L’unica forma di sostentamento degli uomini primitivi del Paleolitico era il sistema di caccia e raccolta. Le prime società umane erano costituite da piccoli gruppi di individui che prelevavano dall’ambiente le risorse necessarie alla sopravvivenza. Questo sistema fu gradualmente sostituito dalla rivoluzione neolitica: i gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori si trasformarono in società sedentarie e iniziarono a coltivare diversi tipi di piante e ad allevare alcune specie di animali, dando inizio al processo di domesticazione. Ciò significò non solo un aumento di popolazione in termini demografici, ma anche l’instaurarsi delle prime civiltà. L’uomo però non ha solo dovuto mettere a punto delle tecniche di coltivazione, ma ha dovuto anche fare i conti con le avversità che colpiscono le piante. Le malattie delle piante hanno segnato l’esistenza di intere popolazioni, portando a carestie, emigrazioni e radicali cambiamenti di abitudini.
Le antiche carestie
Con la scoperta delle piante utili i primi agricoltori si resero conto di poter trarre un enorme vantaggio nel coltivare una singola specie di pianta: un grande raccolto significava cibo sicuro per tutti. La scelta di dedicarsi alla coltivazione della stessa pianta sempre sullo stesso terreno portò inevitabilmente a una riduzione della variabilità genetica della specie scelta, che risultava indebolita e maggiormente esposta a patogeni, i quali a loro volta si adattavano alla monocultura e risultavano più dannosi. Le carestie dovute alla diffusione di fitopatie, cioè di malattie delle piante, sono documentate già nella Bibbia e, per molto tempo, hanno accompagnato la storia dell’agricoltura.
Le ruggini dei cereali sono tra le più importanti: avena, grano, orzo e segale possono essere colpite da Puccinia graminis, un fungo uredinale eteroico che penetra nei tessuti verdi dell’ospite attraverso gli stomi, causando danni fisiologici di vario tipo e producendo masse di spore che erompono dall’epidermide delle foglie infette. Queste masse di spore possono avere una colorazione che va dal rosso-bruno al nero, conferendo un aspetto rugginoso alla pianta. Si diffondono per via aerea tramite il vento. Puccinia triticina e Puccinia striiformis causano invece rispettivamente ruggine bruna e ruggine gialla.
Le varietà di cereali oggi coltivate sono state messe a punto per risultare resistenti all’attacco di questi funghi, insieme a tecniche di coltivazione mirate a sfavorire il diffondersi di queste fitopatie. Tuttavia non è raro che interi raccolti vengano persi a causa della presenza di questi funghi.
Il rito del tè
Due tra le bevande più diffuse in tutto il mondo sono il caffè e il tè. Come hanno fatto a diventare così importanti?
I primi a sperimentare una nuova bevanda furono gli arabi e una delle varietà più apprezzate ancora oggi è appunto il caffè arabica, Coffea arabica, insieme a Coffea canephora, la seconda varietà più conosciuta e utilizzata in commercio. Il commercio del caffè si diffuse anche in Europa: i veneziani furono gli artefici della comparsa delle prime botteghe del caffè. Tra il seicento e il settecento questa bevanda divenne così importante che gli inglesi decisero di investire in una produzione di caffè su larga scala. Anche gli olandesi si interessarono al commercio del caffè e iniziarono a coltivarlo. Il Sud-Est asiatico divenne il fulcro della produzione di caffè e nella seconda metà dell’ottocento comparve Hemileia vastatrix, il fungo che in pochi anni devastò completamente le coltivazioni di questa pianta.
La ruggine del caffè rese improduttive la maggior parte delle coltivazioni e i produttori decisero di abbandonare la nera bevanda. Così gli inglesi iniziarono a produrre tè, portando una bevanda già diffusa in Asia anche in Europa e consolidandola nella propria tradizione culturale. La produzione del caffè si spostò invece in America centro-meridionale, dove le condizioni climatiche erano più favorevoli e le malattie di queste piante erano meno frequenti.
Fitopatie e viticoltura
Il vino è un prodotto che ha sempre accompagnato la storia dell’uomo. Citato nella Bibbia, inizia a diffondersi diversi millenni prima di Cristo in Armenia e Georgia. In pochissimo tempo la coltivazione della vite prende piede: in Italia, gli Etruschi in Toscana e Lazio coltivano Vitis vinifera sylvestris, mentre i Greci in Sicilia coltivano Vitis vinifera sativa ed entrambi producono vino. Con i Romani il vino diventa una bevanda di uso comune in tutta Europa. Questa pianta non conosceva malattie: fino a metà Ottocento la vite veniva coltivata senza particolari problemi.
Con la scoperta del Nuovo Mondo, dove erano presenti altre varietà di viti selvatiche, e l’intensificarsi degli scambi commerciali tra Europa e Americhe, si cercò di trasferire la vite europea nel continente americano. Questo tentativo non ebbe successo: i parassiti presenti nei nuovi territori non permettevano di coltivare la vite europea. Qualcuno provò invece a trasferire la vite selvatica americana in Europa: oidio e peronospora, due patogeni fungini, e la fillossera, un insetto, vennero importati insieme alla pianta.
Il trio nefasto
L’agente eziologico dell’oidio è Uncinula necator e si diffuse nel Regno Unito, Belgio, Francia e Italia, devastando senza tregua le coltivazioni di vite. Scoperto, dopo qualche anno, che lo zolfo in polvere garantiva un’efficacia protezione a foglie e grappoli, l’industria vinicola si riprese lentamente. Per combattere lo oidio si decise di importare molte viti americane giovani, resistenti al patogeno. Queste piantine spesso portavano con sé forme radicicole di fillossera, Daktulosphaira vitifoliae, che causava deperimento e morte dell’intera pianta. Di nuovo, centinaia di ettari di vigneti vennero distrutti e i produttori si trovarono di nuovo in crisi. In Italia si perse 1/4 della superficie vitata. Per salvare il settore, si pensò di innestare marze di viti europee, resistenti a forme gallecole di fillossera, su talee di viti americane con funzione di portinnesto.
Si diede il via alla sperimentazione di nuove specie di viti americane e si ebbe una graduale e profonda trasformazione della viticoltura mondiale, fino all’arrivo di Plasmopara viticola. Gran parte dei vigneti venne nuovamente distrutta e si pensò alla fine della viticoltura in alcune zone d’Europa. Messa a punto una nuova miscela antifungina a base di solfato di rame e calce in grado di difendere la vite dalla peronospora, si decise di investire nello studio e nella prevenzione delle malattie delle piante: nasce la fitoiatria.
Fonti
- Raffaele BUONO, Gioacchino VALLARIELLO, Introduzione e diffusione della vite (Vitis vinifera L.) in Italia, Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi di Napoli Federico II, (2002) Delpinoa, n.s. 44: 39-51.
- Giuseppe Ugo BELLI, Come le malattie delle piante hanno inciso su vita e storia dell’uomo, Edizioni L’Informatore Agrario, 2015.
- https://www.microbiologiaitalia.it/fitopatologia/mal-bianco-della-vite/
- https://www.microbiologiaitalia.it/fitopatologia/le-malattie-dei-cereali-breve-cronistoria/
- http://catalogoviti.politicheagricole.it/catalogo.php
- https://gd.eppo.int/