Letti contaminati e infezione da Clostridioides difficile in ospedale

Un recente studio pubblicato sulla rivista medica Infection Control & Hospital Epidemiology ha osservato che la permanenza in un letto d’ospedale precedentemente occupato da un paziente con infezione da Clostridioides difficile (ICD) è associata ad un rischio aumentato di ICD in ambito ospedaliero.

L’infezione da Clostridioides difficile

C. difficile è il principale microrganismo associato alle infezioni correlate all’assistenza ed è la causa più comune di diarrea nei pazienti ospedalizzati.

È un bacillo anaerobico, sporigeno, Gram-positivo, che può far parte del normale microbiota intestinale nei neonati sani, ma è raramente presente nell’intestino di adulti sani. La trasmissione avviene per via oro-fecale e nei pazienti ricoverati in strutture sanitarie può essere acquisito attraverso l’ingestione di spore provenienti da altri pazienti o presenti sulle mani del personale sanitario o sulle superfici ambientali.

Le spore di C. difficile sopravvivono all’ambiente acido dello stomaco e germinano nell’intestino (che funge da reservoir), facilitando così la trasmissione tra i pazienti, oltre a contribuire agli alti tassi di recidiva osservati (nel 10-30% dei casi).

Le tossine primarie prodotte da questo batterio sono le tossine A e B, responsabili delle manifestazioni cliniche dell’infezione. Queste ultime possono presentarsi con un quadro variabile, dalla diarrea alla sepsi fulminante con megacolon tossico, una condizione caratterizzata da un’elevata mortalità.

Il ruolo della contaminazione ambientale

I fattori di rischio per l’ICD difficile sono diversi. Possono essere fattori direttamente correlati al paziente, come il suo stato immunitario e le comorbilità presenti. Oppure fattori che alterano il normale microbiota del colon, come l’uso di antibiotici o di altri farmaci e gli interventi chirurgici. Infine, l’esposizione alle spore di C. difficile, come può avvenire durante i ricoveri ospedalieri o in strutture di assistenza a lungo termine.

Prevenire l’ICD in ospedale è una sfida perché le spore possono sopravvivere sulle superfici per mesi e sono necessarie una pulizia e una disinfezione accurate per eliminarle dall’ambiente. Per esempio, spore di C. difficile sono state rilevate in più punti all’interno delle stanze d’ospedale, come il letto, il pavimento, il lavandino e l’interruttore della luce, nonostante adeguate misure di disinfezione.

Quindi, la persistenza nell’ambiente delle spore rappresenta un rischio per un paziente ospedalizzato che viene collocato in una stanza o in un letto d’ospedale in cui in precedenza si trovava un paziente con C. difficile.

Letto e stanza di ospedale
Figura 1. Letto e stanza d’ospedale [Fonte: Pixabay].

Associazione di ICD con stanze e letti contaminati

Nello studio, retrospettivo e osservazionale, i ricercatori hanno utilizzato un sistema di localizzazione in tempo reale per tracciare il movimento dei letti in due centri ospedalieri in un periodo compreso tra aprile 2018 a agosto 2019.

I pazienti sono stati considerati come “esposti” a una stanza o un letto potenzialmente contaminati se, nei 7 giorni precedenti la diagnosi di ICD, erano rimasti in una stanza o un letto che ospitava un paziente affetto da ICD nei 90 giorni precedenti.

Attraverso un’analisi logistica multivariata, gli autori hanno dimostrato che la permanenza in un letto precedentemente occupato da un paziente con ICD (fino a 90 giorni prima) è un fattore di rischio per ICD in ambito ospedaliero.

Nello specifico, l’esposizione a un letto contaminato è stata associata a ICD, sia in analisi unadjusted (Odds Ratio [OR]: 1,8. Intervallo di Confidenza [IC] 95%: 1,4-2,31) che in analisi adjusted (OR: 1,5. IC 95%: 1,2-2,0). Anche dopo aver variato l’ipotetico periodo di tempo di contaminazione del letto (da 90 giorni a 60, 30, 14 o 7 giorni), l’associazione persisteva.

L’analisi ha anche rilevato che anche l’esposizione a una stanza d’ospedale contaminata era associata ad rischio aumentato di ICD sia nell’analisi unadjusted (OR: 1,9. IC 95%: 1,5-2,5) che in quella adjusted (OR: 1,5. IC 95%: 1,1-1,9).

Conclusioni

Questa ricerca sottolinea in modo chiaro la necessità di migliorare i protocolli di pulizia e di disinfezione del letto ospedaliero e dell’ambiente sanitario circostante, allo scopo di eradicare efficacemente le spore di C. difficile.

Gli autori concludono che l’uso di nuove tecnologie o metodi di pulizia e disinfezione può portare a ridurre significativamente la trasmissione all’interno degli ospedali e diminuire così i tassi di ICD.

Fonti

Fonti immagini

Figura in evidenza e Figura 1. Letto e stanza d’ospedale [Fonte: Pixabay. Disponibile a: https://pixabay.com/it/illustrations/letto-dospedale-stanza-dospedale-6633778/].

Foto dell'autore

Francesco M. Labricciosa

Sono laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in Igiene e Medicina Preventiva. Dal 2016 partecipo ai progetti di ricerca promossi dalla Global Alliance for Infections in Surgery e come medical writer collaboro con diverse agenzie di comunicazione scientifica del settore healthcare. Per Microbiologia Italia scrivo articoli e conduco interviste nell'ambito delle mie principali aree di interesse: non solo antimicrobial resistance e uso dei farmaci antimicrobici, ma anche storia della microbiologia. linkedin.com/in/francescomarialabricciosa/

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