Il Ministero della Sanità ugandese ha confermato un caso di infezione da parte del virus Marburg, responsabile di una febbre emorragica altamente infettiva. Il caso, per ora isolato, si è registrato nel villaggio di Chemuron, nel distretto orientale di Kapchorwa.
L’ultimo focolaio nello Stato dell’Africa orientale risale al 2014, quando furono identificati 146 casi. La febbre emorragica di Marburg è una malattia virale causata da un virus indigeno dell’Africa, molto simile a quello dell’Ebola, appartenente alla famiglia delle Filoviridae (Fig.1). In entrambi i casi si tratta di agenti patogeni estremamente aggressivi che danno luogo a una malattia dalle conseguenze drammatiche e con un alto tasso di fatalità. Se da un punto di vista virologico Marburg e Ebola sono distinti, molto più complesso è operare una differenziazione dal punto di vista clinico, perché i sintomi e il decorso della malattia sono molto simili.
Il virus prende il nome dalla città tedesca di Marburg dove fu isolato nel 1967, a seguito di un’epidemia di febbre emorragica che colpì il personale di un laboratorio che aveva lavorato con reni di scimmie verdi ugandesi (Cercopithecus aethiops) di recente importazione. In quell’occasione si ammalarono 37 persone; simili episodi si verificarono presso le città di Francoforte e di Belgrado. Il virus riapparve poi nel 1975 in Sudafrica, nel 1980 e nel 1987 in Kenya, con pochissimi casi subito isolati. Epidemie più violente si sono registrate invece tra il 1998 e il 2000 nella Repubblica democratica del Congo e nel 2004 in Angola, con più di un centinaio di morti.
Si ritiene che la febbre di Marburg possa essere una zoonosi ma al momento il serbatoio del virus non è stato ancora identificato con certezza nonostante siano stati analizzati più di 3000 vertebrati e oltre 30mila artropodi. Ciò rende molto più difficile l’attuazione di misure preventive. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Francese di Ricerca per lo Sviluppo (Ird) insieme al Centro di Controllo delle Malattie Infettive (Cdc) di Atlanta e al Centro Internazionale di Ricerche Mediche di Franceville nel Gabon (Cirmf) ha dimostrato la presenza del virus nei pipistrelli della frutta.
La malattia si manifesta in modo improvviso e rapido con forte mal di testa, dolori muscolari e un acuto stato di malessere. Il primo giorno compare una febbre alta e il malato va incontro ad una rapida debilitazione. Verso il terzo giorno compaiono dolori addominali e crampi, diarrea acquosa, nausea e vomito. In molti casi, tra il quinto e il settimo giorno, il malato ha delle frequenti emorragie in diverse parti del corpo che spesso portano a morte. In tutto questo periodo il paziente mantiene una elevata temperatura, il virus attacca anche gli organi interni e il sistema nervoso causando stato di confusione, irritabilità, aggressività, perdita di peso, stati di delirio, shock, insufficienza epatica. Nei casi fatali, la morte sopraggiunge nell’arco di 8-9 giorni.
Il virus colpisce persone di tutte le età, anche se la maggior parte dei casi è stata registrata sugli adulti (nel corso dell’epidemia del Congo, i bambini sotto i 5 anni di età rappresentavano il 12%).
Il contagio avviene per trasmissione diretta del virus da persona a persona, per contatto con i fluidi corporali, ma anche le secrezioni respiratorie. Non sembra invece essere molto efficace la trasmissione via aerosol.
Secondo l’Oms, le ricerche effettuate finora hanno escluso che gli esseri umani siano parte del ciclo naturale del virus, e quindi il contagio avverrebbe per contatto casuale con altri animali infetti.
Il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione, che dura da 3 a 9 giorni. Il momento in cui il paziente è più contagioso è invece quello della fase acuta della malattia, soprattutto durante le manifestazioni emorragiche. Il contagio è favorito in tutte le situazioni di condizioni sanitarie precarie, come frequentemente è il caso nei Paesi a basso reddito, e dove le persone sono a contatto diretto con il malato e con superfici e materiali infetti. Non esiste un vaccino contro la febbre emorragica di Marburg, né alcun trattamento efficace contro la malattia. L’unico trattamento è quello, laddove possibile, di assistere il paziente, cercando di ricostituire la sua riserva di acqua ed elettroliti, fornendo ossigeno ed effettuando trasfusioni di sangue.
Laura Oriunno
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