L’ importanza della ricerca preclinica
Il percorso che ha come traguardo finale l’approvazione di un farmaco è composto da molte tappe che precedono la commercializzazione. Lo scopo degli stadi intermedi è quello di garantire la sicurezza del composto e la sua riuscita in termini terapeutici.
Dalla scoperta di una molecola curativa fino alla sua distribuzione, infatti, trascorrono all’incirca dieci anni. La ricerca preclinica si inserisce nelle fasi iniziali di questo processo, quelle che precedono la sperimentazione clinica; ha il compito di selezionare un composto leader tra le migliaia di molecole potenzialmente efficaci per una patologia.
La cernita del composto migliore avviene testando le molecole della “libreria” di partenza su modelli in vivo ed ex vivo. Tutto questo ha lo scopo di monitorare gli effetti del dosaggio o della tossicità prima su colture cellulari e poi su organismi, che di solito riproducono la condizione patologica da trattare.
L’impatto in ricerca preclinica
I preparati ex vivo usati negli screening precoci durante lo studio dei composti leader variano a seconda dell’evento biologico da monitorare. Solitamente si sceglie di lavorare con membrane biologiche, preparati istologici o organi veri e propri, mantenuti in camere di perfusione (Fig. 1) che ricreano le condizioni vitali di ossigenazione e irrorazione sanguigna.
Studiare il meccanismo d’azione di un futuro farmaco in un tessuto isolato, o in alternativa su cavie, può sicuramente portare a risultati che si discostano, seppur di poco, dalla realtà. Questo è dovuto al fatto che il corpo umano è un sistema ad organizzazione complessa in cui ogni organo o apparato collabora con altri sistemi biologici per garantire una risposta fisiologica completa. D’altro canto bisogna tenere in considerazione che la fisiologia delle cavie non riproduce fedelmente quella umana nella sua interezza.
A questo proposito sono intervenute le biotecnologie e l’ingegneria biomedica, le quali hanno ideato dei sistemi automatizzati che potessero ricreare la complessità degli apparati biologici, su supporti piccoli e versatili. Si tratta degli organi su chip.
Il funzionamento degli organi su chip
Gli organi su chip sono sistemi artificiali composti da membrane porose che si trovano su strati polimerici traslucidi e trasparenti. All’interno dei pori della membrana sono inserite migliaia di cellule estratte dall’organo che si ha intenzione di riprodurre.
La stratificazione che si raggiunge nella membrana rispecchia in tutto e per tutto i gradi di organizzazione cellulare dell’organo in vivo; per questo motivo si parte dal livello più interno fino a giungere agli strati epiteliali esterni. In questo modo gli organi su chip garantiscono l’interazione delle diverse specie cellulari e l’instaurarsi di meccanismi di comunicazione, essenziali per giungere ad una corretta risposta biologica.
Al di sotto della membrana porosa, gli organi su chip si compongono di un sistema microfluidico formato da canalicoli che giungono ai sistemi cellulari (Fig. 2, 3). In questi minuscoli condotti scorrono tutti i mezzi di sostentamento che servono ad un comune organo, come sangue, ossigeno e nutrienti, e farmaci da testare in ricerca preclinica. I diversi canali a scopo trofico sono mantenuti in continuo rifornimento come in una sorta di piccola camera di perfusione. Gli organi su chip riproducono, attraverso queste tecnologie, il microenvironment fisiologico in cui risiede normalmente un organo.
Uno dei vantaggi degli organi su chip è che si possono ricreare stringenti condizioni di lavoro scelte dal ricercatore per evitare interazioni indesiderate. Se da un lato, quindi, si usa materiale umano per la loro composizione dall’altro modificando l’apporto dei nutrienti e le condizioni di lavoro, si crea un sistema su misura per lo screening farmacologico.
Esempi di organi su chip
Una delle prime applicazioni di organi su chip è stata la riproduzione di un polmone e la possibilità di fare lo stesso con il cuore.
Per quanto riguarda il polmone, scegliendo una membrana che simula la pleura, si possono porre su di essa in particolar modo due tipi cellulari: le cellule epiteliali alveolari e le endoteliali microvascolari polmonari. Questa sorta di compartimentalizzazione permette di ricreare l’interfaccia aereo-liquida tipica dei sistemi respiratori. In questo caso è stato possibile osservare l’innovazione degli organi su chip in quanto inserendo cellule dell’immunità e mediatori dell’infiammazione, si è potuto approfondire il meccanismo d’instaurazione di una tipica risposta infiammatoria polmonare.
Gli stessi concetti appena descritti sono continuamente applicati in sperimentazione per la costruzione di diversi organi su chip. Un altro esempio lampante è, infatti, quello del cuore. In questo caso il sistema consiste nel ricreare il miocardio ventricolare e sottoponendo quest’ultimo al collegamento con elettrodi, si può studiare l’elettrofisiologia della contrazione cardiaca.
In una visione d’insieme, tutti gli organi su chip differiscono tra loro, in forma ed organizzazione del sistema microfluidico, in base all’organo che ripropongono (Fig.4).
Organi su chip versus cavie da laboratorio
Riguardo gli organi su chip, sia la comunità scientifica che quella di chi segue le innovazioni in campo biotecnologico si dividono in due fronti contrapposti. Si discute sulla fedeltà di tali sistemi se messi a confronto con dei modelli animali che sono nel complesso, fisiologicamente, più affini all’organismo umano. I vantaggi dell’utilizzo degli organi su chip sono sicuramente evidenti in termini di costi e tempi di sperimentazione. La legislazione che regola il trattamento delle cavie da laboratorio è molto stringente e ne autorizza l’uso, esclusivamente dopo aver ottenuto le concessioni necessarie dagli enti che si occupano di tale materia.
Questo lungo iter di approvazione può ulteriormente allungare i tempi di sperimentazione e commercializzazione di un farmaco. Un altro aspetto da considerare sono i costi relativi al mantenimento degli animali da laboratorio (Fig. 5), in condizioni tali da rispettare l’etica alla base del loro impiego.
Gli organi su chip sono, dunque, un ottimo punto di partenza per il futuro delle biotecnologie farmacologiche; ma davvero un sistema microfluidico e una serie di membrane possono sostituire in modo definitivo un organismo vivente? Quello di cui si può essere certi è che per ricreare sistemi molto complessi, come quello cerebrale, che sono al centro della sperimentazione farmacologica la ricerca ha ancora molta strada da percorrere.
Gaia Bruno
Fonti
- https://www.adnkronos.com/salute/medicina/2019/06/28/embrione-umano-chip_HAVwVvlPdixwErlVEvTOhP.html
- https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2019/06/21/un-organismo-umano-su-chip-_c289208d-57a5-4fbe-a4aa-5d3829160710.html
- “Farmacologia generale e molecolare”, Clemente, Fumagalli (a cura di), Edra
- Immagine 1: https://www.medicalexpo.es/prod/emka-technologies/product-118043-898775.html
- Immagine 2: https://biomedicalcue.it/organi-su-chip-una-visione-dinsieme/15405/
- Immagine 3: https://eldefinido.cl/actualidad/mundo/7257/Organosenchips-reemplazarian-el-testeo-de-medicamentos-en-animales/
- Immagine 4: https://hackerstribe.com/2014/medicine-personalizzate-organi-su-microchip/
- Immagine 5: https://life.dn.pt/ratos-que-salvam-vidas/saude/355045/