Potrebbe sembrare un giallo di Agatha Christie o una rivisitazione del romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa” in cui il monaco benedettino Jorge cosparse di veleno i bordi delle pagine della famosa copia del secondo libro della Poetica di Aristotele per evitare che venisse letto, ma non è così.
Nel 2019 fu pubblicato un interessante articolo della University of Southern Denmark in cui, ricercatori danesi e statunitensi, dimostrarono che l’avvelenamento da libri non è solo un’invenzione letteraria e che dovrebbero essere intraprese azioni pratiche per tutelare la salute di bibliotecari, archivisti e lettori. (Fig. 1).
Infatti, a seguito di una indagine scientifica scaturita da esigenze ben diverse rispetto a quelle della ricerca di sostanze tossiche e velenose, si è scoperto che tre libri rari, stampati tra XVI e XVII secolo e custoditi nella biblioteca della University of Southern Denmark (a cui poi se ne è aggiunto un quarto conservato presso le Smithsonian Libraries di Washington DC) contenevano elevate concentrazioni di arsenico sulle loro copertine.
Arsenico: caratteristiche principali
L’arsenico è un semimetallo che può presentarsi sia in forma inorganica (come elemento chimico o come alcuni sali di arsenico) sia in forma organica, in composti generalmente meno tossici rispetto all’arsenico inorganico (Fig. 2).
L’origine del nome “arsenico” viene dal persiano zarnik che significa “ornamento giallo”: era dunque conosciuto in Persia e in altri luoghi fin dai tempi antichi e utilizzato soprattutto come veleno poiché insapore e poiché i sintomi legati alla sua intossicazione erano variegati e non ben definiti. Continuò ad essere utilizzato con frequenza per questo scopo fino alla scoperta del saggio di Marsh, un test di laboratorio molto sensibile in grado di rivelarne la presenza nei tessuti.
Jabir ibn Hayyn, alchimista medievale persiano, fu il primo ad isolare l’arsenico elementare prima dell’815 d.C. Successivamente, nel 1649 d.C, Johann Schroeder, medico e farmacologo tedesco, fu la prima persona a riconoscere l’arsenico come elemento chimico scoprendo due diversi modi per sintetizzarlo.
Quando in forma inorganica si può presentare in tre forme allopatiche diverse, gialla, nera e grigia. La forma più comune è l’arsenico grigio, stabile a temperatura ambiente, mentre l’arsenico giallo è instabile e altamente tossico. A temperatura ambiente si ossida molto lentamente ma in un’atmosfera ossidante l’arsenico può incendiarsi facilmente spandendo fumi bianchi dall’odore agliaceo oppure ossidarsi e formare l’ossido arsenioso, ricoprendosi di uno strato di colore bruno. I suoi composti inorganici più comuni sono l’ossido di arsenico trivalente, l’ossido di arsenico pentavalente e il verde smeraldo o arsenico verde di Parigi. Dall’arsenico trivalente si formano i corrispondenti arseniti come quello di piombo, rame e l’idruro arsenioso anche detto arsina. L’elemento forma anche diversi composti organici come l’acido monometilarsonico e la trimetilarsina. I composti inorganici dell’arsenico sono i più tossici, seguiti dai composti organici e dal gas arsina.
Segni e sintomi da avvelenamento da arsenico
L’arsenico inorganico viene ben assorbito dall’apparato gastrointestinale e a livello polmonare, generalmente oltre il 50% della dose assunta (Fig. 3). I composti arsenicali organici sono generalmente considerati poco assorbibili e il loro assorbimento è relativo alla loro idrosolubilità. Vengono facilmente eliminati con le feci e le urine, pertanto gli arsenicali organici sono meno tossici.
I sintomi principali dell’avvelenamento da arsenico dipendono dalla via di assorbimento (ingestione, inalatoria, cutanea). In generale i sintomi immediati sono rappresentati da nausea, vomito, dolori addominali, irritazione cutanea, laringite e bronchite. Dopo un’ora dall’esposizione si possono registrare effetti molto più gravi.
A carico dell’apparto circolatorio si manifestano vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, edema generalizzato, disidratazione e shock mortale.
A livello dell’apparato gastroenterico si hanno diarrea acquosa e sanguinolenta per distacco dell’epitelio enterico conseguente all’edema e formazione di vescicole al di sotto della mucosa; tali vescicole tendono a rompersi e a ledere e distaccare il tessuto.
Nei reni si può andare incontro a danno glomerulare e tubulare e proteinuria mentre a livello della cute si possono formare vesciche, cambiamenti nella pigmentazione delle unghie e la malattia dei piedi neri (disordine circolatorio che riflette un danno delle cellule epiteliali).
A livello del sistema nervoso periferico si può verificare neuropatia periferica sensitiva e motoria mentre a livello del sistema nervoso centrale si può manifestare encefalopatia da danno organico, delirio e coma.
Effetti a lungo termine dell’esposizione all’arsenico
L’arsenico aumenta il rischio di cancro. L’esposizione ad esso provoca cancro alla pelle, ai polmoni, al fegato e al rene. Gli effetti mutagenici possono essere spiegati con l’interferenza con la riparazione dell’escissione della base e dei nucleotidi per inibizione degli enzimi di riparazione. L’arsenico contribuisce a formare specie reattive dell’ossigeno (ROS) che, accumulandosi, causano un’espressione genetica aberrante e lesioni di lipidi, proteine e DNA che alla fine portano alla morte cellulare.
Una maggiore esposizione all’arsenico è associata ad una maggiore frequenza di aberrazioni cromosomiche e scambi tra cromatidi. Una spiegazione per le aberrazioni cromosomiche è la sensibilità della proteina tubulina e del fuso mitotico all’arsenico.
È stato dimostrato che il corpo umano può sviluppare una tolleranza all’arsenico assumendone piccole quantità per periodi di tempo prolungati. Si narra che Mitridate VI del Ponto (dal cui trae origine il termine mitridatismo) assumesse quotidianamente piccole quantità di diversi veleni (tra cui l’arsenico) per svilupparne la resistenza. Rasputin, quando divenne una figura influente nella storia della Russia, attuò anch’egli questa pratica per proteggersi da possibili avvelenamenti.
Il caso Danimarca
Nel 2018 il bibliotecario danese Jacob Povl Holck e il professore di chimica e fisica Kaare Lund Rasmussen ricevettero l’incarico dalla University of Southern Denmark di analizzare tre volumi di diverso argomento risalenti al XVI-XVII secolo poiché si era scoperto che le copertine di questi libri contenevano frammenti di manoscritti medievali di diritto romano e di diritto canonico. Per le stamperie di quell’epoca era uso comune riciclare la carta di vecchi libri per ricavarne di nuovi. Anche se i libri erano stati stampati in diversi luoghi d’Europa (Basilea, Bologna e Lubecca) gli stili delle loro rilegature indicano che probabilmente furono rilegati nella stessa regione e nello stesso periodo. Cosa molto curiosa, tutte e tre le copertine di questi libri presentavano uno strato di colorazione verde intensa che oscurava le vecchie lettere scritte a mano e impediva la lettura del testo sottostante.
I due studiosi portarono i tre libri in laboratorio: l’idea era quella di filtrare attraverso lo strato di colore usando la tecnologia a microfluorescenza a raggi X (micro-XRF) e concentrarsi sugli elementi chimici dell’inchiostro sottostante, ad esempio su ferro e calcio, nella speranza di rendere le lettere nascoste più leggibili. L’analisi però portò alla luce il fatto che lo strato di pigmento che ricopriva i tre libri conteneva una elevatissima concentrazione di arsenico.
Questa notizia fece il giro del mondo mediante il portale online “The Conversation” dell’università danese e ben presto, all’indagine, si aggiunse un quarto libro della Smithsonian Libraries di Washington DC che presentava le stesse caratteristiche degli altri tre libri (Fig. 4).
L’ipotesi iniziale: il verde di Parigi
La prima ipotesi formulata dai due studiosi era che le copertine di questi libri fossero state ricoperte da una pittura molto utilizzata in quel periodo, il verde smeraldo o verde di Parigi (Cu(CH3COO)2·3Cu(AsO2)2).
Il verde di Parigi è una polvere cristallina di colore verde brillante, molto tossica proprio per la presenza di arsenico (Fig. 5). Questo nome, che richiama immagini romantiche e bohémien, trae origini da questioni ben diverse: il verde di Parigi, nell’Ottocento, venne utilizzato per derattizzare le fogne della città dell’amore.
Non è chiaro chi sia stato il primo preparatore di questo pigmento ma, data la sua bellezza e prima di scoprirne la tossicità, venne ampiamente utilizzato nel XIX secolo da pittori impressionisti e preraffaeliti e nella realizzazione su scala industriale di oggetti di uso comune tra i quali carta da parati, sapone, giochi per bambini, vestiti e persino decorazioni per dolci, provocando non pochi casi di intossicazione e morte.
Le analisi
I quattro libri, dopo essere stati analizzati con tecnologia a microfluorescenza a raggi X, vennero sottoposti ad altre numerosissime analisi: cristallografia a raggi x, spettroscopia Raman e spettrometria di massa. I risultati di queste analisi hanno dimostrato che il componente responsabile della colorazione verde non era il verde di Parigi come ipotizzato inizialmente ma una miscela di altri pigmenti (Fig. 6).
L’orpimento
Le analisi hanno dimostrato che il pigmento verde che ricopriva le copertine dei quattro libri era una miscela di orpimento giallo (minerale di arsenico As2S3), indaco blu (C16H11N2O2) e quarzo (Fig. 7). Questo tipo di miscela per il colore verde è menzionata nel famoso manoscritto “Libro dell’arte” scritto da Cennino Cennini redatto nella prima metà del XV secolo in cui l’autore metteva in guardia più volte il lettore sulla tossicità dell’orpimento, in particolare quando veniva ingerito. Quando l’orpimento interagisce con l’acqua porta alla formazione di arsina e di acido arsenico che sono i principali responsabili dell’effetto tossico. Le complicazioni derivanti dall’ingestione di orpimento possono essere gravi provocando danni corrosivi all’apparato digerente ed emolisi intravascolare. L’assorbimento cutaneo può anche causare tossicità sistemica.
Lo scopo dell’utilizzo di questo pigmento non era sicuramente quello di avvelenare il malcapitato lettore ma quello di nascondere la scrittura medievale originale sulla pergamena di scarto per esaltare l’estetica della rilegatura agli occhi degli acquirenti del diciassettesimo secolo.
Il destino dei “libri avvelenati”
I “libri avvelenati” analizzati in questo lavoro rappresentano un rischio per la salute umana se maneggiati con superficialità. Le condizioni dei libri e della loro rilegatura possono contribuire ad aumentare il rischio per la salute degli operatori: l’azione batterica può alterare la pittura e produrre arsine, per di più le copertine danneggiate possono rilasciare particolato contaminando l’aria, le superfici di contatto e le mani. Oltre a presentare elevate quantità di arsenico, questi libri contenevano ulteriori tossine, in particolare, piombo e mercurio, che rappresentano ulteriori rischi per la salute. Per questa ragione è importate adottare precauzioni speciali per quanto riguarda la manipolazione e lo stoccaggio di questi libri.
Sia per i lettori che per il personale della biblioteca la manipolazione sicura di questi volumi richiede l’uso di guanti da laboratorio ed è bene posizionarli su una superficie protetta (per esempio sotto cappa di aspirazione). Le mani dovrebbero sempre essere lavate dopo ogni manipolazione. L’uso di protezioni respiratorie con filtri P100 è consigliato quando non è disponibile in laboratorio una cappa adeguata. L’introduzione di un protocollo di gestione e un elevato livello di consapevolezza del personale della biblioteca può ridurre i rischi per la loro salute.
Per quanto riguarda le condizioni di conservazione, i libri della University of Southern Denmark sono custoditi in scatole con etichette di avvertenza riposte in una teca, mentre il libro delle Smithsonian Libraries di Washington DC è conservato in un sacchetto di poliestere sigillato e inserito in una scatola su misura anch’essa con etichette di avvertenza.
Un possibile modo per garantire un accesso sicuro al testo di questi libri si realizza attraverso la digitalizzazione, anche se ciò comporta costi significativi.
Conclusioni
Questo sembra essere il primo caso di “libri avvelenati” riportato in letteratura scientifica.
La questione della natura del colore verde e il suo scopo originale, la sua composizione chimica, la storia di questi oggetti e le questioni relative alla manipolazione e alla conservazione di libri “particolari” è di fondamentale importanza per biblioteche, archivi, musei, collezionisti e per la storia della chimica e della fisica (Fig. 8).
I risultati di questo studio sottolineano la necessità di attuare protocolli di sicurezza per maneggiare volumi che presentano pigmentazione sospetta: l’avidità del lettore, che per voltare le pagine si lecca le dita, potrebbe rivelarsi un gesto fatale!
Fonti
- Thomas Delbey et al., Poisonous books: analyses of four sixteent and seventeenth century book binding covered with arsenic rich green paint, Heritage Science, (2019) 7:91.
- Holck JP, Rasmussen KL., How we discovered three poisonous books inour university library, The Conversation; 2018.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Arsenico
Crediti immagini
- Figura 1 – Thomas Delbey et al., Poisonous books: analyses of four sixteent and seventeenth century book binding covered with arsenic rich green paint, Heritage Science, (2019) 7:91.
- Figura 2 – Wikipedia
- Figura 3 – Suhali M. et al., Mechanistic understanding of the toxic effects of arsenic and warfare arsenicals on human health and environment, Cell Biolog and Toxicology (2022)
- Figura 4 – Thomas Delbey et al., Poisonous books: analyses of four sixteent and seventeenth century book binding covered with arsenic rich green paint, Heritage Science, (2019) 7:91.
- Figura 5 – Pinterest
- Figura 6 – Thomas Delbey et al., Poisonous books: analyses of four sixteent and seventeenth century book binding covered with arsenic rich green paint, Heritage Science, (2019) 7:91.
- Figura 7 – Wikipedia
- Figura 8 – Wikipedia