alla difesa che i batteri devono sviluppare contro l’attacco dei fagi, ma anche ad effetti positivi che questi possono avere sugli ospiti batterici.
In Figura 1 riportiamo un esempio di struttura caratterizzata da fagi e batteri.
L’alone azzurro chiaro in figura rappresenta la sostanza adesiva utilizzata dai batteri per aderire alla superficie (EPS) e creare un ambiente favorevole allo sviluppo della comunità. Sono poi rappresentati tre tipi di cellule che costituiscono la comunità microbica: le cellule colorate in verde chiaro sono metabolicamente attive, quelle di colore verde scuro possono essere definite come dormienti e, da ultimo, quelle colorate in rosso risultano resistenti all’attacco dei fagi. Inoltre, sono rappresentate alcune molecole rilasciate dai batteri, vescicole di membrana esterna, anche dette OMV (Outer Membrane Vesicles), in grado da ingannare i fagi che andranno a legare queste molecole piuttosto che attaccare le cellule batteriche.
Interazione fagi-biofilm
La forma di attacco più utilizzata dai fagi per l’infezione batterica è quella legata alla codifica di enzimi in grado di degradare sostanze polimeriche tra cui polisaccaridi capsulari, esopolisaccaridi o lipopolisaccaridi. Questi enzimi prodotti dai fagi, detti depolimerasi, sono responsabili della distruzione delle capsule batteriche e permettono quindi l’ingresso del fago all’interno della cellula. Inoltre, possono influenzare rottura della matrice.
Questo fenomeno di rottura facilita la diffusione dei fagi all’interno del biofilm e determina una maggiore probabilità di attacco di batteri bersaglio. In sostanza, questi enzimi hanno proprietà antibiotiche, che possono anche essere potenziate da altri enzimi, detti endolisine. Le endolisine, come osservato in uno studio su biofilm di Staphylococcus aureus, vengono prodotte dai fagi stessi e sono responsabili della degradazione di peptidoglicani.
Come sfuggono i batteri alla predazione fagica?
Ad oggi, l’analisi genotipica ha rivelato la presenza di batteri che hanno modificato le loro strutture recettoriali associate ai fagi al fine di evitare l’infezione. Tuttavia, sono sicuramente presenti sistemi di segnalazione o sistemi straordinari come quello CRISPR-Cas.
È noto che la comunicazione batterica si basa su varie molecole tra cui alcune definite autoinduttori. Queste regolano l’espressione genica in risposta alle variazioni della densità della popolazione secondo un meccanismo chiamato quorum sensing (QS, Fig.2). Quest’ultimo può modulare l’espressione dei recettori dei fagi nella superficie delle cellule batteriche, quindi può anche modulare e ridurre l’assorbimento dei fagi, così come è stato osservato in Vibrio anguillarum.
I sistemi CRISPR-Cas, invece, forniscono ai batteri un secondo sistema di difesa e quindi un’immunità adattativa contro elementi genetici invasivi, tra cui fagi.
Nel biofilm coesistono batteri resistenti e batteri sensibili ai fagi. Quando le cellule resistenti ai fagi sono rare nel biofilm, le cellule suscettibili vengono eliminate dai fagi e conseguentemente il numero di cellule resistenti ai fagi aumenterà. Quindi le cellule suscettibili rimanenti saranno protette dall’esposizione ai fagi attraverso l’immobilizzazione dei fagi nei cluster di cellule resistenti.
Metodi di studio del biofilm
Non esistono protocolli standardizzati e appropriati per simulare biofilm reali in condizioni di laboratorio. Si riconoscono metodi “comunemente utilizzati per formare biofilm”.
Modelli in vitro
Si utilizzano piastre di microtitolazione che garantiscono buoni risultati ad un basso costo. Il problema di questo metodo risiede nella difficoltà di rapportare i dati ottenuti alla realtà, quindi alla formazione del biofilm in precisi contesti ambientali, clinici, alimentari o veterinari. Infatti, i biofilm che si formano in condizioni reali sono associati a vari tipi di sollecitazioni, quindi flussi di aria/liquido che i dispositivi di laboratorio non riescono ad imitarli in modo fedele.
In riferimento a ciò, si preferisce l’uso di dispositivi più avanzati come celle di flusso, reattori a goccia, dispositivi Robbins modificati e i dispositivi rotanti per biofilm. Questo porta ad una notevole differenza nella qualità dei risultati: in condizioni statiche si osservano biofilm sottili e poco strutturati, mentre quando i biofilm crescono in dinamiche sono altamente organizzati con microcolonie formanti una fitta rete.
Un’altra caratteristica importante è inerente all’effetto dei mezzi di coltura sulla struttura del biofilm e sulle cellule che li caratterizzano. La maggior parte degli studi si svolgono su batteri che crescono in mezzi ricchi. In alcuni studi su Proteus mirabilis formati in brodo Luria-Bertani e in urina artificiale si è osservato che biofilm formati su mezzi ricchi mostravano la tipica struttura a fungo con canali acqua/nutrienti, mentre quelli formati usando l’urina artificiale mostravano una struttura piatta e quasi priva di canali.
Le interazioni fago-biofilm vengono solitamente studiate su biofilm dinamici usando fluidi corporei simulati. Le simulazioni svolte su sezioni di cateteri Foley con cocktail di fagi hanno evidenziato come i dispositivi di formazione del biofilm, le condizioni utilizzate ed i mezzi di coltura interferiscono fortemente con la struttura/composizione del biofilm sia in termini di fagi che batteri presenti.
Modelli ex vivo ed in vivo
I modelli ex vivo prevedono l’uso di tessuti derivati da un organismo vivente in un ambiente artificiale, e permettono quindi un maggior controllo dei parametri di partenza. Gli ostacoli principali sono la mancanza di risposta dell’ospite (umano o animale) e la breve durata degli esperimenti.
L’approccio in vivo è utile ad identificare la patologia dell’infezione confrontando tra loro vari aspetti come le diverse vie di somministrazione dei fagi e l’effetto del dosaggio.
Metodi di studio dell’interazione tra fagi e biofilm
Questi metodi sono utili a valutare la biomassa del biofilm e/o la vitalità delle cellule. Si dividono in modelli basati su colture, molecolari, fisici, chimici, microscopici, computazionali e matematici.
Quelli relativi alle colture si basano sulla determinazione del numero di unità formanti colonie (CFU). Questo metodo si basa su diluizioni seriali di sospensioni batteriche ed è la tecnica più utilizzata per valutare l’efficacia dell’uccisione dei fagi nei biofilm (Fig. 3).
Diversamente, i metodi basati sulla PCR o molecolari possono essere utilizzati per studiare le comunità di biofilm e permettono la quantificazione del numero di cellule vitali. Di solito si utilizza una PCR quantitativa (qPCR). A differenza della determinazione CFU, la qPCR (Fig.2) spesso sovrastima il numero di cellule vitali, poiché i risultati sono influenzati dalla presenza di eDNA e cellule morte.
Per migliorare il conteggio delle cellule del biofilm in termini di precisione, si può considerare la citometria a flusso in combinazione con la colorazione delle cellule batteriche con fluorofori (Fig. 4). Oltre a un conteggio, questo approccio permette anche una valutazione dello stato fisiologico delle cellule e le interazioni fago-biofilm che si svolgono in tempo reale.
I metodi chimici permettono la misurazione indiretta delle caratteristiche del biofilm, attraverso l’uso di coloranti o fluorocromi che possono adsorbire o legarsi alle cellule o ai componenti della matrice. Per esempio, la resazurina e l’XTT sono stati utilizzati per determinare proprio l’effetto dei fagi contro i biofilm.
Esistono varie soluzioni associate alla microscopia per analizzare i biofilm e molti di questi approcci sono già stati utilizzati per esaminare le interazioni fago-biofilm: microscopia a epifluorescenza, CLSM, microscopia elettronica a scansione (SEM) e microscopia a forza atomica.
Infine, i modelli matematici sono potenzialmente utili per una descrizione quantitativa. Usando tali modelli insieme ad un quadro computazionale, sono state sviluppate simulazioni che hanno definito uno stato di equilibrio dell’interazione tra fagi e biofilm strettamente influenzato dalla disponibilità di nutrimento delle cellule del biofilm, dalla probabilità di infezione e dalla capacità dei fagi di diffondersi attraverso i biofilm.
Inoltre, anche la matrice del biofilm può avere un impatto su queste interazioni regolando la coesistenza di preda e predatore nel microambiente del biofilm. Recentemente, nasce “BiofilmQ” ossia un innovativo strumento software di citometria di immagine che permette, anche senza il possesso di competenze di programmazione, la visualizzazione di varie proprietà legate al biofilm.
Utilizzo dei fagi per limitare lo sviluppo di biofilm pericolosi
Spesso si legge dell’applicazione di cocktail composti da fagi che prendono di mira diversi recettori cellulari. Questi vengono utilizzati con antibiotici ed è stata descritta un’elevata efficacia contro i biofilm. La sinergia si verifica perché la lisi batterica associata ai fagi rilascia sostanze nutritive utili a riattivare il metabolismo delle cellule dormienti che diventano sensibili agli antibiotici. La lisi cellulare provoca, simultaneamente, anche una dispersione dell’EPS che migliora la diffusione dell’antibiotico negli strati più interni della matrice costituente in biofilm.
Nel contesto dei dispositivi clinici, i fagi possono svolgere un ruolo importante nella prevenzione o anche nel controllo delle infezioni; infatti il loro utilizzo riduce significativamente la formazione di biofilm. In questo contesto, il potenziale dei fagi per prevenire o controllare i biofilm nei cateteri è stato ampiamente studiato contro Proteus mirabilis, causa principale delle infezioni del tratto urinario quando si usano questi dispositivi.
Un ultimo trend in forte crescita è l’uso dei fagi per colpire i patogeni batterici in vari alimenti e superfici a contatto con gli alimenti. I più recenti test sono stati eseguiti su alimenti e non ancora su biofilm, ma è molto probabile che l’attività antibiotica possa controllare anche la crescita di biofilm. A tale scopo esistono molti preparati fagici: ListShieldTM, ListexTM P100, EcoShieldTM, SalmoFreshTM, FinalyseTM. Questi hanno ottenuto la designazione “Generally Recognized as Safe dalla Food and Drug Administration” per essere usati come additivi alimentari e/o agenti di lavorazione degli alimenti contro molti patogeni di origine alimentare.
Conclusioni e prospettive future
Le interazioni fago-biofilm sono difficili nello studio e nella comprensione per via della variabilità di molti fattori e della mancanza di metodi standardizzati. Indubbiamente i fagi possono essere considerati come armi potenti per combattere biofilm indesiderati e pericolosi, ma hanno dei limiti. Infatti, l’efficacia dei fagi nel controllo dei biofilm dipende dalle proprietà biologiche intrinseche dei fagi e del biofilm.
Alla luce di questa variabile efficacia, ulteriori studi in merito rappresentano un passo importante al fine di valutare nuove strategie in combinazione con trattamenti chimici, enzimatici, fisici o progettazione di fagi geneticamente modificati. Nuove conoscenze potrebbero quindi portare alla definizione di trattamenti fagici per scopi terapeutici e/o industriali.
Gennaro Velotto
Qui la versione inglese di questo articolo.
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