Madre e feto sono collegati durante tutta la gravidanza tramite la placenta.Questo organo
così importante permette al feto di ricevere ossigeno e sostanze nutritive dalla madre, tramite la vena del cordone ombelicale, e, al contempo, di rilasciare le sostanze di scarto che, tramite le due arterie del cordone ombelicale, raggiungono la madre e vengono espulse tramite polmoni, feci e urine.
Ma sembra che questo legame non sia sempre positivo per il feto.
Uno studio recente, condotto dai ricercatori del Children’s Hospital di Los Angeles, ha rilevato una connessione tra attivazione del sistema immunitario materno e alterazione dello sviluppo cerebrale del feto.
Questa evidenza era stata già riscontrata da altri gruppi che avevano condotto l’esperimento su animali; avevano constatato come le proteine rilasciate, durante la risposta immunitaria, avessero un impatto sulla prole.
Nessuno però si era ancora occupato di valutare questa possibile connessione nell’uomo.
Il team di ricerca, guidato da Marisa Spann e Bradley peterson, ha condotto lo studio su giovani donne di età compresa tra i 14 e i 19 anni, tutte al secondo trimestre di gravidanza.
Perché la scelta è ricaduta proprio su queste donne?
Perché sono quelle maggiormente esposte al rischio di stress psicosociale, che assieme ad infezioni, malattie e/o allergie può essere causa dell’attivazione del sistema immunitario.
Per prima cosa, sono stati eseguiti prelievi di sangue materno nel corso del terzo mese di gravidanza, con particolare attenzione verso i valori di due proteine: IL-6 e CRP (Proteina C Reattiva).
L’IL-6 (Interleuchina 6) è una citochina multifunzionale secreta da differenti cellule (in particolare macrofagi e linfociti T).
Le sue funzioni principali sono promuovere il differenziamento dei linfociti B (leucociti responsabili della produzione degli anticorpi), stimolare la produzione delle proteine della fase acuta e svolgere un ruolo importante nella termoregolazione, nel mantenimento osseo e nella funzionalità del sistema nervoso centrale.
La CRP è una proteina di fase acuta, prodotta dal fegato e rilasciata in circolo entro poche ore dal danno tissutale, dall’inizio dell’infezione o da altre cause infiammatorie.
Queste due proteine sono rilasciate in grandi quantità quando il sistema immunitario è attivato.
Si è visto come la loro presenza nel sangue di donne in gravidanza sia correlata con la diminuzione della frequenza cardiaca fetale, che dipende dal sistema nervoso centrale. Questo è stato indice di come l’infiammazione materna stesse influendo sullo sviluppo cerebrale del feto.
Per verificare l’ipotesi, dopo la nascita, i bambini sono stati sottoposti a risonanza magnetica che ha rivelato una correlazione tra i livelli materni di IL-6 e CRP e i cambiamenti nella comunicazione tra regioni cerebrali importanti per la valutazione degli stimoli.
Questo è sembrato, quindi, anche correlato con lo sviluppo di malattie psichiatriche, come la schizofrenia e i disturbi dello spettro autistico.
Una ulteriore conferma è arrivata da un’analisi successiva, condotta dai ricercatori, sugli stessi bambini dopo 14 mesi di vita. In questo caso sono state testate le abilità motorie e linguistiche e, ancora una volta, è stata confermata la validità di questi marcatori infiammatori.
Lo studio, pubblicato sul “Journal of Neuroscience”, potrebbe aiutare ad identificare e prevenire gli effetti dei marcatori di infiammazione sullo sviluppo dei bambini, dal grembo materno, continuando nell’infanzia e oltre.
Emanuela Pasculli
Fonte: Le Scienze