Un metodo basato sul genoma per lo studio dell’origine della vita
Un metodo efficace per la ricerca sui primi stadi dell’origine della vita consiste nella ricerca di una struttura cellulare che contenga il minimo numero di geni (Fig. 1) possibili, pur conservando delle funzioni che possono essere definite “vitali”. Lo scopo è allora quello di comprendere quale sia il numero minimo di geni che permette ad una cellula di sopravvivere; quindi, un organismo (naturale o sintetico) che possegga il genoma funzionale più piccolo mai scoperto.
A tale scopo si possono confrontare sequenze genetiche di organismi prossimi alla radice dell’albero della vita (quel luogo dell’albero della vita prossimo a LUCA (Last Universal Common Ancestor). Utilizzando un approccio di questo tipo e aggiungendo i geni indispensabili per il funzionamento degli organismi si ottiene un numero di circa 250 geni. Un ulteriore metodo per raggiungere uno scopo simile consiste nel disabilitare gradualmente specifici geni di organismi prossimi all’ultimo antenato comune, procedendo fintantoché si ottengono cellule in grado di sopravvivere. Anche secondo questo metodo il numero minimo di geni deve essere circa intorno ai 250.
Procarioti o Eucarioti?
I genomi ricercati sono per cui di norma di tipo procariote: infatti, il genoma più grande batterico è comunque di dimensioni minori rispetto ad uno di tipo eucariotico. Esiste per cui un set minimo di geni che assicura la vita indipendente. Il minimal genome è quindi un assetto genico che permette di sopravvivere. Alcuni simbionti intracellulari hanno perso geni di funzionamento fondamentali e senza il genoma ospite non possono vivere. Sono viventi, allora? Questa domanda potrebbe essere alla base del concetto di vita stesso. Un organismo con quasi tutti i geni fondamentali ma non la totalità, simbionte, può essere considerato vivente? Proviamo ad addentrarci un po’ più a fondo di questa domanda.
Ad esempio, Mycoplasma genitalium possiede circa 500 geni e può fare vita indipendente. Da 250 a 500 geni, da un punto di vista genomico, non è una grande differenza. Si può quindi affermare, secondo le più moderne teorie, che un set di geni che varia da 100 a 450 geni è quello che viene definito genoma minimo. Si è scoperto tuttavia negli anni che non esiste un solo minimal genome, ma esistono tanti minimal genome caso/specie specifici. Esiste quindi un core genome che si può definire come l’insieme dei geni essenziali.
Il concetto di ubiquitus genes
Se si uniscono tutti i geni condivisi tra le varie specie conosciute e sequenziate si ottiene un set di ubiquitus genes, ossia circa una sessantina di geni che sono effettivamente condivisi tra tutti gli organismi viventi discendenti da LUCA. Questo set è condiviso ma non è sufficiente per far sopravvivere in maniera indipendente gli organismi. Accanto a questi servono geni accessori che assieme portano il core genome ad avere autosufficienza. Bisogna inoltre ricordare la presenza del fenomeno di genome shrinkage e di trasferimento genico orizzontale, che non aiutano certamente nella ricerca del genoma minimo.
Il trasferimento genico orizzontale
Cosa intendiamo con trasferimento genico orizzontale (Fig. 2)? È il processo nel quale un organismo è in grado di trasferire parte del materiale genetico ad un’altra cellula non discendete. Il suo contrario è il trasferimento genico verticale, vale a dire il fenomeno della riproduzione, col quale un organismo riceve materiale genetico dai suoi antenati. Secondo alcuni autori “sempre più, gli studi sopra i geni e genomi indicano che un considerevole trasferimento di geni orizzontale è avvenuto tra i procarioti”. Questo fenomeno particolare, conosciuto nel mondo dei microorganismi procariotici, si è oggi scoperto avvenire anche per le piante complesse e gli animali. L’ambito del trasferimento genico orizzontale è essenzialmente tutta la biosfera, dove i batteri ed i virus agiscono sia come intermediari del traffico di geni che come magazzini per la moltiplicazione e la ricombinazione di geni.
Un organismo emi-vivente
Ma tornando a noi, a cosa serve uno studio riguardante un organismo minimale? Potrebbe semplicemente portare a comprendere i nuovi vincoli sui possibili percorsi evolutivi in grado di spiegare il progresso dell’abiogenesi. Un organismo composto da 140 geni sui 150 teorici per essere considerato con un genoma adatto per la vita potrebbe in linea di massima essere considerato un organismo emi-vivente e quindi forse uno dei passaggi chiave per comprendere come la vita cellulare si sia sviluppata sulla Terra.
Fonti
- https://www.pnas.org/content/96/7/3801.abstract;
- Figura 1 – http://Figura 1 – https://it.wikipedia.org/wiki/Genoma#/media/File:Human_genome_to_genes-it.png;
- Figura 2 – https://www.microbiologiaitalia.it/batteriologia/trasferimento-genico-orizzontale-come-avviene/;
- Immagine in evidenza – https://pixabay.com/it/illustrations/dna-biologico-elica-analisi-studio-6517209/