Lo studio dell’evoluzione è in buona parte basato sulla datazione degli strati geologici in cui si possono ritrovare tracce di fossili di organismi viventi. Lo studio geochimico degli strati permette di dedurre quindi le condizioni ambientali in cui potevano trovarsi a vivere i primi organismi viventi di piccole dimensioni di cui si ha un record fossile. Parallelamente agli studi geochimici si applicano anche studi evoluzionistici, i quali confrontano sequenze genetiche costruendo così gli alberi filogenetici. Analisi di questo tipo non offrono però una scala di tempi assoluta, tuttavia, rivestono una notevole importanza per tracciare il percorso evolutivo a livello molecolare.
Cronostoria
L’insieme di questi studi permette di conseguenza di porre in relazione l’evoluzione della vita con quella della Terra nel corso delle sue epoche geologiche.
Un punto chiave della trattazione è l’acquisizione di energia dall’ambiente esterno mediante fenomeni fotochimici (fotosintesi) è stato fondamentale per l’evoluzione della vita. La vita autotrofa grazie alla fotosintesi raggiunge una certa indipendenza dalle nicchie ambientali, spesso povere di nutrienti.
I primi organismi fotosintetici si sviluppano durante l’Archeano, sono questi batteri anossigenici. Secondo alcuni studi filogenetici questi organismi sono dei batteri purpurei. La fotosintesi ossigenica nasce invece ad opera dei cianobatteri già presenti attorno ai 3.5-2.9 miliardi di anni fa. L’ossigeno prodotto dalla fotosintesi viene inizialmente consumato dall’ossidazione dei minerali presenti sulla superficie terrestre per cui il livello atmosferico non cresce di molto. Tra 2.5 e 2 miliardi di anni fa l’ossigeno nell’atmosfera sale vertiginosamente, per poi continuare a crescere fino a raggiungere un plateau circa 1.5 miliardi di anni fa. L’aumento di ossigeno causa il great oxidation event, ossia uno dei più importanti eventi dell’evoluzione della vita sulla Terra. Nascono le forme di vita aerobiche e si forma il primo debole strato di ozono nell’alta atmosfera. La vita inizia così a difendersi dalle radiazioni ultraviolette.
Un occhio geologico
Negli strati geologici più antichi dell’Archeano e della maggior parte del Proterozoico le tracce dei fossili sono scarse e mancano evidenze di organismi di “grandi dimensioni” o macroscopici. Per circa tre miliardi di anni la vita rimane esclusivamente monocellulare, tuttavia si nota un aumento della complessità intracellulare con la divisione tra procarioti ed eucarioti. Si hanno numerose endosimbiosi di cui una porta alla formazione del mitocondrio. Tuttavia, è difficile datare la nascita delle cellule eucariotiche, anche perché questo processo è probabilmente avvenuto in maniera graduale. Ad oggi, esistono prove certe dell’esistenza di eucarioti intorno ai 2.6-2.7 miliardi di anni fa, anche se questi potrebbero essere precedenti.
I procarioti nonostante siano in grado di formare colonie macroscopiche sono unicamente unicellulari e quindi microscopici. Poiché nascano i primi singoli organismi macroscopici bisogna aspettare lo sviluppo delle cellule eucariotiche le quali possono dare origine ad organismi pluricellulari. Con l’aumento dell’ossigeno atmosferico il metabolismo ossigenico diventa sufficientemente disponibile da permettere la formazione di strutture pluricellulari. Quindi, gli organismi dotati di pluricellularità appaiono probabilmente 800-1000 milioni di anni fa e per qualche centinaia di milioni di anni sono rimasti di dimensioni piccole. I primi organismi macroscopici risalgono a circa 650 milioni di anni fa, nell’Ericardiano alla fine del Proterozoico.
Circa 600 milioni di anni fa una fase di riscaldamento seguita una di glaciazione molto estesa permette una notevole diversificazione degli organismi macroscopici. I reperti fossili diventano molto abbondanti. Ci troviamo nel Cambriano, nello specifico nel periodo Fanerozoico. Proliferano quindi numerosi organismi complessi. Appaiono i pesci e nel Siluriano vengono colonizzate le terre emerse da parte degli anfibi. Nel Giurassico compaiono i mammiferi fino ad arrivare a circa cinque milioni di anni fa in cui compaiono i primi ominini.
La selezione naturale
Alla base di tutto questo si trova l’evoluzione biologica la quale dipende dalla selezione naturale e dai mutamenti genetici. Una sorta di combinazione tra caso e necessità. La selezione naturale, introdotta da Charles Darwin sulla base di una incredibile mole di dati sperimentali, è alla base del processo evolutivo. Gli individui di una popolazione con tratti biologici più “adatti” per sopravvivere in un determinato ambiente hanno una maggior probabilità di riprodursi e trasmettere i propri tratti alle future generazioni. L’origine di tratti più adatti è casuale.
Il fatto che la giraffa abbia il collo lungo, non dipende dal fatto che con il crescere degli alberi lei non raggiungesse più le fronde. Un giorno una giraffa è nata casualmente con il collo più lungo, questo gli ha fornito un vantaggio rispetto ai propri simili. Il carattere fortunatamente si è trasmesso alla prole che a sua volta ha posseduto un collo più lungo. Un giorno le giraffe dal collo lungo hanno soppiantato quelle dal collo corto poiché possedevano una migliore fitness nella loro nicchia ecologica.
L’ambiente e le dimensioni
Sicuramente l’ambiente ha influito sulla scelta tra collo lungo o collo corto (dimensioni), ma la mutazione che ha portato a questo fenotipo è stata puramente casuale. L’ambiente ha giocato un ruolo fondamentale solo in una seconda fase. Ad oggi, notiamo organismi molto adattati a sopravvivere nei loro spazi. Questo è un processo che si è svolto nel corso delle ere geologiche. Non sopravvive il più forte, ma solo il più adatto. Un leone per quanto forte, in Antartide non potrebbe sopravvivere.
In ogni caso, il processo della selezione naturale ha dato gradualmente origine a popolazioni adattate di determinate specie al loro ambiente. L’accumulo di variazioni nel corso del tempo porta all’origine di nuove specie. Le variazioni ambientali, seppur magari in un secondo luogo, rivestono in ogni caso un concetto chiave nella storia evolutiva della vita sulla Terra. In ambito astrobiologico, le variazioni chimico-fisiche degli ambienti abitabili potrebbero influenzare la nascita e lo sviluppo della vita su altri mondi.
Uno degli ingredienti chiave dell’evoluzione è la capacità degli organismi viventi di accumulare mutamenti genetici. Questi possono avvenire, in linea di massima, a causa di mutazioni casuali dettate dal caso o da fenomeni endogeni oppure da ricombinazione di geni codificati nel DNA. Le mutazioni genetiche possono quindi avvenire mediante il disaccoppiamento spontaneo o mediato da agenti esterni. Tra questi si possono ritrovare le radiazioni ionizzanti, gli agenti chimici, etc. Le ricombinazioni genetiche avvengono invece mediante il trasferimento di geni, il crossing-over, la trasposizione dei geni, etc.
Stabilità Terrestre
Il fatto che la vita sulla Terra sia presente da più o meno 3.5 miliardi di anni presuppone che il nostro pianeta sia relativamente stabile da un punto di vista climatico. Une delle condizioni primarie di stabilità climatica si può ritrovare nella costante solare, S (che non tratteremo in questa sede, prendetelo per vero). Questa non deve variare nel corso del tempo, o almeno, variare di quantità infinitesime. Una condizione di questo tipo viene soddisfatta solo se la luminosità solare ed il semiasse maggiore dell’orbita terrestre restano costanti nel tempo.
L’instabilità climatica (estinzioni di massa) può avvenire invece a causa di diversi fattori che influenzano l’andamento del clima, tra questi: esplosioni stellari, collisioni con asteroidi, eruzioni vulcaniche, etc. Tra le esplosioni stellari si prendono in considerazione le supernove ed i raggi gamma galattici.
L’evoluzione della vita sulla terra offre quindi alcuni insegnamenti di validità generale che possono essere applicati al tipo di evoluzione che può avvenire in ambienti abitabili dell’universo. Il meccanismo di selezione naturale è indipendente dall’esatto tipo di processo che crea la diversità genetica a livello molecolare. È ragionevole aspettarsi che la selezione naturale sia valida universalmente anche per le forme di vita che si servono di una chimica diversa da quella del carbonio a cui siamo abituati. L’unico requisito fondamentale è che le molecole che contengono l’informazione genetica possano subire mutazioni e che queste possano essere tramandate.
Le dimensioni
Concentriamoci ora sul problema delle dimensioni. La grande maggioranza degli organismi terrestri ha mantenuto piccole dimensioni ed un grado relativamente basso di complessità in numerose epoche della vita terrestre. Questo probabilmente non è un fatto casuale. Se si prende come riferimento la cellula, il rapporto superficie/volume di qualsiasi struttura è inversamente proporzionale alla sua dimensione. Inoltre, i processi biologici dipendono in maniera forzata dallo scambio di materiale attraverso il bordo della membrana biologica. Cellule di piccole dimensioni sono favorite in questi scambi in quanto, il maggior rapporto superficie/volume facilità gli scambi con l’esterno e la minor distanza dal centro al bordo della cellula facilita il trasporto di materiale organico ed inorganico mediante diffusione.
La complessità porta a dei vantaggi; gli organismi pluricellulari possono raggiungere notevoli funzionalità che permettono loro di affrontare al meglio alcune situazioni ambientali, ma tuttavia, richiede anche consumi energetici maggiori e la necessità di possedere spazi maggiori. La densità degli organismi complessi tende quindi ad autolimitarsi sulla base della disponibilità delle risorse ambientali; non a caso gli organismi, tendenzialmente, più grandi si trovano negli oceani. Per ogni cosa che viene qui affermata, esiste ovviamente qualche eccezione. In biologia, astrobiologia ed in particolare in microbiologia, l’eccezione è la norma.
Da non dimenticare è che la specializzazione, di norma, non è reversibile. Questa affermazione non risulta vera per organismi semplici, le cui mutazioni possono alterare in maniera significativa la loro organizzazione interna ed il loro fenotipo. Quindi, gli organismi complessi hanno una minor flessibilità di adattamento ai cambiamenti ambientali rispetto agli organismi monocellulari od oligocellulari.
Da quanto detto finora si deriva che nella ricerca della vita fuori dalla Terra si cerchino forme di vita semplici, monocellulari, poiché la complessità sembra essere un evento raro e molto poco adattabile. In breve, è più facile trovare un battere su Marte che un elefante.
Bibliografia:
- Giovanni Vladilo. Dispense di introduzione all’astrobiologia. Università degli studi di Trieste,
- Robert M. Hazen, A. Panini. Breve storia della Terra. Dalla polvere di stelle all’evoluzione della vita. I primi 4.5 miliardi di anni. Il Saggiatore;
- Vladilo G. Dust and planet formation in the early Universe, Life in the Universe, eds. Seckbach et al., p. 167, Kluwer Academic Publishers (2004);
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- Azua-Bustos, A., Fairén, A.G., González-Silva, C. et al. Unprecedented rains decimate surface microbial communities in the hyperarid core of the Atacama Desert. Sci Rep 8, 16706 (2018).
Immagini:
Immagine in evidenza – https://it.wikipedia.org/wiki/Microrganismo#/media/File:Bacillus_subtilis_Spore.jpg
Fig. 1 – Foglia, parte della pianta in cui avviene la fotosintesi clorofilliana – https://it.wikipedia.org/wiki/Fotosintesi_clorofilliana#/media/File:Leaf_1_web.jpg
Fig. 1 – Immagine creata da Luca Tonietti