C’era una volta il lievito di birra…..

Fin dalla preistoria, gli esseri umani hanno sfruttato la capacità del comune lievito Saccharomyces cerevisiae, per convertire gli zuccheri in etanolo e in vari composti aromatici utilizzati per ottenere cibi e bevande con una prolungata shelf-life, una migliore digeribilità, e un effetto “euforizzante” dovuto alla la presenza di etanolo. L’impiego di colture pure iniziò dopo il lavoro pionieristico di Pasteur e Hansen nel XIX° secolo, quando i primi utilizzatori di lieviti: birrai, produttori di vino e panettieri, cominciarono a capire che potevano ottenere una buona fermentazione, più rapida e prevedibile, riutilizzando il sedimento nella produzione successiva, anche se non avevano idea di cosa ci fosse dentro. Questo cosiddetto “back-slopping” (processo di fermentazione accelerato) potrebbe aver creato nuove specie di lieviti che, sviluppandosi di continuo in ambienti artificiali, avevano perso il contatto con le loro nicchie naturali, creando un ambiente ideale per la loro domesticazione. Tuttavia, questa ipotesi non è ancora stata dimostrata e non è chiaro se la diversità del lievito industriale sia dovuta alla selezione e all’adattamento di nicchia (domesticazione) o all’isolamento geografico e quindi alla sua limitata diffusione.

La domesticazione è definita come la selezione e l’allevamento di specie selvatiche allo scopo di ottenere varianti coltivate che si sviluppano bene in ambienti artificiali, ma si comportano in maniera subottimale in natura. Segni tipici di domesticazione, come il decadimento genomico, la poliploidia, i riarrangiamenti cromosomici, le duplicazioni di geni e i fenotipi derivanti dalla selezione umana, sono stati ottenuti e riprodotti in coltura.

Cellule di Saccharomyces cerevisiae al microscopio

 

Diversi studi hanno recentemente esaminato la popolazione del lievito S. cerevisiae sequenziando i genomi di centinaia di ceppi diversi, e fornendo un primo assaggio della complessa evoluzione di questa specie. Tuttavia, la maggior parte di questi studi si concentra principalmente su lieviti provenienti da habitat selvatici e clinici, includendo solo un insieme limitato di ceppi industriali, principalmente provenienti dal vino. Inoltre, la maggior parte di questi studi riguarda soltanto le specie aploidi invece che quelle naturali escludendo quindi la maggior parte dei ceppi industriali di S. cerevisiae, che hanno perso la capacità di sporulare, come la maggior parte dei lieviti di birra.

Saccharomyces cerevisiae al microscopio elettronico a scansione (SEM)

Questa lacuna è stata colmata dai ricercatori dell’Università di Leuven, in Belgio, che sulla rivista “Cell”, ricostruiscono l’albero filogenetico dei lieviti basandosi sul sequenziamento e la fenotipizzazione di 157 ceppi di S. cerevisiae utilizzati per la produzione industriale di birra, vino, pane, liquori, saké, e bioetanolo. I dati pubblicati rivelano che i lieviti industriali sono geneticamente e fenotipicamente distinti dai ceppi selvatici e derivano da un insieme limitato di ceppi ancestrali che si sono adattati agli ambienti artificiali. Questi lieviti possono essere suddivisi in cinque grandi gruppi, i quali, si sono differenziati nel tempo a seconda dell’utilizzo industriale e dei confini geografici. In particolare, i lieviti di birra utilizzati in Belgio ed in Germania, sono strettamente imparentati tra di loro, ma allo stesso tempo molto distanti da quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti. Inoltre è chiaro che queste specie di lievito di birra presentano profonde caratteristiche di domesticazione. Infatti, le particolari condizioni degli ambienti naturali, variabili, complesse e spesso ostili, hanno portato queste specie a subire specifici mutamenti funzionali quali l’aneuploidia, e la perdita di un ciclo sessuale funzionale, mutazioni probabilmente più favorevoli alle nuove condizioni di vita. In particolare, i ricercatori hanno trovato le prove dell’amplificazione dei geni coinvolti nel metabolismo degli zuccheri della birra, e della selezione contro la produzione di 4VG (guaiacolo 4-vinil), un composto aromatico poco piacevole che viene prodotto dai lieviti naturali.

Infine, i risultati riportati suggeriscono che il lievito di birra addomesticato è stato introdotto centinaia di anni fa, ben dopo la produzione della prima birra, ma prima della scoperta dei microbi! Possiamo quindi affermare che i lieviti industriali che oggi utilizziamo sono il risultato di secoli di domesticazione umana e rappresentano una nuova risorsa per l’ulteriore selezione e l’allevamento di varianti sempre migliori.

Fonte: “Cell”

 

Antonella Ligato

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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