Caratteristiche
La febbre Q è una patologia infettiva provocata dal batterio Coxiella burnetii, che colpisce sia gli animali sia l’uomo. È stata segnalata in numerose specie, tra cui bovini, ovini e caprini, oltre che in volatili e artropodi di svariate regioni del mondo; è stata riconosciuta per la prima volta come zoonosi, ossia come un’infezione che può essere trasmessa dagli animali all’uomo, nel 1935, quando alcuni addetti a un impianto di macellazione australiano hanno contratto la malattia.
Cenni storici
La Febbre Q è stata individuata per la prima volta dal patologo australiano Edward Holbrook Derrick, nel 1937, mentre analizzava un paziente che lavorava in un mattatoio di Brisbane. La denominazione “Q” sta per “query” (termine inglese per domanda), termine utilizzato da Derrick poiché i primi studi condotti nel corso di un’epidemia australiana diffusasi nei lavoratori di mattatoi non sono riusciti a determinare il microrganismo responsabile della malattia. L’agente eziologico, un batterio parassita endocellulare obbligato, venne individuato successivamente, nello stesso anno, dai virologi Frank Macfarlane Burnet e Mavis Freeman che isolarono il microrganismo da uno dei pazienti di Derrick.
Eziologia e patogenesi
La Febbre Q, come detto, è causata dal batterio Coxiella burnetii, che appartiene alla famiglia delle Coxiellaceae, è intracellulare obbligato, immobile e replica nei monociti e macrofagi dell’ospite; ha un ampio spettro d’ospite, inclusi animali da reddito, da compagnia, animali selvatici e zecche; tuttavia i ruminanti domestici rappresentano la principale sorgente d’infezione associata a focolai umani. Tra gli animali, anche le zecche infette possono svolgere un ruolo di mantenimento dell’infezione nell’ambiente, a livello di vertebrati selvatici.
C. burnetii si riscontra in due forme: la variante a piccole cellule (VPC) che costituisce la forma infettante che si trova nell’ambiente e la variante a grandi cellule (VGC) che deriva dalla prima e si riscontra all’interno delle cellule infette. La VPC è strutturalmente differente rispetto alla VGC ed è resistente alle variazioni di temperatura, umidità e pH presenti nell’ambiente dove può perdurare per mesi o anni. Raggiunta le cellule bersaglio, ovvero monociti e macrofagi, le VPC vengono internalizzate per endocitosi; i vacuoli citoplasmatici contenenti il batterio si fondono con i lisosomi costituendo un fagolisosoma, all’interno del quale il patogeno è in grado di trasformarsi in VGC e di moltiplicarsi. Alla fine della moltiplicazione, le VGC si trasformano nuovamente in VPC e vengono liberate in seguito a lisi cellulare.
Segni e sintomi
Il periodo d’incubazione è in media di 18-21 giorni (range compreso tra 9 e 28 giorni). La febbre Q acuta è spesso asintomatica; in altri pazienti, inizia improvvisamente con sintomi simil-influenzali:
- febbre;
- forte mal di testa;
- brividi;
- malessere grave;
- mialgia;
- anoressia;
- sudorazione.
La febbre può raggiungere i 40° C e persiste per 1 a >3 settimane. Raramente, la febbre Q acuta si manifesta come encefalite o meningoencefalite. I sintomi respiratori (tosse secca non produttiva, dolore toracico pleurico) compaiono 4-5 giorni dopo l’esordio della malattia, questi sintomi possono essere particolarmente gravi nei pazienti anziani o debilitati.
All’esame obiettivo, i crepitii polmonari sono di frequente riscontro e sono presenti reperti suggestivi di addensamento. Diversamente dalle rickettsiosi, la febbre Q acuta non causa rash. L’interessamento epatico acuto, che si verifica in alcuni pazienti, somiglia a quello dell’epatite virale, con febbre, malessere, epatomegalia con dolore al quadrante superiore destro dell’addome e possibile ittero.
La febbre Q può essere:
- Acuta
- Cronica
La forma acuta determina una malattia febbrile che spesso interessa il sistema respiratorio, sebbene talvolta sia coinvolto il fegato. Le donne infette in gravidanza hanno un rischio incrementato di aborto spontaneo e parto pretermine.
La febbre cronica si verifica in < 5% dei pazienti, spesso si manifesta con endocardite o epatite; può verificarsi osteomielite. La forma cronica può manifestarsi nel giro di poche settimane a molti anni dopo l’infezione iniziale, l’epatite può somigliare a una febbre di origine sconosciuta. La biopsia epatica può mostrare granulomi, che devono essere differenziati da quelli dovuti ad altre cause (p. es., tubercolosi, sarcoidosi, istoplasmosi, brucellosi, tularemia, sifilide).
Epidemiologia
La malattia è presente in tutto il globo , la trasmissione diretta dalle zecche all’uomo è rara mentre è comune quella agli animali; sono particolarmente colpiti animali domestici quali cani e gatti così come animali da allevamento come bovini, ovini, caprini, conigli e volatili che costituiscono i serbatoi del batterio.
L’uomo si infetta occasionalmente mediante l’inalazione di polvere contaminata dalle deiezioni di zecche infette (il morso delle stesse non trasmette la malattia) oppure tramite l’ingestione di latte o il contatto con urine, feci, placenta, sperma, secrezioni vaginali di animali infetti. In ragione di queste modalità di trasmissione le categorie più a rischio sono allevatori, veterinari e addetti alla manipolazione del cibo nelle aziende alimentari. La febbre Q è ritenuta essere una potenziale arma biologica.
Diagnosi
I segni e i sintomi non indirizzano facilmente verso la diagnosi di febbre Q, nella fase precoce, somiglia a molte infezioni (p. es., influenza, altre infezioni virali, salmonellosi, malaria, epatite e brucellosi); successivamente, si configura un quadro di polmonite sovrapponibile a quelle a eziologia batterica, virale, da micoplasmi e altre polmoniti atipiche. Il test in immunofluorescenza (IFA) dei tessuti infetti è il metodo diagnostico di scelta.
Test strumentali e di laboratorio
In alternativa possono essere usati EIA (Enzyme ImmunoAssay) e l’ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), i campioni di siero possono essere prelevati sia in fase acuta che di convalescenza (per lo più si usa la fissazione del complemento). Gli anticorpi per l’antigene di fase II sono usati per diagnosticare la malattia acuta, e gli anticorpi sia di per l’antigene di fase I sia di fase II sono utilizzati per diagnosticare malattie croniche. La PCR permette di identificare il microrganismo dai campioni bioptici, ma risultati negativi non escludono la diagnosi dai campioni bioptici.
Terapia
La terapia d’elezione delle forme acute è basata sulla somministrazione di doxiciclina per almeno 2-3 settimane e va proseguita fin quando il paziente non è apiretico per almeno 5 giorni. In alternativa si possono utilizzare la ciprofloxacina o cloramfenicolo. Nelle forme croniche è sempre necessaria l’associazione di due farmaci, comunemente doxiciclina e idrossiclorochina oppure doxiciclina e rifampicina o doxiciclina e ciprofloxacina che vanno assunte per almeno 18 mesi.
Aspetti medico-veterinari
Nei ruminanti domestici, contrariamente a quanto accade per l’uomo, l’infezione da C. burnetii è quasi sempre asintomatica; Durante la fase acuta il microrganismo può essere ritrovato nel sangue, nei polmoni, nella milza e nel fegato. Le principali manifestazioni patologiche di febbre Q associate ad infezioni croniche sono costituite da ipofertilità, metriti e minor peso dei vitelli alla nascita, più raramente da aborti e nascita di soggetti prematuri.
In allevamenti asintomatici ma sieropositivi, Coxiella può essere eliminata attraverso il latte, l’escrezione può durare parecchi mesi (fino a 32) ed essere continua o intermittente e, in alcuni casi, essere associata a mastiti subcliniche croniche. In allevamenti bovini con problemi riproduttivi, le femmine infette eliminano Coxiella prevalentemente attraverso le lochiazioni, ma anche mediante feci, urine e latte.
In allevamenti ovi-caprini con problemi riproduttivi, gli animali eliminano il batterio contemporaneamente attraverso muco vaginale, feci e latte. In particolare, però, le capre eliminano C. burnetii in misura maggiore attraverso il latte, le pecore principalmente attraverso muco vaginale o feci. Invece, allevamenti ovini asintomatici ma sieropositivi sono risultati sempre negativi alla ricerca di C. burnetii nel latte mediante analisi PCR40. Le differenze nei profili di eliminazione del batterio tra bovini e ovi-caprini possono spiegare perché questi ultimi sono identificati più frequentemente rispetto ai primi come causa
di contagio dell’uomo.
Dr. Giosuè Ruggiano