Degradazione batterica della plastica: il polietilene tereftalato (PET)

Il Problema della Plastica

La IUPAC, ovvero l’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata, definisce le materie plastiche come “materiali polimerici che possono includere altre sostanze per migliorarne le proprietà o ridurre i costi di produzione”. La IUPAC suggerisce inoltre di utilizzare il termine “polimero” piuttosto che “plastica”. Ciò aiuta a riflettere meglio la complessità e la varietà di materiali in questa categoria. Contrariamente alla percezione comune, la plastica pura è un materiale organico. Essendo costituita da lunghe catene di atomi di carbonio e idrogeno, risulta simile a molecole presenti in natura. Tuttavia, le materie plastiche commerciali contengono spesso additivi inorganici come il famoso bisfenolo A o fibre di vetro per migliorarne le prestazioni strutturali e termiche. Un’area di studio rilevante è la degradazione batterica della plastica, che mostra come i batteri possano scomporre alcuni di questi materiali complessi.

Degradazione batterica della plastica in un fiume
Figura 1 – Degradazione batterica della plastica in un fiume [Fonte: www.scitechdaily.com]

La derivazione fossile e l’utilizzo di additivi rendono i materiali plastici odierni un problema ambientale complesso. L’uso di petrolio e gas naturale non è sostenibile da un punto di vista ambientale e genera elevate emissioni di CO2 mentre gli additivi introducono composti tossici generando un potenziale rischio per la salute. La resistenza della plastica alla degradazione fa sì che essa persista nell’ambiente per secoli. Inoltre, l’azione degli eventi naturali portano alla sua frammentazione in microplastiche che contaminano oceani, suoli e catene alimentari. Tra le varie plastiche, il polietilene tereftalato (PET), è uno dei più diffusi. Sebbene il PET sia teoricamente riciclabile, solo una piccola percentuale viene effettivamente recuperata e il resto finisce in discarica o disperso, continuando ad alimentare il problema ambientale. Il ritrovamento di alte quantità di frammenti di PET in natura ha avviato la caccia ad un enzima che consenta la degradazione batterica del PET.

Il Polietilene Tereftalato (PET)

Il PET è una resina termoplastica appartenente alla famiglia dei poliesteri. La sua decomposizione richiede altissime temperature (450°C) con formazione di composti tossici. Questa elevata stabilità la rende ottima come contenitore per liquidi e cibi ma un serio problema per lo smaltimento e la ritenzione ambientale dovuta alla non facile degradazione della plastica.

Dal punto di vista chimico, il PET è composto da monomeri di etilene tereftalato, formati attraverso legami esterici tra acido tereftalico e glicol etilenico. Poiché in natura abbondano enzimi con attività esterasica, capaci cioè di scindere questi legami, i ricercatori hanno intensificato lo studio della degradazione batterica della plastica, soprattutto dopo la scoperta dell’enzima prodotto dal batterio Ideonella sakaiensis, in grado di degradare efficacemente il polimero.

Degradazione Batterica del PET

Nel 2016, il ricercatore giapponese Yoshida e il suo team riuscirono a isolare I. sakaiensis da una popolazione trovata in un centro di riciclaggio del PET. Il batterio isolato venne nominato Ideonella sakaiensis 201-F6. Si tratta di un bacillo gram-negativo, asporigeno e aerobico. I ricercatori hanno notato che facendolo crescere su un substrato di PET, le colonie assumevano caratteristiche morfologiche particolari. Vale a dire che le singole cellule si connettono fisicamente mediante processi cellulari creando una vera e propria rete.

Per quanto riguarda la degradazione batterica del PET, hanno notato che questo batterio è in grado di produrre due enzimi. Il principale enzima di questo doppio sistema è la PETasi. Fa parte della famiglia delle cutinasi e contiene serina, istidina e acido aspartico come triade catalitica. La cosa affascinante è che grazie a poche modificazioni nella struttura primaria possiede un’efficienza catalitica molto più alta delle altre cutinasi. Questo perché possiede un ponte disolfuro aggiuntivo e solamente tre amminoacidi in più. Queste piccole modifiche consentono il legame diretto della molecola ingombrante di PET e stabilizzano questo legame. In questo caso, dalla degradazione batterica della plastica si ottiene un mix di tereftalato biidrossietile (BHET) e tereftalato monoidrossietile (MHET). Ora entra in gioco il secondo enzima. Questo serve a degradare il MHET in acido tereftalico e glicol etilenico, cioè le componenti base del PET. Il secondo enzima viene quindi chiamato MHETasi.

Processo chimico della degradazione batterica del polietilene tereftalato da parte di Ideonella sakaiensis
Figura 2 – Processo chimico della degradazione batterica del polietilene tereftalato da parte di Ideonella sakaiensis [Fonte: www.packagingguruji.com]

Importanza Economica e Ambientale della Degradazione Batterica della Plastica

Molti organismi con la capacità di degradare la plastica sono stati isolati prima dello Ideonella sakaiensis 201-F6. Tuttavia, nessuno presentava un sistema di degradazione batterica così efficiente. Per esempio molti Bacillus mostrano attività verso PEG e PHA. Però la loro azione si limita al polietilene a bassa densità o verso polimeri solubili in acqua. Anche alcuni funghi come Aspergillus si sono mostrati capaci di degradare la plastica. Anche in questo caso con la limitazione di una bassa efficienza e solamente verso polimeri acrilici. Degli organismi molto promettenti sono le larve di alcuni insetti. Questi usano i batteri intestinali per mangiare polimeri a bassa densità esattamente come fanno i ruminanti per l’erba e le termiti per il legno.

Questa recente scoperta del sistema PETasi-MHETasi spiana la strada alla ricerca sulla degradazione batterica della plastica. Non solo ci viene offerta una soluzione potenzialmente sostenibile per affrontare l’accumulo di rifiuti plastici, uno dei problemi ambientali più pressanti del nostro tempo. Ma dal punto di vista economico, la degradazione batterica della plastica potrebbe ridurre i costi associati alla gestione dei rifiuti e diminuire la dipendenza da discariche e inceneritori, contribuendo allo sviluppo di un’economia circolare basata sul recupero delle risorse. La degradazione batterica rappresenta, quindi, un’area di ricerca innovativa, che potrebbe mitigare l’impatto ambientale della plastica e creare nuove opportunità economiche legate al trattamento biologico dei rifiuti.

Bibliografia

  • Gomes, Thiago S., et al. “Life Cycle Assessment of Polyethylene Terephthalate Packaging: An Overview.” Journal of Polymers and the Environment, vol. 27, no. 3, Jan. 2019, pp. 533–48, https://doi.org/10.1007/s10924-019-01375-5.
  • Knott, Brandon C., et al. “Characterization and Engineering of a Two-Enzyme System for Plastics Depolymerization.” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, vol. 117, no. 41, Oct. 2020, pp. 25476–85, https://doi.org/10.1073/pnas.2006753117.
  • Maity, Writtik, et al. “Emerging Roles of PETase and MHETase in the Biodegradation of Plastic Wastes.” Applied Biochemistry and Biotechnology, vol. 193, Apr. 2021, https://doi.org/10.1007/s12010-021-03562-4.

Crediti Immagini

  • Figura 1 e Immagine in evidenza: https://scitechdaily.com/plastic-eating-bacteria-discovered-in-urban-waterways/
  • Figura 2: https://packagingguruji.com/new-research-finds-the-plastic-eating-bacteria-to-overcome-the-plastic-pollution-chinese-scientists/
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Cosmin Mitachi

Sono Cosmin, laureato prima in Scienze Biologiche e dopo in Biotecnologie Industriali presso l'Università di Torino. Amante della natura e delle scienze, scrivo come hobby per provare a diffondere la conoscenza a chiunque abbia la volontà di apprendere. Sapere aude.

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