Differente suscettibilità alle influenze ambientali: i bambini (e gli adulti) orchidea ed i geni della plasticità

Nel presente articolo faremo riferimento agli adulti ed ai bambini orchidea ed alle caratteristiche che li contraddistinguono.

L’esposizione alle avversità ambientali pone l’essere umano sin dall’infanzia ad un rischio elevato di sviluppare problemi cognitivi, emotivi, sociali ma anche relativi alla salute fisica.

Negli ultimi anni diverse linee di ricerca hanno esplorato l’interazione tra contesto ambientale, fenotipi e genotipi, atta a modellare differentemente lo sviluppo umano. Proprio riguardo l’interazione gene-ambiente, nell’ambito della salute mentale, in particolare nell’eziologia e nel ruolo della genetica, gli studi si sono concentrati sui legami diretti tra particolari polimorfismi e peculiari disturbi, e la vulnerabilità genetica alle avversità.

Adulti e bambini orchidea: chi sono?

Basandosi sulla teoria di Boyce ed Ellis riguardo la sensibilità biologica al contesto, gli adulti ed i bambini orchidea sono caratterizzati da un’elevata suscettibilità. La sopravvivenza e fioritura di un individuo sensibile alle condizioni ambientali sono intimamente legate, proprio come il fiore dal quale prendono il nome, all’ambiente nutritivo o trascurante in cui si trova. In condizioni di abbandono, l’orchidea velocemente perisce, mentre in condizioni di nutrimento e sostegno diviene un fiore di insolita delicatezza e bellezza.

L’attuale teoria concettualizza i fenotipi altamente reattivi come i bambini orchidea, i quali non sono adattabili a un’ampia gamma di ambienti di crescita, ma che tendono ad avere successo soprattutto in condizioni di elevate risorse sociali e di sostegno.

I bambini privi di questa elevata suscettibilità al contesto sono definiti bambini dente di leone.

Conservazione evolutiva degli adulti e bambini orchidea

Risposte neurali e neuroendocrine periferiche costituiscono un insieme elaborato ma altamente coordinato, seppur filogeneticamente primitivo, che caratterizza la reattività biologica ai fattori di stress psicologico. Diverse osservazioni mettono in discussione le conseguenze potenzialmente dannose legate all’alta reattività. Esse, anzi, suggeriscono che i suoi effetti protettivi all’interno di specifiche ecologie di sviluppo potrebbero spiegare la conservazione di tale variazione fenotipica nella storia evolutiva.

Principali studi di riferimento

Svariati sono i lavori scientifici sul tema, ma possiamo concentrarci principalmente sui seguenti quattro.

Nel 2005 Boyce ed Ellis hanno indagato la reattività biologica ai fattori di stress psicologico ed il ruolo che l’esperienza evolutiva gioca con le avversità precoci, influenzando gli effetti combinati verso un profilo di reattività accentuata o prolungata.

Solo tre anni dopo, uno studio ha portato evidenze su come la cura materna della prole ne influenzi le prestazioni cognitive e la reattività allo stress. In particolare sono stati analizzati in cuccioli di ratto gli aspetti morfologici, elettrofisiologici (attività neuronale) e comportamentali legati alla plasticità sinaptica dell’ippocampo in condizioni basali e stressanti.

Una pubblicazione del 2011 delinea le caratteristiche della prospettiva che attualmente risulta essere dominante riguardo la fragilità dell’essere umano in base al rischio ambientale: diatesi stress/duplice rischio. Essa presenta la necessità di un cambiamento di paradigma nel modo in cui concettualizziamo le interazioni tra persona ed ambiente nello sviluppo.

Uno studio del 2014, contrariamente al pensiero prevalente, sostiene che i polimorfismi selezionati dovrebbero essere associati alla plasticità piuttosto che concettualizzati come geni di “vulnerabilità”. Questo approccio rende gli individui più propensi a sviluppare disturbi mentali in condizioni avverse, ma maggiormente beneficiari in presenza di condizioni favorevoli.

Vecchia e nuova prospettiva a confronto

L’ipotesi secondo cui gli individui resilienti e vulnerabili si sviluppano in modo differente principalmente in condizioni di stress ambientale è il punto centrale della visione diatesi-stress.

Una nuova prospettiva sostiene che gli ambienti avversi, ma anche quelli favorevoli, hanno caratterizzato l’esperienza umana nel corso della nostra storia evolutiva ed i sistemi di sviluppo modellati dalla selezione naturale rispondono in modo adattivo ad entrambe le tipologie di contesto. Secondo questa visione, quindi, quando le persone sono sottoposte ad ambienti stressanti, questo stesso contesto non disturba il loro sviluppo ma le indirizza verso strategie adattive in ambiente sfavorevole. Ciò si verifica anche se le stesse si rivelano dannose in termini di benessere per lungo periodo per l’individuo oppure per la società nel suo complesso.

A riguardo, un esempio significativo si basa sul lavoro sperimentale su ratti condotto da Meaney e dai suoi colleghi. Loro hanno dimostrato come le cure materne di scarsa qualità (che si riflettono in scarsi livelli di grooming) alterano la fisiologia associata allo stress e la morfologia cerebrale nei cuccioli. Sebbene questi cambiamenti possano apparire maggiormente svantaggiosi (i quali comportano, ad esempio, livelli di corticosterone maggiori, rami dendritici più corti e minore densità delle spine nei neuroni dell’ippocampo), in realtà migliorano i processi di apprendimento e memoria in condizioni stressanti.

bambini orchidea
Figura 1 – Analisi morfologica quantitativa della lunghezza -A- e delle spine dendritiche -B- di neuroni piramidali CA1 [Champagne et al., 2008;https://www.jneurosci.org/content/jneuro/28/23/6037/F2.large.jpg]

Geni di vulnerabilità o della plasticità?

Negli studi genetici in psichiatria, il gene trasportatore della serotonina 5-HTTLPR, ed il gene per il recettore della dopamina, DRD4, sono tendenzialmente considerati “geni di vulnerabilità”. Di fronte alle avversità, predisporrebbero rispettivamente alla depressione ed al deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Molte prove indicano che potrebbero essere meglio considerati come “geni della plasticità”. Questi rendono i portatori dei presunti alleli di rischio particolarmente suscettibili alle influenze ambientali, sia nel bene che nel male.

Altri polimorfismi ben studiati possono funzionare come fattori di plasticità, ad esempio il fattore neurotrofico cerebrale BDNF e le monoammino-ossidasi A MAO-A.

BDNF: Brain-Derived Neurotrophic Factor; MAO-A: Monoamine Oxidase A.

Conclusioni

Una prospettiva evolutiva ci permette di apprezzare i benefici ma anche i costi della plasticità dello sviluppo. Conseguentemente anche il motivo per cui gli individui varierebbero nella loro suscettibilità alle influenze ambientali. Quest’ottica permette di scoprire che le persone particolarmente vulnerabili alle avversità a causa della loro genetica beneficiano in modo sproporzionato delle esperienze di supporto, proprio per gli stessi fattori genetici.

Rimane ancora molto da imparare sul motivo e in quali circostanze i fattori genetici agiscono come fattori di plasticità piuttosto che di vulnerabilità.

Ulteriori conoscenze sulle cause e conseguenze della reattività dei bambini orchidea allo stress permetterebbero di avere ambienti più ricchi e protettivi in cui i maggiormente sensibili possano crescere in modo coerente rispetto alle loro peculiarità.

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Giulia Guarisco

La biologia è la mia passione più grande. Spaziando tra immunologia, neurobiochimica e patologia, sono molto interessata alla fisiologia del sistema nervoso.

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