Microproteina SHMOOSE e Alzheimer: la ricerca continua

Il 21 settembre scorso, un’equipe di studiosi ha pubblicato una ricerca sulla microproteina SHMOOSE. Sempre in questa data, si è svolta la giornata mondiale dell’Alzheimer (AD). Durante i vari congressi, internazionali e non, si è dibattuto molto sulla situazione della ricerca e degli sviluppi di quest’ultima. In questi ultimi tempi le indagini sull’ AD hanno iniziato a distaccarsi dalla classica teoria della β-Amiloide. A conti fatti, i ricercatori, tendono a percorrere sempre più strade “alternative“, o finora poco battute, per tentare di trovare una soluzione a questa piaga che affligge sempre più persone nel mondo.

Dopo l’ipotesi secondo cui l’AD possa essere una malattia autoimmune ecco arrivare lo studio di Miller, B., Kim, SJ., Mehta, H.H. et al. Quest’ultimo va ad approfondire uno di quei filoni finora poco dibattuti ma che potrebbero riservare interessanti risvolti per la ricerca: le microproteine codificate nei mitocondri.

I ricercatori, come accennato all’inizio, hanno identificato questa microproteina, chiamata appunto SHMOOSE (acronimo di Small Human Mitochondrial ORF Over SErine tRNA) che potrebbe essere correlata all’eziologia progressiva dell’Alzheimer.

Cos’è una microproteina

Le microproteine (mIP) sono peptidi biologicamente attivi codificati da piccoli sORF (letteralmente frame di lettura aperti) di 100 codoni o meno. Sono proteine (di dimensioni più piccole) con un singolo dominio proteico associate a proteine multidominio. Le microproteine hanno la funzione di regolare le proteine multidominio a livello post-traduzionale.

Questi minuscoli componenti sembrano essere alla base di alcuni processi cellulari, che sembrano trovare un coinvolgimento nel cancro e in altre malattie come, appunto, il morbo di Alzheimer.

Esperimenti effettuati sulla microproteina SHMOOSE

Tra i primi test effettuati, per questo studio, hanno valutato l’espressione della microproteina SHMOOSE nei cervelli dei malati di AD. L’esperimento svolto si basa su due tipi di set. Gli scienziati, difatti, hanno preso in esame partizioni di cervello post mortem di pazienti affetti da Demenza e campioni di neuroni derivati da iPSC con le mutazioni APP e PSEN1 (FAD-familiar Alzheimer desease). In entrambi i casi i risultati hanno dimostrato una presenza di SHMOOSE maggiore rispetto ai gruppi di controllo. Nel primo caso l’espressione dell’RNA SHMOOSE era superiore del 15% mentre nel secondo caso, arrivava ad essere, addirittura, tre volte superiore, suggerendo anche un ruolo della microproteina nella biologia della Beta-amiloide.

Figura 1 – espressione della microproteina SHMOOSE e relazione
con β-Amiloide [fonte Molecular Psychiatry]

Studi genetici

L’equipe di ricercatori ha poi eseguito molte analisi di tipo genetico su questa microproteina. Durante uno di queste prove hanno rilevato un mtSNP, che modifica la sequenza degli amminoacidi di SHMOOSE (in particolare il 47° amminoacido dalla glutammina all’acido aspartico) e che risulta essere correlato all’AD e alla struttura cerebrale.

Tra i test più importanti spicca sicuramente quello effettuato in seguito ai risultati ottenuti dall’esperimento citato nel precedente paragrafo. Gli scienziati hanno preso in esame un gruppo di neuroni e li hanno “sovraccaricati” con β-Amiloide oligomerizzata. In seguito hanno somministrato sia la microproteina endogena che la sua mutazione. La somministrazione di SHMOOSE ha protetto da morte cellulare al contrario di SHMOOSE.D47N che non ha dato prova di una simile protezione.

Successivamente, hanno effettuato una ricerca prendendo in esame quattro coorti: ADNI, ROS e MAP, LOAD e NIA. Gli individui con SHMOOSE.D47N hanno mostrato una maggiore atrofia nelle aree temporali mediali come il paraippocampo, la corteccia entorinale e la corteccia cingolata anteriore e parietale. Questo evidenza scientifica risulta molto importante. Difatti bisogna tenere a mente che le suddette aree sono particolarmente “sensibili” nell’AD e l’atrofia appare, molto probabilmente, anni prima dei sintomi.

Altro risultato a riprova del coinvolgimento di SHMOOSE nella Demenza è la correlazione tra quest’ultimo e la TAU, essendo che alti valori di TAU nel liquido cerebrospinale vengono collegati all’AD. Durante un esperimento di immunoassorbimento enzimatico SHMOOSE (ELISA), sviluppato ad hoc dai ricercatori, hanno dimostrato come i livelli della microproteina nel liquido cerebrospinale erano associati con la TAU totale e quella fosforilata.

Altri esami hanno poi portato alla luce ulteriori correlazioni, in particolar modo con l’età e la sostanza bianca nel cervello.

Correlazione microproteine e tau
Figura 2 – correlazione SHMOOSE e TAU [fonte Molecular Psyachiatry]

Esperimento sui topi

Altri importanti esiti giungono dagli esperimenti svolti sui topi.

SHMOOSE.D47N è stato somministrato direttamente nel cervello dei ratti, tramite somministrazione intracerebroventricolare (ICV) per 24 ore seguito da bulk RNA-Seq.

I dati ottenuti, tra cui l’attivazione della proiezione neuronale, la soppressione delle risposte immunitarie e la soppressione dei complessi proteici, sottolineano l’azione diretta che ha la proteina sul cervello e in particolar modo sull’ipotalamo.

Risultato esperimento topi
Figura 3 – risultato esperimenti sui topi [fonte Molecular Psyachiatry]

Conclusioni

I prodotti dei vari test fin qui discussi dimostrano come lo studio delle microproteine apra molteplici e nuovi scenari per la ricerca. SHMOOSE ha dimostrato di avere svariate implicazioni nell’AD. Si passa, così, da un rischio maggiore di sviluppare la malattia, alla capacità di proteggere le cellule; dall’avere importanti influenze sul cervello e l’ipotalamo, al poter essere un possibile biomarcatore della demenza. Tra queste osservazioni le più importanti risultano essere sicuramente la sua possibile capacita protettiva e la sua propensione “biomarcatoriale“. Queste difatti possono dare il via a nuovi tipi di sperimentazioni sia in ambito farmacologico sia in ambito preventivo.

Infine secondo quanto riportato dall’equipe di ricercatori, SHMOOSE è: “per quanto ne sappiamo, la prima microproteina biologicamente attiva codificata dai mitocondri rilevata mediante spettrometria di massa, immunoblot ed ELISA”. Questa affermazione risulta importantissima visto che sottolinea come anche la tecnologia stia avanzando. I risultati riassunti pocanzi sono stati possibili proprio grazie anche al progresso tecnologico. Gli strumenti utilizzati, come affermato dagli stessi ricercatori, sono diventati più precisi e ciò aiuta a far passi importanti in quei settori della ricerca che fino a poco tempo fa sembravano binari morti.

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Stefano Malizia articolista

Sono Stefano Malizia laureato in scienze e tecniche psicologiche ad indirizzo biologico. Sono un copywriter, web designer e grafico freelance. Tra le mie passioni, oltre la scienza, spiccano la fotografia e la tecnologia a 360°.