Serendipita indica: fungo in simbiosi con il pomodoro

«The gift of accidental sagacity», per John Paul Lederach (nel saggio The Moral Imagination. The Art and Soul of Building Peace, Oxford Scholarship Online, 2005), ovvero «il dono della sagàcia accidentale » , la serendipità. Concetto liquido, adsorbito sul denso operare scientifico, fu coniato e poi donato alla vulgata, dall’acuto statista e letterato britannico Sir Horace Walpole, IV Conte di Oxford, autore del genopoietico romanzo Il castello di Otranto, e famoso per un suo vasto epistolario. Dal quale, infatti, affiora il neologismo: serendìpity. Divenuto, oggi, nome scientifico di un fungo, Serendipita indica, dalle sorprendenti facoltà stimolanti il metabolismo vegetale; qui, su delicate piante di pomodoro.

Sarandīb, Serendip, Serendipita indica.

Prima di tutto fu il sanscrito, a far da culla a lingue nobilissime e complesse, poi il persiano, l’arabo. Siṃhaladvīpaḥ, dunque; poi, l’arabo Sarandīb, ed il persiano Serendip. Ma le radici ètime, sono molte, molte più di quelle che si ricercano, e tutte intendono indicare le terre dell’odierno Sri Lanka, Isola d’Oro. Dove, la fortuna dei sagaci, ha un’origine che si perde, in versioni orali, nella notte dei tempi.

A Serendip, il grande re Giaffer, ritrovandosi tre figli maschi coltissimi, poichè educati dai più grandi saggi del tempo, ma privi di un’esperienza altrettanto completa di vita pratica, «deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l’esperienza, quello che colla lettione de’ libri, e disciplina de’ precettori s’erano di già fatti padroni». Così la versione cinquecentesca europea, in italiano del veneto Michele Tramezzino, del racconto Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo (figura 1), che ispirò, finanche il personaggio di Zadig (figura 2), dell’omonimo romazo di Voltaire (Zadig, ou la destinée, 1747).

Non ottimismo o fortuna, ma armonia e buona osservazione.

La serendipità, consiste nell’affrontare difficoltà o semplici ricerche con lo sguardo aperto, illimpidito dallo studio, dalle Idee, ed una mente colma ma ancor capiente, per i segnali del mondo; nonostante, e forse proprio per questo, non se ne abbia competenza pregressa, di tale mondana Materia. Come i tre figli di re, del racconto, che grazie ad un’ispirazione induttiva, hanno prestato aiuto al prossimo, salvandosi la vita, e la futura maestà. La valorizzazione della vista, dunque, preminente sugli altri sensi, come nella tecnica araba detta firāsa, guida verso soluzioni che ci si ritrova in tasca, potendo ben sembrare profeti o veggenti. Oggi, riusciti scienziati.

Dal novellare alla ricerca scientifica: Serendipita indica.

Nei molti romanzi persiani, fioriti tra XIII e XIV secolo, il novellare ha funzione taumaturgica sul breve àmbito somatopsichico umano, o solo rièduca, moralizza politicamente i sovrani. Non estranea neppure alle antiche e proteiformi pratiche mediche indiane, la narrazione terapeutica è sublimata nell’affascinante inventiva dell’eterna Shahrazād. Perno della più chiara silloge favolistica della memoria collettiva: Le mille e una notte, in cui pure si cita Serendip.

Anche lei, la figlia del visir, femminilizzazione dello stesso archètipo, còclea convogliante nozioni, dita pazienti raggranellanti spunti, con i quali perseguire benèfici scopi, nel concreto e spietato mondo degli ottusi. La stessa aristotelica abduzione, dopotutto, che consente di azzardare soluzioni, lì dove i più non rilevano neppure la questione, ne è una declinazione preoccidentale. Fino a raggiungere, attraverso le osservazioni di Carlo Ginzburg, nel celebre saggio del 1979, Spie. Radici di un paradigma indiziario, la traccia d’origine delle vere e proprie scienze induttive dei secoli XVIII e XIX; medicina e connoisseurship, in testa.

Modello cognitivo scientifico, la serendipità, informa linguaggio e nomenclatura scientifica, oggi. Il fungo Serendipita indica, che prima s’indicava come Piriformospora indica, ne è un pertinente esempio.

Fungo monotipico, dagli innumerevoli vantaggi.

Isolato, per la prima volta, su legnosi arbusti xerofiti, ovvero adatti ad ambienti inospitalmente siccitosi, Ziziphus nummularia e Prosopis juliflora, dal gruppo del Prof. Ajit Verma, nel deserto del Thar, in Rajastan. Colonizzatore di radici, possiede clamidospore piriformi che giustificano la prima nomenclatura di Piriformospora; clamidospore (figura 3), ovvero spore latenti, ipnospore tecnicamente, quiescenti, dormienti in attesa di meglio, di un invito a germinare, venir fuori dal χλαμΰς, quel «mantello» che le tiene protette dalle avverse circostanze. Multicellulari amplessi, di elementi interconnessi, grazie a pori pratici sui setti, divisori d’identità intercellulari. Risultato felice e virulento, di riproduzioni asessuali, agili, temibili.

Figura 3 – Clamidospore di Serendipita indica.
Fonte [springer].

La simbiosi fungina, risale al Devoniano: tanto, i fossili analizzati hanno restituito, esponendo ancora strutture aliene, in radice. Studi di Remy e colleghi, riconobbero nell’antico connubio, causa motrice dell’emersione vegetale dalle acque, alla conquista della terraferma. Quel che lo sguardo della scienza coglie oggi, tuttavia, è puramente, o poco più, l’aspetto relazionale effettore, codifcato in distinzioni da manuale. Mutualismo, commensalismo, parassitismo. Tutte da prospettiva d’ospite.

Le interazioni mutualistiche, nel suolo, sono foriere di scambi nutritivi, durante i quali il fungo acquista atomi di carbonio dall’ospite, e gli rende ricambiante facilità d’assorbimento ed assimilazione degli elementi essenziali del terreno: azoto, ferro, fosforo. Ma, naturalmente, questa chimica diafonìa comunicativa, nella simbiosi, è ben più complessa di quanto la ricerca stilizzi. Anche per questo, la relazione tra fungo Serendipita indica e specie vegetali, consegue variegati risultati.

Piano coloniale da gentil conquistatore.

La simbiosi si instaura in due fasi successive. Nella prima parte della sortita, S. indica secerne proteine effettrici, interferenti con l’omeostasi ormonale dell’ospite vegetale. Tanto, per eludere, quanto per sopprimere, le difese locali. L’innesto, quindi, della biotrofìa viene ulteriormente stabilizzato da sintesi endofitica di fitormoni; analoghi a quelli messi a tacere nell’ospite.

Certo, i meccanismi esatti con i quali S. indica conceda i benefici all’ospite non sono ancora del tutto scoperti, ma avvedutamente si presume che correlino con una nuova efficacia estrattiva dei nutrienti pedologici, ed una accresciuta responsività delle piante colonizzate.

I simbionti fungini, sintetizzano, dunque, metaboliti in grado di riprogrammare il sistema biochimico di segnalazione vegetale, nonchè il metabolismo dell’ospite vegetale, oppure produrre degli antimicrobici per difendere se stessi da competitori consimili. Ecco, alcuni prodotti di un tale matabolismo speciale, sono gli attori in scena che modulano la simbiosi in atto, e intrecciano un ricco tessuto di relazioni con gli altri organismi. Un habitus multitrofico, dunque.

Simbiosi del fungo con piante di pomodoro: lo studio.

I ricercatori, del gruppo condotto da Fani Ntana, hanno dapprima posto in coltura su un medium solido completo (CM, agar 1.5% w/v), l’isolato del fungo S. indica DSM 11827, ad una temperatura di 28°C. Intanto, essi hanno anche sterilizzato la superficie dei semi di Solanum lycopersicum (1 minuto in etanolo 70% e 10 minuti in NaClO 1% v/v), risciacquandoli poi più volte con acqua MilliQ. Trasferiti, quindi, in camera di crescita, fino a piena e completa germinazione; ad 11 giorni dall’inizio.

Le piantine di pomodoro generatesi, son state poste in incubazione, immerse in sospensione clamidosporica di S. indica (40 mL a 300.000 clamid/mL di concentrazione). Overnight, sotto agitazione a 120 rpm, e temperatura ambiente. I controlli, invece, ottenuti per semplice incubazione in acqua sterilizzata.

A questo punto, campioni e controlli sono stati seminati su MS di base ed agar 1.5% (w/v), lasciandoli crescere insieme fino alla raccolta. Raccolta, come detto, dopo 11 giorni, e campionatura che ha riguardato radici e foglie (prima e seconda foglia), separatamente. Previo congelamento overnight, i ricercatori hanno poi estratto RNA totale, mediante apposito kit (Spectrum™ Plant Total RNA Kit, Sigma-Aldrich, St. Louis, MO, USA). Sequenziato gli estratti presso Novogene Bioinformatics Technology Co. Ltd. (Hong Kong), i quali hanno fornito più di 30 milioni di letture di sequenze, per campione. Applicando infine la versione Salmon 0.12.0, essi hanno stimato l’abbondanza di trascritti, delle piante di pomodoro colonizzate dal fungo.

Ultime verifiche qualitative degli esiti genetici, e primi risultati.

A seguito, quindi, di verifiche di qualità delle sequenze geniche, ottenute nei passaggi precedenti, e confortati da valori di FDR ≤ 0.05 (false discovery rate), i ricercatori hanno considerato solo questi esiti di ontologia genica (GO). Progetto, quest’ultimo, bioinformatico d’ontologia, volto ad uniformare i criteri di descrizione delle caratteristiche dei prodotti genici, in diverse specie.

In termini di GO, quindi, i geni up-regolati in foglia risultano associati a processamento dell’RNA, biogenesi ribosomiale, trasporto nucleare. Quelli down-regolati, afferiscono alla regolazione trascrizionale. Invece, termini di GO più abbondanti, in radice, vedono up-regolati quelli che codificano per prodotti legati alla difesa, all’immunità della pianta ospite; altre categorie di GO sono inoltre rivelatesi associate a biosintesi e segnalazione ormonale, a processi apoptotici e stati carenziali di azoto. I geni down-regolati, quelli responsabili di processi biologici in risposta a stress abiotici, biosintesi di fenilpropanoidi e flavonoidi.

Effetti della simbiosi, tra Serendipita indica e pomodoro in pianta.

La presenza di S.indica, nelle radici delle piantine di pomodoro, comporta dunque una regolazione al ribasso della maggior parte dei geni coinvolti nella sintesi fogliare di glicoalcaloidi steroidei. La biosintesi del colesterolo, inoltre, precursore di tali glicoalcaloidi steridei, risulta meno espressa in foglie di piante di pomodoro colonizzate dal fungo, rispetto al controllo. Eppure, solo cambiamenti meno evidenti si registrano in sede di radice, che tuttavia è il luogo deputato a fronteggiare la prima presenza del colonizzatore fungino.

La simbiosi con pomodoro, inoltre, si riflette sulla modulazione della biosintesi di composti fenolici, sia in foglia che in radice. Diversamente, quasi immutate sono, nel loro funzionamento, le vie biosintetiche dirette di fenilpropanoidi, flavonoli, flavonoidi, antocianine. I geni, in particolare, C3H1 e pCSE, in grado di guidare la via biosintetica di lignina ed acido idrossicinnamico, sono gli unici stimolati dalla presenza in simbiosi del fungo, in entrambi i tessuti vegetali (foglia e radice).

Ma la colonizzazione fungina, si dimostra anche promotrice dell’attività genica correlata a immagazzinamento energetico, formazione di membrane, biosintesi ormonale. Ed in particolare, biosintesi di falcarindiolo, maggior responsabile del gusto amaro nelle carote, il più attivo tra i diversi organici poliini, con potenziale attività anticancro, ma, soprattutto, lidipe acetilato con proprietà antifungine.

Metaboliti vegetali speciali: tutto, fa difesa.

I prodotti di un metabolismo orientato da una simbiosi colonizzante, si rivelano infine utili nell’adattamento e nell’interazione dell’ospite con il suo stesso ambiente di crescita. Agendo da veri e propri composti difensivi, contro microrganismi altri, ed altre piante competitrici. Ma non basta. C’è anche la loro funzione di molecole segnale, attrattori di impollinatori o di animali disseminatori. Tuttavia, tali tipi di composti entrano in gioco solo in caso di attacchi patogeni o predatori.

La precisa ed incisiva regolazione trascrizionale di tale rete metabolica specializzata, può anche spiegarsi come il tentativo dell’ospite di rallentare l’espansione incontrollata del fungo, salvaguardando il più possibile le sue risorse. Vi sarà quindi un sistemico trasferimento di segnale d’allarme, per invasione fungina, dalla radice alla foglia. La manifestazione differenziale, tuttavia, d’espressione genica, a livello fogliare, con risvolti di attivazione o rallentamento metabolico, può consentire studi su nuovi strumenti diagnostici. Rilevare infatti tempestivamente infezioni microbiche e colonizzazioni promette soluzioni aggiuntive, giungendo per esempio all’incremento di biomassa. Quelle felici ed inattese scoperte, mentre si aspirava ad altro. Come «cercare un ago in un pagliaio e trovar la figlia del fattore».

Fonti

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