Pleurotus ostreatus

Caratteristiche

Pleurotus ostreatus (comunemente chiamato agarico ostreato, fungo orecchione, fungo ostrica e gelone) è un fungo saprofita e commestibile appartenente al phylum dei basidiomiceti. Raffigura uno dei miceti selvatici che vengono cercati con maggiori frequenza, e la sua coltivazione come mezzo di sussistenza iniziò in Germana durante la Prima Guerra Mondiale; al giorno d’oggi è incluso nel commercio degli alimenti in tutto il mondo.

Il nome scientifico del fungo indica il tipico aspetto del corpo fruttifero; il termine “pleurotus”, che significa “di traverso”, si riferisce alla crescita di sbieco del gambo rispetto al cappello, mentre la parola “ostreatus”, che vuol dire “ostrica”, è connessa alla forma del cappello che sembra il guscio di un’ostrica (Fig. 1A).

P. ostreatus è diffuso in molte foreste subtropicali e temperate del globo, eccetto nella regione Pacifico nord-occidentale dell’America settentrionale, dove invece sono presenti altre specie, ovvero P. pulmonaris e P. populinus. Il fungo orecchione prolifera in autunno e in inverno, sia in pianura che in montagna, e normalmente lo sviluppo avviene a fine autunno per continuare fino alla primavera. È capace di tollerare le temperature gelide, infatti il freddo intenso interrompe la sua crescita, che però può ricominciare celermente nelle giornate tiepide; da questa capacità di resistere alle temperature glaciali deriva il nome gelone. L’habitat caratteristico del micete sono i tronchi di latifoglie morenti, soprattutto salice, pioppo e gelso, dove cresce da solo o in gruppi (creando la disposizione a mensola dei cappelli) (Fig. 1B) e induce la putrefazione del legno. Il processo di decomposizione rappresenta un beneficio per le foreste, dal momento che permette la restituzione all’ecosistema di minerali ed elementi vitali che possono essere utilizzati da altre piante e organismi.

Figura 1 – P. ostreatus che cresce sul tronco di un albero
Figura 1 – P. ostreatus che cresce sul tronco di un albero [Foto di Gianni Bonini / Foto di Emilio Pini]

Oltre ad essere un saprofita, P. ostreatus è anche un fungo carnivoro che parassita e divora i nematodi mediante la secrezione di una tossina che promuove l’influsso massivo di calcio nelle cellule muscolari della faringe e della testa. In questo modo i muscoli del verme vanno incontro a una contrazione eccessiva che conduce alla necrosi rapida del sistema neuromuscolare. In aggiunta a ciò, il micete sintetizza delle proteasi con attività vermicida. Alla fine la preda viene ridotta a una massa soffice, allo scopo di facilitare l’ingestione. La conversione a fungo carnivoro raffigura un adattamento per sopravvivere in ambienti poveri di materia vegetale. L’agarico ostreato è in grado di parassitare multipli generi di nematodi, tra cui Caenorhabditis, Diploscapter, Oscheius, Rhabditis, Pristionchus, Panagrellus, Acrobeloides, Cephalobus, Mesorhabditis e Pelodera.

Filogenesi

DominioEukaryota
RegnoFungi
PhylumBasidiomycota
ClasseBasidiomycetes
OrdineAgaricales
FamigliaPleurotaceae
GenerePleurotus
SpecieP. ostreatus
Tabella 1 – Filogenesi di P. ostreatus

Morfologia

P. ostreatus è contraddistinto da un gambo obliquo rispetto alla base, di forma cilindrica, di lunghezza variabile (tra 2 e 6 cm), spesso 1-2 cm e snellito a livello della radice. Tali proprietà gli conferiscono una sembianza fusiforme. Il pigmento è bianco o biancastro (Fig. 2A), ed è rivestito parzialmente da una sostanza polverosa e opaca (la pruina), avente un colore grigiastro o bruno-grigiastro. Essa è dovuta all’aggregazione di cellule o alla presenza delle spore.

Il cappello esibisce forme dissimili nel corso della crescita; al principio è convesso, sferoidale/ovale e strettamente congiunto con i cappelli limitrofi. In seguito acquisisce una sagoma che somiglia a un’ostrica o a un ventaglio, con la superficie che da convessa diventa piatta o leggermente depressa. Il pigmento può essere bruno-violaceo, bruno-rossiccio o grigio biancastro (Fig. 1 e 2). Il contorno è liscio, anche se, quando raggiunge la maturità, diventa ondulato, diviso in lobi e con alcune fratture (Fig. 3A). 

La parte posteriore del cappello è distinta da lamelle che discendono sul gambo; si presentano spesse, accostate e inframmezzate da lamellule (lamelle più o meno corte che non arrivano fino al gambo) (Fig. 3B).

Figura 2 – Capelli e gambi di P. ostreatus
Figura 2 – Capelli e gambi di P. ostreatus [Foto di Gianni Bonini / Foto di Massimo Biraghi]
Figura 3 – A) Esemplari maturi di P. ostreatus. B) P. ostreatus su legno di cerro; sono ben visibili le lamelle
Figura 3 – A) Esemplari maturi di P. ostreatus. B) P. ostreatus su legno di cerro; sono ben visibili le lamelle [Foto di Gianni Bonini / Foto di Luigi Minciarelli]

Per quanto concerne le spore, appaiono cilindriche o ellissoidali, ialine e dalla superficie levigata (Fig. 4). Le dimensioni sono 8-12 x 3-4 μm.

Figura 4 – Spore di P. ostreatus
Figura 4 – Spore di P. ostreatus [mushroom-collecting.com]

Infine, la carne è bianca, densa e corposa, dalla fragranza intensa che ricorda la farina fresca, e dal sapore zuccheroso e soave. C’è da dire che i funghi spontanei sono più saporiti rispetto a quelli coltivati.

Coltivazione e cenni di gastronomia

Per coltivare il fungo orecchione esistono due metodiche, ovvero coltivazione “manuale” a terra su tronchi d’albero (Fig. 5A) e coltivazione “industriale” mediante substrati già pronti (Fig. 5B). Se si ricorre al primo criterio, il più complesso, è opportuno iniziare nella stagione invernale e rispettare specifiche fasi: procurarsi dei tronchi (se possibile di pioppo), che abbiamo un diametro maggiore di 20 cm, e preservarli in uno spazio ombreggiato fino al periodo tra aprile e giugno. Il motivo per cui bisogna raccogliere i tronchi d’inverno è perché in questa stagione gli alberi non fioriscono. Il prossimo passaggio consiste nel tagliare i tronchi al fine di ricavarci dei ciocchi di 30 cm, scavare una buca le cui dimensioni devono essere un metro di ampiezza e 120 cm di profondità, collocare sul fondo di essa uno strato di micelio del fungo e, sopra al micelio, appoggiare alcuni tronchi in posizione verticale. In seguito si crea un ulteriore strato di micelio su cui sistemare altri tronchi fino a raggiungere il bordo della fossa. Successivamente bisogna coprire la superficie con tavole e un foglio di plastica. All’interno della fossa si genereranno calore e umidità, che consentiranno la propagazione del micelio su ogni tronco. Nel mese di settembre i tronchi devono essere rimossi e posti in uno strato di terreno di 15 cm, a una distanza di circa 30 cm l’uno dall’altro. Trascorso un lasso di tempo di 15-20 giorni, la produzione avrà inizio e si ripeterà ad ogni stagione susseguente.

Ci sono diversi fattori importanti a cui attenersi per garantire la proliferazione del fungo, cioè l’umidità del 90%, la temperatura tra 15° C e 20° C, assenza di sole troppo caldo e/o un vento eccessivamente forte, e in caso di siccità, occorre nebulizzare i composti due o tre volte al giorno.

Per quanto concerne il secondo procedimento, è possibile eseguirlo a casa propria anche se non si possiede un terreno, dal momento che, invece dei tronchi, si impiegano dei cubetti (balle) di substrato formato da paglia, mais, grano e leguminose. Questi cubetti vengono inseminati con colture di micelio e messi in un sacco di plastica; a questo punto si dà iniziò all’incubazione, che si protrae per 20 giorni e necessita di un sito umido, in penombra, senza vento diretto e con una temperatura di circa 25° C. Durante questa fase si raccomanda di controllare giornalmente la temperatura del substrato, che deve essere compresa tra 30° C e 32° C; in caso di innalzamento, far ricambiare l’aria nelle ore più favorevole, mentre in caso di abbassamento, riscaldare il locale. Inoltre, almeno una volta al giorno è doveroso nebulizzare le balle.

Nel momento in cui il micelio si è espanso e ha ricoperto i cubetti, questi vanno rimossi dal sacco e posizionati in un posto soleggiato, protetto da pioggia e vento, dove la temperatura si mantiene sui 15° C. I funghi prolifereranno in maniera ciclica, interrotti da diminuzione della temperatura. È fondamentale che l’ambiente scelto sia disinfettato con prodotti aventi un’azione battericida e sporicida (per esempio quelli a base di sali quaternari di ammonio), e trattato con insetticidi in grado di uccidere le larve, per evitare infestazioni da moscerini.

A prescindere da quale metodo si adopera, ricordarsi di garantire il ricircolo dell’aria, che rende uniformi le condizioni del locale di coltivazione, e permette l’eliminazione dell’anidride carbonica prodotta dal metabolismo dei funghi.

Figura 5 – Coltivazione di P. ostreatus su tronchi (A) e su cubi di substrato (B)
Figura 5 – Coltivazione di P. ostreatus su tronchi (A) e su cubi di substrato (B) [www.misterfunghi.it / www.giardinaggio.it]

P. ostreatus ha un alto valore nutrizionale grazie all’elevato contenuto di proteine, fibre e carboidrati; tra le altre cose, presenta una bassa concentrazione di lipidi e sodio. In cucina questo micete può essere adoperato in svariati modi, per esempio cotto alla graticola (impanato o in umido), gratinato al forno, bollito e condito con olio, limone, sale e pepe, farcito dopo bollitura, conservato sott’olio o sotto aceto (per poi essere usato nei ripieni o nelle insalate di riso), essiccato.

P. ostreatus in micoterapia

Il gelone, oltre ad essere commestibile, è incluso nei funghi medicinali, dal momento che possiede molteplici proprietà terapeutiche per l’organismo. Tra queste abbiamo:

  • Abbassamento dei livelli di trigliceridi e colesterolo grazie alla lovastatina (o mevinolina), un polisaccaride che induce l’eliminazione di lipidi e colesterolo attraverso le feci e la riduzione dell’attività dell’enzima HMG-CoA reduttasi, coinvolto nella via biosintetica del colesterolo;
  • Azione immunomodulante e antineoplastica dovuta a polisaccaridi come il beta-D-glucano ad alto peso molecolare;
  • Potenziale effetto neutralizzante verso l’HIV, poiché il fungo ostrica esprime l’enzima ribonucleasi, che può degradare il materiale genetico del virus;
  • Attività antiossidante connessa alla presenza di fenoli e vitamina C, e alla capacità del micete di stimolare enzimi che neutralizzano gli intermedi reattivi dell’ossigeno (ROS), come la superossido dismutasi, la catalasi e la perossidasi;
  • Effetto protettivo sul fegato: nei modelli murini si è visto che il micete riesce ad alleviare le alterazioni prodotte dal tioacetammide (composto chimico cancerogeno, irritante e dannoso), cioè infiammazione, steatosi, cirrosi e necrosi. Inoltre, diminuisce il rilascio di fosfatasi alcalina, migliora i livelli sierici degli enzimi alanina amminotransferasi (ALT) e aspartato amminotransferasi (AST), e delle proteine totali, come anche i livelli epatici dei trigliceridi.

Identificazione

Il riconoscimento di P. ostreatus si basa sull’osservazione di specifiche caratteristiche, ovvero il luogo in cui si trova il fungo, cioè su tronchi o alberi di latifoglie decidui, il cappello a forma di ostrica o reniforme, dal colore, di solito, biancastro, crema, grigiastro o marrone chiaro o scuro, e il diametro compreso tra 5 e 25 cm; il gambo latteo e inclinato, la carne candida e compatta, e le lamelle che proseguono sul gambo (biancastre nei funghi più giovani, tendenti al giallo in quelli più vecchi). I cappelli sono spesso raggruppati e vicini tra loro a formare strutture simile a delle mensole.

Un’ulteriore elemento distintivo impiegato nell’identificazione è la sporata, o impronta delle spore, che si ottiene in questo modo: si taglia il gambo nel punto in cui è attaccato al cappello, dopo si poggia il cappello, dalla parte delle lamelle (la zona che rilascia le spore), su un supporto di vetro o su un cartoncino, e si lascia per alcune ore o anche per una notte. Nel caso in cui l’ambiente è asciutto, coprire il cappello con un bicchiere di vetro. Le spore che si raccolgono sul supporto creeranno un’impronta che riproduce l’assetto delle lamelle, e che avrà un colore specifico. La sporata di P. ostreatus si presenta biancastra, debolmente giallognola o lilla (Fig. 6). 

Figura 6 – Sporata di P. ostreatus
Figura 6 – Sporata di P. ostreatus [www.gkochert.com]

P. ostreatus come possibile alleato contro l’inquinamento

Al giorno d’oggi il massivo consumo di plastica e il suo accumulo nell’ambiente raffigura la sorgente primaria di inquinamento e, di conseguenza, uno dei problemi maggiori legati alla salvaguardia dell’ambiente. Sappiamo molto bene che esistono svariati oggetti che sono composti interamente da plastica o che contengono plastica, ad esempio bottiglie, buste, cannucce, assorbenti, pannolini, dispositivi elettronici, confezioni di alcuni cibi, ecc. Tali oggetti hanno la proprietà di non essere biodegradabili a causa delle sostanze che compongono la plastica, come il polietilene (PE) e il polipropilene (PP), che sono polimeri stabili e impiegano lunghi periodi di tempo per degradarsi naturalmente (da 200 a 1000 anni).

Un’alternativa per ridurre l’accumulo di plastica è lo sviluppo di polimeri biodegradabili, che sono economicamente sostenibili e amici dell’ambiente. In natura questa tipologia di polimeri viene deteriorata da alghe, enzimi batterici e fungini. In diversi studi i ricercatori hanno analizzato la capacità di P. ostreatus di crescere su substrati contenenti polietilene ecologico (cioè ottenuto da fonti rinnovabili come la canna da zucchero) e polietilene oxo-biodegradabile. Questo termine indica la biodegradazione mediante fenomeni ossidativi che si verificano grazie alla presenza di componenti pro-ossidanti come ioni metallo od ossidi di metallo (per esempio ossido di titanio). In due lavori del 2014 e 2015, pubblicati su PLOS ONE, due gruppi di scienziati guidati da José Maria Rodrigues de Luz, indagarono la proliferazione del micelio su plastica oxo-biodegradabile e polietilene ecologico dopo esposizione alla luce del sole. Durante l’incubazione avveniva la riduzione del substrato e un deterioramento delle proprietà meccaniche della plastica, e il processo era maggiore se l’esposizione al sole era compresa in un lasso di tempo tra 90 e 120 giorni. Comunque, il micete alterava la superficie dei materiali a prescindere dalla presenza della luce solare, malgrado i cambiamenti fossero più evidenti con l’esposizione al sole.

La capacità di P. ostreatus di degradare il PE, ma anche il PP, è legata al fatto che queste sostanze presentano una similarità molecolare con la lignina, un componente delle cellule vegetali che il fungo è in grado di consumare, insieme alla cellulosa e all’emicellulosa; questi tre polimeri vegetali raffigurano delle fonti di carbonio e di energia per il fungo. Anche il PE e il PP fungono da sorgenti di carbonio che P. ostreatus può assorbire grazie alle sue proprietà saprofite. Questo discorso si ricollega al micete come arma contro l’inquinamento, dal momento che alcuni prodotti di plastica sopra elencati, come pannolini e assorbenti, contengono anche cellulosa; infatti, il fungo riesce a proliferare su pannolini usati che, nel giro di due mesi, perdono fino all’85% della loro massa di partenza. Tale caratteristica viene illustrata in uno studio del 2021, pubblicato su Earth and Environmental Science, in cui i ricercatori hanno coltivato P. ostreatus su pannolini e assorbenti per 90 giorni e hanno constatato che lo sviluppo del micete su questi due prodotti comportava la riduzione della resistenza, la perdita del peso e la formazione di crepe e buchi.

In tutti e tre i lavori citati l’analisi della colonizzazione fungina e della decomposizione dei substrati è stata eseguita mediante microscopia elettronica a scansione e spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier.

Fonti

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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