La narcolessia è un disturbo neurologico e cronico del sonno caratterizzato da una disregolazione del ciclo sonno-veglia, ciò comporta ripetuti attacchi di sonno e una continua sensazione di sonnolenza diurna.
Chi ne soffre, si addormenta più volte nell’arco dell’intera giornata, anche quando è occupato in attività coinvolgenti (mangiare, parlare, guidare) comportando, a lungo andare, grandi limitazioni ed una perdita di autonomia ed indipendenza della persona, associata a grande frustrazione.
La diagnosi di narcolessia si basa, principalmente, sull’osservazione di come si svolge il sonno notturno del paziente. In condizioni normali il sonno è caratterizzato da due fasi principali, che si susseguono l’un l’altra per diverse volte (4-5 cicli):
- Fase NON-REM: composta da 4 stadi, in ognuno di questi gradualmente il sonno si fa sempre più profondo. Le prime due fasi sono l’addormentamento ed il sonno leggero, a cui segue il sonno profondo, che presenta il suo massimo grado al quarto stadio. Quest’ultimo rappresenta proprio il momento in cui, finalmente, il corpo si rigenera e riposa. Ad ogni nuovo ciclo, questa fase dura sempre meno per lasciare più spazio alla fase REM.
- Fase REM: l’acronimo REM deriva da “Rapid Eye Movement“. Come facilmente intuibile, questa è una fase “agitata”, in cui il soggetto che dorme compie bruschi movimenti oculari, presenta un aumentato battito cardiaco, una maggiore frequenza respiratoria e sogna.
In questa patologia cronica, il paziente presenta una fase REM troppo precoce che quindi determina una sonnolenza diurna ed un sonno notturno interrotto. Un’altra caratteristica della narcolessia è la disregolazione del tono muscolare durante la veglia, con conseguente improvvisa perdita del tono muscolare (cataplessia).
Da un punto di vista molecolare, si ritiene che la narcolessia sia causata dall’interruzione della segnalazione dell’ipocretina nel cervello. L’ipocretina o oressina è un neuropeptide regolatore del sonno e dell’appetito. Il cervello contiene solo circa 10.000-20.000 neuroni nell’ipotalamo che producono tale molecola. In recenti studi, è stato dimostrato che l’interruzione della segnalazione di questo neurotrasmettitore sia dovuto proprio alla perdita di specifici neuroni nell’ipotalamo che producono questa molecola.
MA COME AVVIENE QUESTA DISREGOLAZIONE IN TALE DISTURBO?
Una base autoimmune per la narcolessia è stata a lungo sospettata in base a una forte associazione con l’aplotipo HLA-DQ comune, che codifica l’eterodimero della MHC classe II DQ0602. Questa associazione HLA è una delle più conosciute: fino al 98% dei pazienti con questo disturbo, con carenza di ipocretina dimostrata, presenta DQ0602, contro circa il 25% della popolazione sana.
L’ennesima prova a favore di questo sospetto è giunta nel 2009/2010, in seguito alla campagna di vaccinazione con Pandemrix contro l’H1N1. Studi epidemiologici hanno mostrato che in seguito all’epidemia di H1N1 in sé, l’incidenza di narcolessia è aumentata drasticamente in diversi paesi. Mettendo insieme le prove, come in un thriller, i ricercatori hanno iniziato ad investigare. Sorprendentemente però, anche dopo la scoperta dei neuroni di ipocretina come presunto bersaglio terapeutico, i tentativi di dimostrare risposte autoimmuni associate a questo disordine sono state in gran parte infuttuose.
FINO A POCO TEMPO FA, nel 2018, seguendo piste di indagine differenti i ricercatori sono giunti a dimostrare la presenza di cellule autoreattive T CD4+, che bersagliavano l’ipocretina, in campioni di soggetti affetti. Inoltre, si è dimostrata anche la presenza di cellule T CD4+, riconoscenti l’ipocretina, a reazione crociata alla proteina emoagglutinina del virus H1N1. Questa è stata la prima vera prova che la narcolessia potesse avere una base autoimmunitaria. Ma mancava ancora un tassello.
Rispolverando un po’ l’immunologia di base, dovremo sapere che il sistema immunitario è stato progettato per riconoscere batteri e virus e che le cellule CD4+ e CD8+ di solito lavorano insieme.
Dovremo inoltre ricordare che la maturazione delle cellule T nel timo, che avviene durante lo sviluppo fetale, presenta questo iter: se il TCR (recettore delle cellule T) si lega a molecole MHC di classe I, viene inibita l’espressione di CD4, oppure, se si lega a molecole MHC di classe II, viene inibita l’espressione di CD8. Vengono quindi selezionate positivamente cellule CD4+ CD8− e cellule CD4− CD8+.
Tutto questo ripasso perché? Perché in normali condizioni fisiologiche, i neuroni esprimono solo MHC di classe I e non molecole di classe II quindi, in teoria, le cellule CD8+ citotossiche sono le cellule effettrici più probabili nella distruzione autoimmune dei neuroni dell’ipocretina.
La ricerca, quindi, grande macchina dell’investigazione quale è, si è focalizzata sul rilevamento di queste cellule. Con grande entusiasmo, le prime rivelazioni sono giunte da esami autoptici di soggetti con narcolessia in cui si è riscontrata la presenza di infiltrazione di cellule CD8+ a livello ipotalamico. L’infiltrazione, per giunta, era associata con una perdita completa dei neuroni ipocretinergici.
Successivamente in modelli murini si è dimostrato come le cellule T CD8+ citotossiche con reattività verso l’emoagglutinina possono specificamente uccidere i neuroni dell’ipocretina, se questi esprimono transgenicamente l’emoagglutinina.
Non si può dire lo stesso per le cellule CD4+ reattive all’emoagglutinina. Infatti, anche se queste cellule si sono infiltrate nel cervello dando luogo all’infiammazione locale, ciò non ha portato alla perdita dei neuroni di ipocretina che esprimono l’emoagglutinina. Anche se le cellule T CD4 + autoreattive potrebbero iniziare il processo patologico, si ipotizza che la presenza di cellule T CD8 + autoreattive potrebbe essere necessaria per lo sviluppo della patologia.
Giusto qualche mese fa, è arrivata la risposta definitiva. Uno studio pubblicato su Nature Communications da N.W. Pedersen et al., ha confermato tramite test specifici per la reattività, la presenza di cellule CD8+ reattive in pazienti narcolettici. L’equipe ha analizzato 20 campioni di soggetti malati e 52 di soggetti sani.
Delle cellule autoreattive sono state trovate anche in alcuni soggetti sani, ma qui probabilmente non sono state attivate. E’ sempre più consistente l’idea che l’autoimmunità giace dormiente in ognuno di noi, ma fortunatamente non in tutti risulta attivata ed il goal standard sarebbe proprio capire quale sia il suo innesco.
I ricercatori ovviamente non sanno ancora quale sia la causa principale della narcolessia, si ipotizza una combinazione di autoimmunità, genetica ed un innesco che potrebbe essere causato per esempio dall’infezione di un virus.
Quello che è certo è che grazie a questo recente lavoro, oggi le terapie, mirate a risolvere questo disturbo, potranno focalizzarsi soprattutto sullo studio di farmaci atti a mitigare il sistema immunitario.
Ora che sappiamo che la narcolessia è guidata dalle cellule T possiamo effettuare terapie più precise che con poco, potranno migliorare davvero tanto la qualità della vita di questi soggetti.
Ilaria Bellini
BIBLIOGRAFIA:
- “CD8+ T cells from patients with narcolepsy and healthy controls recognize hypocretin neuron-specific antigen” Natasja Wulff Pedersen et al. 2019.
- Thannickal, T. C. et al. “Reduced number of hypocretin neurons in human narcolepsy.” Neuron 27, 469–474 (2000)