Lipomyces starkeyi: una cell factory per la produzione di biodiesel di nuova generazione da canne giganti infestanti

Dalle risorse fossili ad una bioeconomia

La transizione da un’economia basata sulle risorse fossili ad una bioeconomia è un obiettivo globale attuale volto a contrastare alcune importanti problematiche, come i cambiamenti climatici e l’inquinamento ambientale; e per ridurre la dipendenza delle attività antropiche dalle fonti fossili.

Pertanto, la sostituzione dei combustibili e dei materiali derivanti dal petrolio con biocarburanti e bioprodotti da fonti rinnovabili (es. biomasse) rappresenta una delle soluzioni chiave per contrastare questi problemi ambientali.

Tra i biocarburanti, il biodiesel rappresenta una delle fonti più promettenti di energia rinnovabile. Questo perché da un lato non immette nuova anidride carbonica in atmosfera (non alterando quindi il ciclo naturale del carbonio); dall’altro lato non richiede nuove tecnologie e nuovi motori per il suo utilizzo, favorendone, quindi, l’utilizzo e la sostenibilità economica.

Biodiesel tradizionale e biodiesel di origine microbica

Il biodiesel tradizionale, attualmente in commercio, viene prodotto, su scala industriale, a partire dagli oli vegetali ottenuti da colture oleaginose, come palma, colza e girasole. Tuttavia, quasi tutte le specie vegetali oleaginose ad alta produttività sono colture appartenenti alla filiera alimentare.

Di conseguenza, ciò determina un dibattito etico e sociale, dai risvolti anche economici, sul corretto utilizzo di queste risorse rinnovabili. Questo a causa della competizione tra l’industria chimica/energetica e la filiera agro-alimentare.

Una soluzione innovativa e promettente è rappresentata dal biodiesel di nuova generazione, prodotto non dagli oli vegetali, bensì dagli oli microbici, ossia dai cosiddetti “single cell oils” (letteralmente “oli di singola cellula”). Infatti, diversi microrganismi, come batteri, lieviti e microalghe, sono in grado di produrre elevate concentrazioni di olio all’interno delle proprie cellule.

In particolare, i lieviti oleaginosi possono accumulare lipidi oltre il 20% del proprio peso cellulare secco (fino al 60-70%). E il profilo lipidico tipico dell’olio microbico è molto simile a quello dei principali oli vegetali usati per produrre il biodiesel di prima generazione.

Inoltre, questo bio-olio rappresenta una piattaforma chimica estremamente versatile (e per questo di grande interesse per l’industria), in quanto funge da materia prima per la sintesi chimica di diversi prodotti a base biologica, come i tensioattivi, i lubrificanti, gli additivi alimentari, le bioplastiche, le vernici e i detergenti.

Lipomyces starkeyi: cell factory per la produzione di biodiesel

Tra i lieviti oleaginosi, la specie Lipomyces starkeyi (Fig. 1) è una delle più promettenti cell factory per la produzione di bio-oli di nuova generazione.

Fotografia al microscopio elettronico a scansione di cellule del lievito oleaginoso L. starkeyi.
Figura 1 – Fotografia al microscopio elettronico a scansione di cellule del lievito oleaginoso L. starkeyi. [Credits: ayousuf.yolasite.com]

Essa, infatti, è caratterizzata da elevate rese lipidiche (fino a 24 g di lipidi su 100 g di zuccheri consumati), dalla capacità di metabolizzare zuccheri esosi (es. glucosio), zuccheri pentosi (es. xilosio), acidi organici (es. acido acetico, propionico e butirrico), glicerolo e N-acetilglucosammina.

Inoltre, L. starkeyi presenta una buona tolleranza ai composti inibitori della crescita, come i composti furanici (furfurale, 5-idrossimetilfurfurale) e gli acidi organici, presenti solitamente negli idrolizzati delle biomasse lignocellulosiche. Queste ultime sono spesso usate per la produzione di zuccheri di seconda generazione (non derivanti da piante appartenenti alla filiera alimentare) da usare come substrato nei processi di fermentazione.

Tutte queste caratteristiche, abbinate alla conoscenza approfondita del genoma di questa specie di lievito e di tecniche di ingegneria metabolica, rendono il L. starkeyi uno dei microrganismi candidati ad essere impiegati come cell factory in moderni processi di bioraffineria su scala industriale.

Canne giganti infestanti come fonte di zuccheri per la produzione di bio-oli

Gli attuali prezzi elevati della maggior parte delle fonti di carbonio convenzionali (es. zuccheri di prima generazione da biomasse alimentari) limitano fortemente la competitività economica degli oli di origine microbica (e, di conseguenza, del biodiesel di nuova generazione), rispetto ai prodotti di origine fossile.

Al contrario, le biomasse lignocellulosiche, ossia scarti agro-industriali o colture perenni non edibili sono ad alto rendimento e poco costose. Per questo rappresentano un’alternativa sostenibile, da un punto di vista economico ed ambientale, per la produzione di zuccheri, da usare come fonte di carbonio per i microrganismi oleaginosi.

Tra le biomasse lignocellulosiche più promettenti vi sono le erbe giganti infestanti, tra cui la canna comune o gigante, corrispondente alla specie vegetale Arundo donax L. (Fig. 2).

Terreno ricoperto dalla canna gigante (A. donax L.).
Figura 2 – Terreno ricoperto dalla canna gigante (A. donax L.) [Credits: ctvnews.ca]

La canna gigante è caratterizzata da diversi aspetti positivi: è una specie perenne (non richiede la lavorazione annuale del terreno); è caratterizzata da elevate produttività (fino a 40 tonnellate per ettaro per anno) e da bassi input agronomici (es. acqua, fertilizzanti); non richiede l’irrigazione; è in grado di crescere su terreni marginali, contaminati o sottoutilizzati; è in grado di rimuovere efficacemente i nitrati dal suolo contribuendo a mitigare il rischio di inquinamento da nitrati; non soffre di alcun patogeno o parassita importante.

La canna gigante è ricca di emicellulosa e cellulosa da cui è possibile ottenere, rispettivamente, xilosio e glucosio da usare come fonte di carbonio a basso costo nei moderni processi di fermentazione su scala industriale.

Al fine di garantire la sostenibilità economica del processo e la competitività con i prodotti di origine fossile, è fondamentale frazionare e valorizzare completamente i polisaccaridi, presenti in questa biomassa, attraverso approcci catalitici chimici e/o biologici efficienti.

L. starkeyi in un innovativo schema di bioraffineria

Il gruppo di ricerca di Green Catalysis del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, guidato dalla Prof.ssa Anna Maria Raspolli Galletti, ha sviluppato recentemente un innovativo schema di bioraffineria (Fig. 3) per la produzione del biodiesel di nuova generazione a partire dalla canna gigante infestante utilizzando come cell factory il lievito L. starkeyi.

Rappresentazione schematica del processo di bioraffineria per la produzione di biodiesel di nuova generazione a partire dalla canna gigante da parte del lievito oleaginoso L. starkeyi.
Figura 3 – Rappresentazione schematica del processo di bioraffineria per la produzione di biodiesel di nuova generazione a partire dalla canna gigante da parte del lievito oleaginoso L. starkeyi. [Credits: sciencedirect.com]

Tale studio, svolto in collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, guidato dal Dott. Giorgio Ragaglini, ha dimostrato come sia possibile produrre quantità di bio-olio paragonali – o in alcuni casi superiori – rispetto a quelle ottenute da colture oleaginose (non perenni) presenti nel Mediterraneo, partendo da una biomassa non oleaginosa, perenne, poco costosa ed infestante.

Grazie ad innovativi approcci catalitici, basati sulla sinergia tra catalisi chimica ed enzimatica e sull’impiego delle microonde come sistema di riscaldamento più efficiente, sono stati ottenuti idrolizzati ricchi di zuccheri (glucosio e xilosio), a partire dalla canna gigante.

Successivamente, gli idrolizzati non detossificati sono stati utilizzati come mezzo di coltura in processi di fermentazione per la produzione di olio di singola cellula da parte del L. starkeyi.

I modelli di bioraffineria del futuro

Tale studio dimostra come sia possibile produrre i biocarburanti del futuro a partire da fonti rinnovabili come le biomasse, implementando processi verdi sostenibili.

Nell’ottica della transizione da un’economia lineare ad una economia circolare, lo sviluppo di processi biotecnologici in grado di convertire i rifiuti agro-industriali in risorse e prodotti a valore aggiunto deve rappresentare un obiettivo e un’attività che metta insieme il mondo della ricerca e il mondo dell’industria.

In questo contesto, la microbiologica offre dei potenti strumenti green attraverso gli enzimi e/o gli interi pathway biochimici che caratterizzano tantissime specie di batteri, lieviti, funghi e microalghe.

Nicola Di Fidio

Sitografia:

Bibliografia:

  • Di Fidio, N., Ragaglini, G., Dragoni, F., Antonetti, C., Raspolli Galletti, A. M. (2020). Integrated cascade biorefinery processes for the production of single cell oil by Lipomyces starkeyi from Arundo donax L. hydrolysates. Bioresource Technology, 124635, https://doi.org/10.1016/j.biortech.2020.124635

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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