Esperimento dei Lederberg: il replica plating

Tra gli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso si susseguirono una serie di esperimenti che permisero di dimostrare inconfutabilmente l’inattendibilità della teoria adattativa di Lamarck. Avendo già trattato il primo di questi esperimenti, ovvero il test di fluttuazione di Luria e Delbrück, cui vi rimandiamo per tutti i dettagli, ci occupiamo questa volta di spiegare la modalità di selezione indiretta di mutanti mediante la replica su piastra (replica plating).

Lo scopo del replica plating

I coniugi Joshua ed Esther Lederberg erano intenzionati a dimostrare che le mutazioni che rendono resistenti i batteri a determinati “fattori” vengono acquisite indipendentemente dall’esposizione al “fattore” stesso. Nel 1952 idearono, pertanto, un semplice quanto brillante esperimento che permise di avvalorare ulteriormente i risultati del test di fluttuazione avvenuto nel 1943 e di contribuire a ‘smontare’ la teoria lamarckiana.

La replica su piastra o replica plating (Figura 1) è una procedura che consente di dimostrare che le mutazioni batteriche avvengono prima che si abbia l’esposizione al fattore per il quale si acquisisce l’adattamento.

Piastratura delle repliche
Figura 1 – Esempio di replica plating, con ampicillina. Crediti: Vladsinger e Histidine – Wikipedia

Il piastramento delle repliche in pratica

Prelevando un campione di batteri da una qualsiasi coltura e piastrando con un appropriato terreno si osserva la crescita di un certo numero di colonie. Da quanto visto con l’esperimento di Luria e Delbrück, quando ogni batterio si moltiplica, nel corso delle generazioni, vi è una piccola ma costante probabilità che si possano verificare delle mutazioni. Per ogni colonia, quindi, è probabile che si sviluppi un certo numero di batteri con una qualche “nuova caratteristica”, come ad esempio la resistenza al fago T1.

Se così fosse, significherebbe che la resistenza può presentarsi senza che il batterio sia mai venuto a contatto con il fago.

I Lederberg non fecero altro che prendere le piastre su cui avevano precedentemente fatto crescere le colonie batteriche e metterle a contatto con un disco coperto da un pezzo di velluto o un foglio di carta assorbente sterili. In questo modo, per ogni colonia, veniva trasferita una piccola quantità di batteri sul velluto/foglio che avvolgeva il disco, come in un’impronta, permettendo ai batteri di ogni colonia di mantenere la loro posizione reciproca.

Successivamente il disco (ancora avvolto dal velluto o dalla carta) veniva poggiato su di una seconda piastra Petri contenente l’opportuno terreno ed una colonia di fagi T1, cosicché i batteri provenienti dalla prima piastra potessero trasferirsi indirettamente dalla prima alla seconda piastra (quest’ultima contenente i fagi).

Si osservava quindi la crescita di colonie solo in determinati punti, che corrispondevano ai batteri trasferiti che avevano acquisito la resistenza.
Andando successivamente a verificare sulla prima piastra quali colonie fossero resistenti al fago e quali no, si osservava che la corrispondenza posizionale tra colonie resistenti (e non) era esattamente la stessa della seconda piastra, dimostrando quindi che la resistenza era stata acquisita precedentemente all’esposizione con i fagi.

Angelo Schirinzi

Fonti:

  • Wikipedia, l’enciclopedia libera
  • Dehò Gianni, Galli Enrica. Biologia dei microrganismi. Italia: Casa Editrice Ambrosiana (Zanichelli), 2018.

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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