In questa intervista al Dott. Christian Mandelli, dottorando presso l’Oregon State University, scopriremo come l’RNAi può essere la risposta sostenibile al controllo del Grapevine Red Blotch Virus (GRBV).
Buongiorno Dott. Mandelli. La ringrazio per aver accettato il nostro invito. Può spiegarci di cosa si occupa e cosa l’ha portata fino a questo punto?
Buongiorno a voi e grazie per avermi invitato a condividere la mia esperienza. Attualmente lavoro come research assistant per il dipartimento di Orticoltura della Oregon State University, dove sto frequentando il secondo anno di Dottorato. Prima degli Stati Uniti, ho conseguito la laurea triennale in Viticoltura ed Enologia presso l’Università Statale di Milano e la laurea magistrale in Scienze Viticole ed Enologiche presso l’Università di Torino.
Due sono i motivi principali che hanno stimolato la mia curiosità: da un lato, la scoperta del mondo della genetica e delle biotecnologie, grazie ai corsi di specializzazione della laurea magistrale. Dall’altro, la mia passione per la sostenibilità ambientale ed il futuro della nostra specie, nata grazie ai documentari di Discovery Channel (di cui sono un estremo amatore sin dalla tenera età). Ho sempre pensato che ognuno sia responsabile delle proprie azioni, ma ancor più delle proprie capacità: la ricerca di una posizione come Dottorando è stata infatti spontanea, quasi istintiva.
Purtroppo, la prima grande sfida è stata dover accettare che il mio Paese di origine non sarebbe mai stato in grado di fornirmi né le risorse, né il supporto necessari per il raggiungimento del mio obiettivo. Dunque, cosciente delle opportunità disponibili all’estero, ho deciso di rivolgermi a diversi laboratori. Tra quelli che hanno risposto positivamente, c’era quello del Prof. Laurent Deluc, per il quale già nutrivo interesse e stima, date le sue pubblicazioni nel campo della genomica. Ad oggi, sto lavorando ad un progetto finanziato dal Dipartimento dell’Agricoltura dello Stato della California, incentrato sullo sviluppo di una nuova generazione di trattamenti fitosanitari basati sulla tecnologia del RNA interference (RNAi).
Può illustraci la problematica legata al Grapevine Red Blotch Virus (GRBV) in vite negli Stati Uniti e nel mondo? Quali sono le strategie di difesa esistenti per il controllo di questo patogeno?
Il Grapevine Red Blotch Virus (GRBV, Fig. 2) è stato caratterizzato per la prima volta nel 2013, presso la UC Davis in California, come l’agente eziologico della malattia nota come Red Blotch Disease. I sintomi, a livello fogliare, sono molto simili a quelli causati da altre malattie da virus di cui la vite ne è ospite. Infatti, la presenza dell’infezione (che in questo caso origina nel floema) porta all’alterazione della dinamica di accumulo zuccherino nei frutti, i quali non riescono a raggiungere un adeguato grado di maturità in periodo di vendemmia. Per dare un esempio concreto, nella contea di Napa (CA), la gestione di questa malattia e la riduzione della qualità che ne consegue, può portare a perdite economiche stimate fino a $70,000/ha.
Come per le altre malattie da virus, la principale e spesso unica misura di prevenzione è rappresentata dal controllo sanitario del materiale di propagazione. Detto questo, ciò che più differenzia questa malattia dalle altre virosi, è l’assenza di un vettore completamente caratterizzato o validato. Ad oggi, ne sono stati descritti diversi, tra cui il più noto Spissistilus festinus, che più volte è risultato assente in focolai di GRBV. Ne consegue, che la gestione di questa malattia non trova supporto in trattamenti chimici di prevenzione, ma esclusivamente dal rimpiazzo delle piante infette. Difatti, il vero obbiettivo a lungo termine del mio progetto è di fornire il settore agricolo di un’alternativa efficace e sostenibile (economicamente ed ambientalmente) per la prevenzione e la cura di piante infette, la quale è potenzialmente applicabile a qualunque patogeno ed ospite.
Lei ha menzionato l’RNAi: di cosa si tratta?
L’RNA Interference o RNAi è un sistema di regolazione genica diffuso nella quasi totalità degli eucarioti. La sua scoperta risale al 1991, quando un gruppo di ricercatori provarono a modificare geneticamente delle piante di Petunia, con l’intento di aumentarne la pigmentazione dei petali. Sorprendentemente, molte delle piante svilupparono petali completamente bianchi. Successivamente fu osservato che la pianta, una volta trasformata, è in grado di percepire la presenza di materiale genetico esogeno (o estraneo) e di agire di conseguenza tramite il silenziamento di questo, così come di ogni sequenza omologa, tramite il meccanismo ora noto come RNAi. Come risultato, le piante di petunia silenziarono l’RNA messaggero (mRNA) relativo alla pigmentazione dei petali, senza distinzione tra l’mRNA derivante dal transgene inserito dai ricercatori e quello prodotto dal proprio genoma, in quanto omologi.
Successivamente l’attività di questo meccanismo fu osservata in risposta alla presenza di patogeni come funghi e virus, ponendo le fondamenta per nuovi studi focalizzati sull’utilizzo dell’RNAi come meccanismo per indurre la difesa da organismi patogeni. In pianta il silenziamento genico tramite RNAi può essere distinto in due principali processi; il Post-Transcriptional Gene Silencing (PTGS) o silenziamento genico post-trascrizionale, e il Transcriptional Gene Silencing (TGS) o silenziamento epigenetico.
Per quanto riguarda il PTGS, la pianta è capace di produrre small-interfering RNAs (siRNAs) a partire da una molecola di RNA a doppio filamento (dsRNA). Questi siRNAs possono quindi guidare una proteina endonucleasica, la quale è responsabile del taglio di uno specifico mRNA, risultando nel silenziamento post-trascrizionale di un determinato gene. Differentemente, nel caso del TGS, gli siRNAs agiscono come guida sulla stessa classe di proteine, le quali però in questo caso possono reclutare un enzima noto come metiltransferasi. Questo, è responsabile della produzione di metilazioni in specifici siti lungo il DNA, causandone la mancata trascrizione o silenziamento epigenetico.
Le componenti chiave di quanto appena descritto sono infatti tre:
- L’RNA a doppio filamento o double-stranded RNA (dsRNA, Fig. 3), il quale è strutturalmente distinguibile dal DNA a doppio filamento grazie alla forma “A” della sua doppia elica. Questo tipo di molecola origina dall’espressione genica del patogeno, dal meccanismo di difesa della pianta stessa, e nel mio caso, può essere sintetizzato in laboratorio ed applicato in pianta come vedremo successivamente. Relativamente all’RNAi, il dsRNA agisce da precursore per la produzione di small-interfering RNAs (siRNAs), il cui scopo verrà spiegato a breve.
- La proteina endonucleasica Dicer (o Dicer-like nel regno vegetale), la quale è responsabile per la produzione di siRNAs di lunghezza compresa tra i 21 ed i 24 nucleotidi. Questa proteina è composta da 4 domini. Di questi, in particolare, il dominio PAZ (Piwi Argonaute e Zwille) interagisce con l’estremità 3’ del dsRNA, mentre il dominio RNase III è responsabile dell’attività endonucleasica della proteina. Quest’ultimo permette il taglio del dsRNA in siRNA, la cui lunghezza è definita dalla distanza tra i siti attivi dei due domini appena descritti. Ne consegue che differenti proteine Dicer producono siRNAs di diversa lunghezza.
- L’RNA-induced Silencing Complex (RISC) per quanto riguarda il PTGS, e l’RNA-Induced Transcriptional silencing Complex (RITS) per quanto riguarda il TGS. Questi complessi proteici sono formati da molteplici proteine capaci di interagire con gli siRNAs e con la sequenza target. Tra le varie componenti, la proteina Argonaute (AGO) è di fondamentale importanza in quanto è la proteina che interagisce direttamente con l’RNA messaggero target da silenziare o, nel caso di TGS, con l’enzima capace di produrre metilazioni (metiltransferasi) sulle citosine della sequenza target a livello di DNA causandone la mancata trascrizione.
Come viene utilizzato nel campo dell’agricoltura? Può farci alcuni esempi delle sue applicazioni?
Trattandosi di un meccanismo endogeno comune agli eucarioti, il suo potenziale è già stato testato su interazioni “host-pathogen” differenti da quello a cui sto lavorando io. Un mio collega di laboratorio, per esempio, sta attualmente lavorando all’ottimizzazione di un sistema basato sull’RNAi per la protezione della vite contro l’oidio. Nel suo caso, i geni target corrispondono a geni espressi sia dall’ospite che dal patogeno. Ciò che accomuna i nostri due progetti è il sistema di diffusione delle molecole dsRNA sulla superficie fogliare della pianta. In un altro caso noto, un ceppo di lievito geneticamente modificato capace di produrre uno specifico dsRNA è stato utilizzato in condizioni di laboratorio e di campo per ridurre lo sviluppo e la riproduzione di Drosophila suzukii, insetto noto per il suo enorme impatto economico nel settore ortofrutticolo. Detto ciò, penso che il vero potenziale dell’RNAi sia nel sistema di applicazione spray che sto sviluppando nel mio progetto, già noto come Spray Induced Gene Silencing.
Come menzionato precedentemente, il dsRNA ha differenti origini biologiche. Allo stesso modo, può essere prodotto artificialmente ed applicato successivamente, sia a livello fogliare (in condizioni di campo) che a livello radicale (particolarmente utilizzato in coltura in vitro). Di conseguenza, basandoci su precedenti pubblicazioni, io ed il mio advisor abbiamo deciso di testare nanomolecole di argilla, anche note come Layered Double Hydroxide (LDH) Nanoparticles, le quali hanno dimostrato di poter proteggere il dsRNA da enzimi endonucleasici presenti nell’ambiente (quindi in campo), di evitare il dilavamento di esso in caso di pioggia, e di prolungare il rilascio delle molecole nei tessuti della pianta. Queste molecole rappresentano quindi un vettore ottimale per lo spray di dsRNA in condizioni reali utilizzo, quindi in campo. Se devo dirla tutta, sono molto ottimista riguardo questa parte del progetto in quanto rappresenta una sorta di “ponte”, spesso assente, tra il mondo della ricerca ed il finale utilizzo di tecnologie innovative come questa.
Ringraziandola vorrei chiederle come vede il futuro di questo ambito e le sue prospettive?
Questi ultimi anni ci hanno dato prova di quanto il settore della ricerca e dello sviluppo sia tanto indispensabile quanto trascurato. Credo che ad oggi l’umanità si trovi davanti ad un bivio. Questa pandemia non è stata ne la prima ne l’ultima grande crisi che affronteremo. Pur restando ottimisti riguardo l’impegno dei governi di tutto il mondo nel prendere una direzione più consapevole e sostenibile, sono convinto che entro fine secolo dovremo fare i conti con un fenomeno non risolvibile con vaccini e lockdown: una crisi alimentare ed idrica di scala globale.
I prezzi delle principali commodity crops stanno segnando record su record in questi ultimi due anni, ed il livello di inquinamento causato dal settore agricolo non sembra mostrare segni di inversione nonostante le innumerevoli politiche green proposte dai principali paesi produttori. Così come ho sempre dato poco credito all’omeopatia in campo medico, guardando al futuro dubito fortemente che sistemi di gestione “biologica” delle colture potranno risolvere anche solo minimamente il problema. Diversamente, sono fermamente convinto che tecnologie come l’RNAi, così come lo sviluppo di piante resistenti possano contribuire a spostare il settore agricolo verso una direzione più sostenibile, sia a livello ambientale che a livello economico e sociale. Le biotecnologie in genere sono un settore sul quale sto investendo personalmente e sul quale investirei se fossi (fantasticando) a capo di una nazione. Senza andar troppo lontano temporalmente, lo stesso settore biotecnologico sta contribuendo enormemente al risolvimento della pandemia causata dal SARS-CoV2; basti pensare alla tecnologia dietro i vaccini a mRNA.
In conclusione, così come i vaccini da soli non sono in grado di fermare una pandemia, le biotecnologie applicate al settore agricolo da sole non potranno mai far fronte ad una potenziale crisi alimentare. L’elemento fondamentale in tutto ciò che ho menzionato è di fatto l’essere umano. Le mie prospettive riguardo il mio settore restano ottimiste, ma senza un cambio di abitudini alimentari da parte delle popolazioni dei paesi sviluppati non credo che tra cinquant’anni il mondo potrà dire “l’abbiamo scampata anche questa volta”.