Quando si parla di vitamina D si intende un gruppo di differenti forme vitaminiche (D1, D2, D3, D4 e D5); le forme più conosciute sono sicuramente la D2 e la D3, rispettivamente note con il nome di ergocalciferolo e colecalciferolo, entrambe caratterizzate da un’attività biologica molto simile. La vitamina D è perlopiù sintetizzata dal nostro organismo, attraverso l’assorbimento dei raggi del sole operato dalla pelle. Questa vitamina è un regolatore del metabolismo del calcio e per questo è utile nell’azione di calcificazione delle ossa. La vitamina D contribuisce, inoltre, a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue. Scarsamente presente negli alimenti (alcuni pesci grassi, latte e derivati, uova, fegato e verdure verdi), l’unica eccezione è data dall’olio di fegato di merluzzo. La vitamina D viene in grande parte accumulata dal nostro organismo attraverso l’esposizione ai raggi solari (per questo motivo è spesso denominata “vitamina del sole”) e, ad oggi, viene integrata solo in situazioni particolari, legate alla crescita, alla gravidanza e all’allattamento.
Tuttavia, negli ultimi anni, l’attenzione della comunità scientifica si è rivolta a questa importante vitamina poiché la sua integrazione nel trattamento di numerose patologie sembra avere notevoli benefici. Molteplici patologie su base autoimmune sono caratterizzate da ipovitaminosi D (ovvero bassi livelli circolanti di vitamina D): ciò suggerisce, così, il ruolo immunoregolatorio che questi pro-ormoni liposolubili hanno nella fisiopatologia di diverse malattie; il deficit di vitamina D, infatti, può compromettere la “self tolerance” (favorendo così il riconoscimento di molecole self, ovvero appartenenti al nostro organismo, come estranee) alterando la regolazione delle cellule dendritiche e sbilanciando il rapporto tra le T-reg (linfociti specializzati nel sopprimere l’attivazione del sistema immunitario verso auto-antigeni) e le cellule Th17 (linea cellulare anti-infiammatoria) e il suo grado di severità correla, anche, con l’aggravarsi della sintomatologia in pazienti affetti da patologie autoimmuni. Tra le patologie autoimmuni, in cui è stato dimostrato l’importante ruolo della vitamina D, si annoverano l’artrite reumatoide (RA), la sclerosi sistemica, il morbo di Crohn e il lupus eritematoso sistemico (SLE). Ancora più importante, tuttavia, è l’effetto che l’integrazione con 1,25(OH)2D3 ha su questi pazienti: la somministrazione di questa vitamina migliora significativamente i sintomi nei pazienti con RA e SLE. Gli effetti dell’integrazione con vitamina D sembrano essere soddisfacenti anche per quanto concerne le malattie infettive.
In un recente studio, pubblicato sul Journal of Leukocyte Biology, alcuni ricercatori hanno valutato gli effetti della vitamina D in rapporto alle variazioni della stessa nei livelli ematici della popolazione. In particolare hanno analizzato cosa accadeva in tre diversi gruppi di persone sane, suddivise per età. Al primo gruppo appartenevano giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni; al secondo adulti di età compresa tra i 31 e 59 anni e, infine, al terzo appartenevano anziani di età compresa tra i 69 e 89 anni. Hanno poi esaminato se e come cambiavano nei tre gruppi i livelli nel sangue della vitamina D nel tempo e a seconda delle stagioni, scoprendo che questi diminuivano con il progredire dell’età e, come supposto, anche in base alla stagione. Maggiori livelli di vitamina D sono tuttavia stati correlati a una maggiore resistenza alle infezioni, perché stimolerebbero le difese naturali dell’individuo suggerendo che riuscire a integrare una eventuale carenza possa essere un modo poco costoso, semplice ed efficace per potenzialmente proteggersi dall’attacco dei virus tipici del periodo autunnale e invernale che ormai sono diffusi anche in altre stagioni.
Un altro recente studio ha, invece, valutato i livelli sierici di vitamina D in pazienti in cura affetti da infezione cronica da HBV (virus dell’epatite B); questi scienziati hanno dimostrato che i livelli sierici di questa vitamina correlano positivamente con l’aumento dei linfociti T, in modo particolare dei linfociti CD4+, detti helper, che giocano un ruolo cruciale per il nostro sistema immunitario suggerendo, così, che probabilmente l’integrazione con vitamina D potrebbe aiutare a stimolare il sistema immunitario e combattere più efficacemente questo tipo di infezione.
Fabrizio Visino
Fonti: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28164523
Antonio Antico, Marilina Tampoia , Renato Tozzoli, Nicola Bizzaro. 2012. Can supplementation with vitamin D reduce the risk or modify the course of autoimmune diseases? A systematic review of the literature. Autoimmunity Reviews 12 (2012) 127–136.
Lavi Arab, F., Rastin, M., Faraji, F., Zamani Taghizadeh Rabe, S., Tabasi, N., Khazaee,M., Haghmorad, D., Mahmoudi, M., 2015. Assessment of1,25-dihydroxyvitamin D3 effects on Treg cells in a mouse model of systemiclupus erythematosus. Immunopharmacol. Immunotoxicol. 37, 12–18.
http://www.humanitas.it/page/enciclopedia
Andjelkovic, Z., Vojinovic, J., Pejnovic, N., Popovic, M., Dujic, A., Mitrovic, D.,Pavlica, L., Stefanovic, D., 1999. Disease modifying and immunomodulatoryeffects of high dose 1 alpha (OH) D3 in rheumatoid arthritis patients. Clin. Exp.Rheumatol. 17, 453–456.