Daniel Bovet (Figura 1) è stato un biochimico svizzero naturalizzato italiano, la cui vita e attività scientifica sono strettamente intrecciate con gli “anni d’oro della farmacologia”. Ricevette il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 1957 ” per le sue scoperte relative ai composti sintetici che inibiscono l’azione di alcune sostanze presenti nell’organismo, e soprattutto la loro azione sul sistema vascolare e sui muscoli scheletrici”. Innovatore e pioniere della moderna farmacologia, i suoi studi hanno permesso la sintesi dei primi antistaminici e dei primi anestetici di sintesi per le sale operatorie.
Biografia
Nacque il 23 marzo a Neuchatel, in Svizzera, da Amy Babut e Pierre Bovet, psichiatra e Professore universitario di pedagogia. Nel 1927 si laureò in biologia all’Università di Ginevra, dove conseguì il Dottorato in scienze naturali nel 1929 con una tesi in zoologia ed anatomia comparata. Quello stesso anno, iniziò a lavorare nel Laboratorio di Chimica Terapeutica del prestigioso Istituto Pasteur di Parigi, dapprima come assistente poi come Direttore del laboratorio. Qui conobbe la sua futura moglie e collaboratrice, Filomena Nitti (Figura 2), sorella del brillante batteriologo Federico Nitti che lavorò con Bovet sui sulfamidici.
Le ricerche all’Istituto Pasteur
Durante i vent’anni all’Istituto Pasteur, oltre alle ricerche in ambito chemioterapico, Bovet si dedicò anche allo studio delle ammine biogene (adrenalina, acetilcolina e istamina) e delle sostanze, naturali o di sintesi, in grado di mimarne o antagonizzarne gli effetti. Questi studi innescarono una serie di ragionamenti che lo portarono alla scoperta degli antistaminici e, successivamente, a quella dei curari di sintesi, antagonisti dell’acetilcolina.
Il trasferimento a Roma
Nel 1947, su invito di Domenico Marotta, Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, si trasferì a Roma per dirigere il Laboratorio di Chimica Terapeutica. Qui proseguì gli studi sugli analoghi sintetici delle ammine biogene che gli valsero nel 1957 il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina. Bovet descrisse le ricerche e le interazioni tra sostanze che agiscono sul sistema vegetativo e sulla giunzione neuro-muscolare in un trattato pubblicato nel 1948, “Structure chimique et activitè pharmacodynamique des mèdicaments du système nerveux vègètatif”. Il libro, scritto in collaborazione con Filomena Nitti, fu definito una vera e propria “Bibbia” dai ricercatori che in quegli anni lavoravano sul sistema nervoso.
L’insegnamento e gli ultimi anni
Nel 1964, in seguito alle vicende giudiziarie che colpirono l’ISS, Bovet decise di lasciare l’Istituto. Si presentò a un concorso a cattedra e divenne Professore di Farmacologia all’Università di Sassari. A partire dagli anni ’60 si occupò di psicofarmacologia e psicobiologia, indagando in particolare il ruolo che assumono le strutture e le funzioni nervose in relazione al comportamento. Nel 1969 rientrò a Roma dove ricoprì la carica di Direttore del Laboratorio di Psicobiologia e Psicofarmacologia del CNR. Tra il 1971 e il 1982 tornò a dedicarsi all’insegnamento accettando la cattedra di Docente di Psicobiologia all’Università di Roma. Morì l’8 aprile 1992.
Contributo scientifico
Autore di circa 400 pubblicazioni, Bovet fu un grande innovatore della ricerca farmacologica sotto diversi aspetti. Innanzitutto, il suo metodo scientifico può essere considerato anticipatore del moderno “drug design”; era infatti basato sullo studio sistematico di intere serie di molecole, del loro “cammino” metabolico nell’organismo e del rapporto struttura chimica-effetto biologico, in un periodo storico in cui ancora non si conosceva il ruolo dei recettori. Il secondo aspetto riguarda la scoperta di nuovi agenti terapeutici utilizzabili in clinica, come la sulfanilamide, i primi antistaminici, i curari di sintesi e composti simpaticolitici.
Riguardo alle scoperte e al ruolo dello scienziato, Bovet nel suo libro “Une chimie qui guèrit. Historie de la dècouverte des sulfamides” scrisse:
“Le grandi scoperte sono come le comete, che appaiono a grande distanza l’una dall’altra, precedute da un nugolo di polvere, dal nucleo centrale e da una lunga coda. Quanto agli scienziati che le realizzano, non c’è dubbio che debbano avere la fortuna di nascere in un momento propizio”
Daniel Bovet
Sulfamidici: storia di una scoperta
Nel 1935, Gerard Domagk, medico e biochimico tedesco, pubblicò un articolo in cui si dimostravano le proprietà antibatteriche del colorante azoico Prontosil rosso. Tali proprietà furono attribuite alla capacità del composto di essere trattenuto dalle cellule batteriche e non dalle cellule animali. Il motivo per cui il Prontosil rosso fosse efficace in vivo ma completamente inattivo in vitro non era chiaro.
Bovet e i suoi collaboratori, Federico Nitti e Jacques e Therese Trèfouel, riuscirono a risolvere il “paradosso”, sfruttando al meglio una fortunata circostanza. Infettarono quaranta topi con la stessa dose di una coltura di streptococchi altamente virulenta e li divisero in dieci gruppi da quattro.
Di questi dieci gruppi, uno fu tenuto come controllo mentre un altro ricevette una dose di Prontosil. Restavano otto gruppi da trattare con i prodotti sintetizzati in laboratorio ma, poichè disponevano soltanto di sette derivati, rimase un ultimo gruppo disponibile. Bovet ebbe l’intuizione di provare la molecola comune a tutti i composti, il para-aminofenilsulfamide.
Con grande sorpresa, osservarono che i topi trattati con la “materia prima” erano in perfetta salute. Dedussero, quindi, che l’attività antibatterica non era dovuta al colorante in quanto tale ma alla sulfamide, presente nella molecola della sostanza colorante e liberata nell’organismo, in seguito a processi ossido-riduttivi a livello epatico.
Già nel 1908, il chimico viennese Paul Gelmo sintetizzò per la prima volta la sulfamide che però rimase sugli scaffali di un laboratorio per un quarto di secolo prima che se ne scoprissero le proprietà. Bovet raccontò la storia di questa scoperta, da lui definita “svolta epocale”, nel libro “Une chimie qui guèrit. Historie de la dècouverte des sulfamides”, pubblicato nel 1988.
La sintesi degli antistaminici
Nel 1937, in collaborazione con Anne Marie Staub, Bovet sintetizzò il primo antistaminico, la timossietildietilamina, che risultò efficace nella prevenzione dello shock anafilattico negli animali.
Questo primo antagonista dell’istamina era però troppo tossico per essere usato in clinica. Tuttavia, rappresentò una svolta nel campo delle allergie dal momento che tutti gli antistaminici in uso oggi sono suoi derivati. Inoltre, la capacità degli antistaminici di proteggere dallo shock anafilattico confermò in modo definitivo che l’istamina era la sostanza vasoattiva principalmente coinvolta nelle manifestazioni allergiche.
I curari di sintesi
Il curaro è un veleno estratto dalla radice o dal fusto del Chondrodendron tomentosum, usato dagli indiani d’America per intingere le frecce e uccidere le prede per paralisi dei muscoli scheletrici e blocco della respirazione. La tubocurarina è il principio attivo responsabile di tali effetti. Si tratta di un alcaloide isolato per la prima volta, nel 1897, dal chimico inglese Harold King. La tubocurarina a basse dosi inibisce la contrazione dei muscoli competendo con l’acetilcolina a livello dei recettori e impedendo la trasmissione dell’impulso. Nel 1942, i medici Griffith e Johnson introdussero questa molecola nella pratica anestesiologica.
Nel 1946, all’Istituto Pasteur, Bovet iniziò la ricerca sui curari di sintesi, ipotizzando che l’attività fosse determinata dalla presenza di due gruppi ammonio quaternari in una molecola che avesse l’ingombro di quella della tubocurarina. Su questo modello fu sintetizzata la gallamina (Flaxedil), analogo sintetico molto meno tossico del curaro naturale. Bovet proseguì i suoi studi all’ISS e qui scoprì l’attività curarizzante della succinilcolina, il primo curaro a breve durata d’azione.
Gli studi sul comportamento e la memoria
Dagli anni ’60 fino alla fine della sua carriera, Bovet lavorò nel campo della psicofarmacologia e della psicobiologia. In quel periodo, le ricerche in questi ambiti erano agli albori ed erano basate su “teorie comportamentiste”, ossia ogni azione umana e animale era la conseguenza della risposta ad uno stimolo. Uno dei risultati più interessanti degli studi di Bovet fu la dimostrazione del ruolo esercitato dalla genetica su diversi aspetti dell’apprendimento e della memoria. Tali aspetti, quindi, non dipendevano soltanto dalle influenze ambientali ma anche dalle specifiche differenze del sistema nervoso nei diversi individui, come una sorta di fenotipo.
Riconoscimenti
Bovet, oltre al Premio Nobel nel 1957, ha ricevuto lauree honoris causa dalle Università di Palermo, Rio de Janeiro, Ginevra, Montpellier, Parigi, Nancy, Praga e Strasburgo. Nel 1946 fu eletto Cavaliere della Legion d’Onore di Francia e nel 1959 Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Fonti
- Bovet D. “Vittoria sui microbi. Storia di una scoperta”. Torino, Bollati Boringheri ed., 1991
- Oliverio A. “Daniel Bovet. 23 march 1907 – 8 april 1992”. Biogr Mem Fellows R Soc. 1994; 39:61-70
- Oliverio A. “Daniel Bovet and his role in the development of psychobiology”. Med Secoli. 2008; 20(3):891-905
- Preziosi P. “Lo scienziato”. Ann. Ist. Super. Sanità. 1993; 29:35-40
- https://www.nobelprize.org/prizes/medicine/1957/bovet/biographical/
- https://it.wikipedia.org/wiki/Daniel_Bovet
- https://www.treccani.it/enciclopedia/daniel-bovet_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Scienze%29/
- http://scienzaa2voci.unibo.it/gallery_view?id=142-nitti-bovet-filomena