«Il grano biondo sussurrava al vento./Qualche fior rosso, qualche fior celeste./Tra i gambi secchi sorridea contento./Pendeano li agli e le cipolle in reste./S’udian, mutata alfin la voce in gola,/cantar galletti, alteri delle creste», diceva Pascoli in “Tra le spighe”. Ma quanto è cambiato quel grano che ci ha fatto uomini (Figura 1). Un nuovo studio rivela che una guida, genomica più che spirituale, lo conduca, ancora oggi, fuori dal guado di interazioni micotiche errate. Una sorta di intelligence.
Selezione con intelligence
Prima fu una raccolta fortuita. Poi la cernita sensata, sulla scorta dell’esperienza empirica. Quindi venne la conquista di una stabilità di risorse nutritive in ogni stagione. Di strada, dunque, l’homo agricolus ne ha fatta eccome, spesso anche contraddicendosi nelle preferenze.
Le antiche varietà di grano si ottenevano tramite selezione massale, privilegiando gli esemplari portatori di caratteristiche ritenute positive. Questa primitiva tecnica agricola consentiva di mantenere la massima variabilità genetica all’interno della stessa specie vegetale. Risultato: piante con diverse caratteristiche fisiologiche e produttive. Buona resistenza a stress idrici e malattie. Una caratteristica frequente delle cultivar di grano era la loro taglia medio – alta, ritenuta utile a superare la concorrenza delle erbe infestanti, di solito di dimensioni inferiori. In tempi più recenti, nella creazione di nuove cultivar, invece, si è cercato di ridurne l’altezza, per contenere il rischio di allettamento delle piante, sotto i colpi di pioggia e vento.
La selezione clonale, invece, del grano domesticato, per migliorarne le rese, ha finito per annichilire la sua diversità genetica. Proprio questa, invece, sarà sempre la miglior risposta a nuovi patogeni e climate change. Si lavora quindi, adesso, come sempre, per riparare gli effetti collaterali a lungo termine delle scorse miracolose soluzioni, cercando di ripristinare tale diversità genetica. Con tecniche di ingegneria genetica avanzatissime, al servizio di un’umanità che ha sempre fame.
Ordini e contrordini agronomici
La riduzione della taglia del grano, però, ha comportato una rinnovata suscettibilità alla presenza di piante infestanti e quindi ha fatto sorgere pressanti necessità di diserbo, condotto poi con erbicidi chimici. Le cultivar più recenti hanno, d’altronde, cercato di sconfiggere la ruggine del frumento, infezione fungina causata dal basidiomicete Puccinia graminis Pers. (1794), in condizioni di estrema umidità. L’innovazione di specie ha, inoltre, migliorato la cosiddetta “stretta” evitando una maturazione troppo tardiva del grano, legata al fotoperiodo. Questa esponeva le cariossidi del grano agli effetti dell’aridità estiva, proprio nel momento cruciale del loro sviluppo (Figura 2).
Storia di fragranti fusioni
Il grano duro (Triticum turgidum subsp. durum Desf.) è un frumento tetraploide, largamente coltivato per la trasformazione in farina. Il profilo genetico tetraploide indica il fatto che esso derivi, in realtà, da un’ibridazione interspecifica tra due specie selvatiche diploidi diffuse nella Mezzaluna Fertile: Triticum urartu (cariotipo 2n=14, genomi AA) e la specie Triticum speltoides (cariotipo 2n=14, genomi BB). L’ibrido spontaneo ha dato origine al farro selvatico Triticum turgidum spp. dicoccoides (2n=28, genomi AABB). Si tratta del progenitore selvatico del farro medio domesticato del neolitico. Da questo, poi, fu selezionato il grano duro.
Solo 7000 anni fa, però, si generò un grano esaploide, risultante dell’ibridazione di Aegilops tauschii, diploide, con Triticum turgidum spp. dicoccoides, tetraploide. Siamo finalmente al nostro Triticum aestivum.
Domesticazione ed ingerenze sulla rizosfera
Oltre alla selezione resa-dipendente, l’antica agronomia dovette combattere con piante infestanti, erbivori, funghi e batteri degli erbivori. Ma essa fu anche influenzata dalle variegate abilità di manipolazione del proprio terreno di crescita e della rizosfera tutta, espressa dalle diverse varietà di cultivar. Gli effetti della domesticazione delle colture sul loro microbiota radicale, infatti, è oggi oggetto di studio.
Turner e colleghi furono in grado di dimostrare quanto le piante fossero capaci di modulare la propria rizosfera, mediante la locale proporzione esistente tra microrganismi eucarioti e procarioti.
L’intelligence del grano
I ricercatori guidati da Andrzej Tkacz, si sono dunque chiesti se la composizione microbica della rizosfera di piante di grano possa influenzare tanto la selezione, quanto le relazioni nutritive con altri microrganismi residenti. Fino a pensare, poi, di correlare il processo di domesticazione con sagge scelte naturali del genoma vegetale. Come fosse una regia d’intelligence.
Lo studio
I campioni di terreno raccolti presso una fattoria del Norfolk (UK), provengono da un campo ricoperto naturalmente di vegetazione, privo di fertilizzazione. I tecnici hanno estirpato la componente erbale e prelevato terreno da una profondità di 10-30 cm rispetto alla superficie. Il terreno ha subìto rimozione di pietre e residui di radici.
Le specie di grano incluse nella sperimentazione provengono dal locale germoplasma: T. aestivum (4 linee germinative), T. turgidum spp. (3 linee), A. tauschii (4 linee) e T. turgidum spp. dicoccoides (3 linee). Incluse anche 4 linee di grano di sintesi esaploide SHW. Quest’ultimo ha partecipato allo step di ibridazione con T. aestivum cv. Paragon, per produrre 4 linee di piante F1.
Allestimento dei campioni
I semi rispettivi, lavati ma non sterilizzati in superficie (per evitare stress ulteriori da etanolo), hanno germinato su agar MS per 2 giorni, al buio e a temperatura ambiente. Le piante che hanno proseguito nei passaggi sperimentali sono quelle prive di crescite contaminanti batteriche e fungine. Gli esiti vegetativi sono poi stati trasferiti e piantati in recipienti da 200 mL, riempiti con terreno ricoperto, infine, in superficie di perlite, per prevenire crescite algali. Tutto ciò prima di essere posti in teche di crescita di vetro, per 6 settimane. Innaffiate, intanto, mediante pipette inserite nel terreno, ben oltre lo strato di perlite. Una sola pianta per recipiente. Ogni apparato radicale e relativa rizosfera considerati replicati biologici delle linee di specie incluse nello studio.
I ricercatori hanno raccolto, alla fine, le piante in fase di sviluppo apicale e fioritura, nell’arco di una settimana. Per controllo, semplicemente contenitori di terreno privo di piante.
Gli apparati radicali estirpati hanno subìto lavaggi con acqua distillata su vortex e poi centrifugazione. Schiacciati in mortaio con azoto liquido e sabbia silicea, hanno creato i campioni radicali. Le radici rimosse ed il terreno di scarto, raccolto dopo centrifugazione, invece, sono diventati i campioni di rizosfera.
Analisi biomolecolari ed estrazione del DNA
Da 300 mcg di ogni campione di apparato radicale e di rizosfera, i ricercatori hanno estratto il relativo DNA (DNA IsolationKit D6001), quantificato il materiale genetico (Qubit 2.0, Invitrogen, Carlsbad, CA, United States) e standardizzato la concentrazione a 5 ng/mcL.
Ogni campione ha subìto amplificazione genica mediante PCR con primers eucariotici 18S rRNA. Questo tipo di primers si erano, infatti, già rivelati efficaci nel risolvere un ampio range microbico eucariotico nel suolo. Si basano su un picco quantitativo e sono in grado di rivelare presenze fungine nei campioni di terreno.
Risposte metagenomiche
I dati di metagenomica hanno restituito un pattern microbico di procarioti ed eucarioti nella rizosfera di tutte le specie di grano analizzate. In ogni caso, il rapporto è simile a quello originario del suolo o del controllo: 5.4% eucarioti nel suolo sfuso e 6.8% nella rizosfera di T. aestivum cv. Paragon. Questo indica la conservazione di un basso rapporto di eucarioti su procarioti, nel terreno circostante le radici, anche nei grani moderni, oltre a progenitori ed incroci. Indipendentemente dal numero di coppie cromosomiche e dalla storia della selezione artificiale umana. Ben si sa, ormai, che i caratteri che si conservano nel tempo e nelle specie viventi hanno un intrinseco valore evolutivo, che spesso ci lascia ignari e confusi. Quella forma di intelligence naturale che lavora per portare avanti tutte le specie viventi.
E se l’intelligence fosse un regalo dell’evoluzione?
Posta, dunque, l’invariabilità della porzione microbica delle rizosfere, i ricercatori hanno proceduto con il vaglio delle differenze tra le strutture delle comunità microbiche. Dipenderà da queste l’intelligence? Intanto, sulla base dei risultati di Bulgarelli e colleghi, i ricercatori hanno sospettato che il più ampio shift di composizione microbica sia ossevabile nel microbiota della frazione radicale. Sia dentro la radice che in superficie. Non nella rizosfera.
Per questo, essi hanno analizzato la comunità procariotica in entrambe le nicchie, per 2 linee di ogni specie di grano. Si evince, così, che una gran parte del microbiota sia condiviso da tutte le specie di grano analizzate. In realtà, singole specie di grano dimostrano di esercitare una debole pressione selettiva sul microbiota procariotico. Nella maggioranza dei casi (eccetto T. durum), però, le radici esprimono una forte pressione sulla rizosfera.
Il microbiota radicale
I campioni di ibridi SHW e T. aestivum, specialmente, sono colonizzati da un unico microbiota, sia in termini di numero di unità tassonomiche operative (OTUs), sia della loro abbondanza relativa. L’OTU procariotico è pari a 252, quello eucariotico a 242. Il core fungino, invece, consiste di 185 OTU.
Profili procariotici
Radici di grano e loro rizosfere sono colonizzate prevalentemente da Proteobacteria. Tale phylum però costituisce solo il 14.9% nel suolo sfuso, sale al 33.6% in rizosfera e raggiunge 71.1% nel microbiota radicale. Al contrario, l’abbondanza di phyla comuni nel suolo, come Actinobacteria ed Acidobacteria, è molto ridotta nel microbiota radicale.
Il T. aestivum cv. Paragon ha mostrato una particolare ricchezza in procarioti, come Cianobacteria appartenenti a due generi: Cylindrospermum e Nostoc.
Profili eucariotici
Poichè il profilo filogenetico eucariotico pare conservato tra tutte le specie di grano, i rivercatori si sono spinti ad usare analisi PCA per guardare anche le più sottili differenze tra le specie di cereali. Il risultato più impressionante ha riguardato la forte selezione a livello rizosferico, condotta da alcuni grani (A. tauschii, SHW ed ibridi F1) nei confronti di specifici Nematoda. Il moderno grano per panificazione T. aestivum, per esempio, sopprime nettamente la presenza di nematodi.
I ricercatori hanno anche riscontrato una chiara influenza del genoma D (derivato da A. tauschii selvaggio) nel supportare l’abbondanza di una specie fungina come i glomeromiceti, nella rizosfera di SHW ed F1. Ecco dove ha sede l’intelligence. Il T. dicoccoides, infatti, privo di genoma D, presenta molti meno rapporti fungini.
Intelligenti rinunce nutritive
Il genoma D, dunque, consente alle piante di selezionare gruppi microbici con cui avere rapporti di buon vicinato. Un incremento di relazioni micotiche può essere positivo, come nel caso delle micorrize (glomeromiceti), ma può anche essere fonte di rischi patogenetici da nematodi. E’ pur vero che, tra queste forme parassitarie, ne esisteno alcune in grado di aumentare la biomassa del suolo, favorendo il ciclo di fosforo ed azoto.
Sembra sempre più realistico, dunque, che le piante di grano moderno scelgano di sacrificare vantaggiosi rapporti nutrizionali con i miceti, pur di preservarsi da altri sgraditi parassiti fungini. Un compromesso evolutivo. Roba da intelligence.
Riferimenti bibliografici
- https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmicb.2020.00132/full?report=reader
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867406015923
- https://genomebiology.biomedcentral.com/articles/10.1186/gb-2013-14-6-206
- https://science.sciencemag.org/content/316/5833/1862.abstract
- https://www.nature.com/articles/ismej2013119/
- https://www.nature.com/articles/srep32862