Le piante carnivore
“Sopra una pianta tutte le sei foglie avevano fatto la loro presa; e su parecchie piante moltissime foglie avean pigliato più d’un solo insetto. Sopra una foglia grande trovai i resti di tredici insetti distinti. Più spesso degli altri insetti erano prese le mosche (Diptera). La specie più grande ch’io ho veduto presa fu una piccola farfalla (Caenonympha pamphilus); ma il rev. H. M. Wilkinson mi rende noto d’aver trovato una grande libellula vivente, saldamente tenuta fra due foglie”.
Così scrisse Charles Darwin, padre della teoria dell’evoluzione delle specie, in ‘Insectivorous Plants’ pubblicato nel 1875. Fu il primo trattato sulle piante carnivore, da lui osservate nella contea di Sussex.
Morfologia
Con le loro forme inusuali e i colori accesi le piante carnivore sono diventate i soggetti perfetti per gli appassionati di verde domestico, arrivando addirittura sulle passerelle dell’alta moda ispirando una collezione di abiti Dior nel 2010.
Le piante carnivore sono delle angiosperme di dimensioni relativamente piccole. Crescono in paludi acide, dove vi è impossibile trovare i batteri azotofissatori, e dunque i vegetali non riescono a trarre dal terreno azoto, ma anche altri elementi quali fosfato e potassio. Ciò ha reso necessario trarre questi elementi nutritivi da altre fonti e, in particolare, attraverso la cattura e la digestione di piccoli e medi insetti.
Ma cosa rende queste piante così affascinanti?
Sono caratterizzate dalla presenza di foglie modificate in eleganti trappole. Particolare è l’epidermide, che in alcune, sono caratterizzate da una superficie scivolosa e cerosa che favorisce la cattura delle prede. Le piante carnivore, generalmente, attirano le potenziali prede con il loro nettare, colorazione e profumo. La capacità di catturare e digerire le prede è dovuta ad alcuni cambiamenti di enzimi che originariamente venivano utilizzati per la difesa contro l’aggressione dei parassiti.
Come vedremo questa modificazione è avvenuta in maniera indipendente in numerose piante evolutivamente distanti e sarebbe dovuta all’esigenza di compensare la carenza di questi elementi nel terreno.
Tipologie di piante carnivore
Le trappole, a seconda dei meccanismi adottati, possono essere suddivise in passive e attive.
Le passive attraggono le prede, senza effettuare movimento alcuno, mentre le attive effettuano movimenti che facilitano la cattura. Ad oggi, si conoscono circa 600 piante carnivore che si sono evolute in modo indipendente in diverse zone della Terra.
Le piante carnivore in base alle trappole possono essere così suddivise:
Figura 1 – Piante con trappole ad ascidio (Cephalotus follicularis) Figura 2 – Piante con trappole adesive (Pinguicula moranensis) Figura 3 – Piante con trappole a tagliola (Dioneaea muscipula) Figura 4 – Piante con trappole ad aspirazione (Urticularia vulgaris)
Gli enzimi coinvolti nella digestione
La Cephalotus follicularis, originaria dell’Australia, è nota per i suoi ascidi che permettono alla pianta di catturare e digerire piccoli animali grazie ad uno speciale mix enzimatico raccolto sul fondo della foglia stessa. Una caratteristica peculiare della Cephalotus è quella di possedere sia foglie in grado di catturare le prede sia foglie “normali”. Un team di ricercatori diretto dalla Graduate University for Advanced Studies di Okazaki, in Giappone, ha sequenziato il genoma della pianta andando a identificare i geni che vengono attivati selettivamente nelle foglie trappola durante i processi di cattura e digestione.
Hanno così scoperto che la pianta ha trasformato delle proteine vegetali, che originariamente servivano per difenderla dalle aggressioni dei parassiti, in enzimi digestivi. In particolare, le foglie carnivore producono elevati livelli di chitinasi e di una fosfatasi acida che permette alla pianta di ottenere dal corpo delle vittime un nutriente essenziale, il fosforo. Le chitinasi sono enzimi che degradano la chitina, la componente principale delle parti più dure degli insetti di cui si nutrono.
La chitina va a costituire l’esoscheletro degli artropodi e i rivestimenti cuticolari di altri invertebrati. È un polisaccaride azotato, (C8H13NO5)n, costituito da unità di N-acetil-D-glucosammina unite tra loro con legami β 1,4 glicosidici a formare lunghe catene.
La capacità di intrappolare e digerire prede animali può quindi essere stata una soluzione efficiente per far fronte alla carenza di elementi nutritivi nel terreno. Analizzando altre piante carnivore ci si trova di fronte a uno straordinario esempio di evoluzione convergente, in cui specie non correlate evolvono in modo indipendente per acquisire tratti simili.
Si ringrazia la dott.ssa Chiara Napolitano per la stesura dell’articolo “Le piante carnivore: predatrici silenziose del mondo vegetale“.
Fonti
- https://www.lescienze.it/news/2017/02/07/news/piante_carnivore_evoluzione_enzimi-3412372/
- http://nature.com/articles/doi:10.1038/s41559-016-0059
- https://aulascienze.scuola.zanichelli.it/2017/02/22/come-la-piante-diventano-carnivore/
- https://www.microbiologiaitalia.it/interviste/lamore-per-le-piante-e-per-i-microrganismi-spiegata-dal-dott-paride-russo-prima-parte/
Congratulazioni Chiara Napolitano