Kanwisher e Ridgway resero noto in una ricerca, intitolata “The physiological ecology of whales and porpoises” pubblicata nel 1983 che secondo alcune loro osservazioni i cetacei potevano giocare un ruolo fondamentale nel fenomeno di upwelling (risalita) di nutrienti dalle acque profonde dei mari in cui nuotavano definendo a loro insaputa il fenomeno del “Whale pump”. Un fenomeno capace di influenzare la produttività primaria e l’export di carbonio.
Le balene
Con il termine “balene” solitamente si tende ad indicare un qualsiasi cetaceo (solitamente vengono così appellati esclusivamente i misticeti) di grandi dimensioni. Come ogni cetaceo (Fig.1), presentano un corpo fusiforme, in grado di assicurare loro una maggiore idrodinamicità. Posseggono due pinne considerate come gli arti anteriori, mentre quelli posteriori sono assenti. Posseggono ovviamente una grande pinna caudale, solitamente divisa in due lobi. Le specie di questo particolare Infraordine vengono suddivise in Odontoceti e Misticeti.
La principale differenza fra i due parvordini (una sotto categorizzazione degli ordini) è la presenza o meno di una struttura dentaria. Gli odontoceti sono appunto dotati di denti, e si nutrono principalmente di pesci e calamari. Appartiene a questa categoria il capodoglio (Physeter macrocephalus), il più grande del suo gruppo arrivando a misurare infatti fino a 18 metri di lunghezza.
I misticeti sono dotati invece di fanoni (Fig.2), delle strutture cheratinose presenti sulla mascella superiore che agiscono da filtro permettendo principalmente di filtrare il plancton. Tra questi ricordiamo la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), l’animale più grande sul nostro pianeta, con ben oltre 30 metri di lunghezza.
I cetacei e i cicli dei nutrienti
Questi grandi cetacei rientrano fra i mammiferi marini in grado di ricoprire un ruolo fondamentale nei cicli dei nutrienti negli oceani. Grazie ai loro grandi corpi sono in grado, in primo luogo, di spostare grandi masse d’acqua durante i loro prolungati periodi di immersione. Ma ancor più grande è il loro apporto tramite la produzione di feci liquide, ad alto contenuto nutriente, attraverso le quali riescono ad apportare un contributo primario a quello che è il ricircolo dei nutrienti. Essi giocano quindi un ruolo fondamentale in acque oligotrofiche dove appunto la quantità di nutrienti scarseggia.
Questo perché la maggior parte di essi, tende solitamente a nutrirsi sotto il livello della zona fotica, dove appunto tendono a stabilizzarsi in forme diverse molti elementi. Questi elementi, sotto forma organica, quindi principalmente contenuti nelle prede di questi grandi animali, forniscono poi la fonte per l’espulsione di queste feci particolarmente nutrienti per le popolazioni degli strati fotici dell’oceano. Questo provoca la risalita di materiale più o meno recalcitrante, che ritorna biodisponibile per le popolazioni di produttori primari a profondità più basse.
Whale pump: upwelling
Lo spostamento di materiale nutriente (whale pump) viene indicato come risalita poiché appunto viene spostato dalla zona afotica (maggior profondità) a quello fotica (minor profondità) attraverso i cetacei. Nel momento in cui essi riemergono dalle loro immersioni di caccia, espellono sotto forma di feci liquide, i nutrienti introdotti attraverso la loro dieta. Queste feci persistono poi nella zona fotica. Si è certi della profondità a cui questi animali effettuano queste operazioni di fine metabolismo, poiché appunto durante le immersioni riducono al massimo molte delle loro attività metaboliche riattivandoli una volta riemersi oppure in prossimità della superficie.
Questo movimento si rivela così fondamentale poiché è in grado di stimolare una nuova produzione primaria andando ad implementare quella alimentata dai nutrienti già presenti nella zona fotica. Coloro che vengono avvantaggiati da questo spostamento sono principalmente i membri del fitoplancton, ovvero i produttori primari. Secondo quanto riportato da Roman e McCarthy, questo movimento potrebbe essere paragonato al fenomeno del “biological pump”, che provoca invece uno spostamento nel senso opposto.
Il biological pump e il whale pump
Queste escrezioni o feci sono ricche quindi in azoto, fosfato e ferro, motivo per il quale come abbiamo precedentemente ribadito, questo fenomeno viene definito come l’opposto della pompa biologica (biological pump). Il risultato finale è una naturale fertilizzazione delle acque superficiali, che crea dei cambiamenti significativi nel momento in cui avviene in acque povere di nutrienti.
Ma per quale motivo viene considerato come fenomeno opposto alla pompa biologica?
L’aumento della biodisponibilità di nutrienti limitanti provoca un aumento a sua volta della produzione primaria (grazie alla fioritura o bloom dei produttori primari) che porta ad un aumento a sua volta della quantità di carbonio sequestrato dai produttori primari, che in fin dei conti va così poi ad alimentare la pompa biologica stessa. La differenza che può portare a pensare che questi due fenomeni si oppongano è data dalla diversa direzione che i flussi dei nutrienti (escluso il carbonio) possono assumere.
Questo fenomeno si rivela di particolare importanza in zone dell’oceano definite HNLC, ovvero ad alte concentrazioni di nutrienti ma basse concentrazioni di clorofilla.
Il ferro, l’elemento limitante
Anche se precedentemente abbiamo ribadito che questo fenomeno è importante in zone oligotrofiche, anche in particolari zone ricche di nutrienti può rivelarsi fondamentale. Questo poiché, nelle aree HNLC (Fig.4), prima definite, il ferro è uno dei fattori che più limita lo sviluppo del fitoplancton e la produzione primaria. I cetacei attraverso il fenomeno del “whale pump” riescono a immettere nella zona fotica all’incirca 50 megatonnellate di ferro. Quest’immissione riesce a contrastare in alcuni casi i fattori che regolano la produzione primaria in queste zone, come gli organismi predatori (grazers) o fattori fisici (down-welling).
Questa grande quantità di ferro deriva dal fatto che i cetacei sono in grado di rilasciare fino a più del 90% del ferro che essi assimilano tramite la loro dieta. Fatto dovuto alla bassissima percentuale di assorbimento dei Sali ferrosi nello stomaco di questi animali. Questi sali ferrosi una volta espulsi si legano a ligandi in grado di favorirne la loro dissolubilità nella zona fotica, aumentandone la persistenza. In uno studio condotto sui capodogli nell’oceano Antartico, le stime hanno indicato che circa il 75% del ferro rilasciato persiste nella zona fotica.
E l’azoto?
Il ferro non è l’unico elemento che subisce l’effetto del whale pump (Fig.5). Tra questi nutrienti, ritroviamo l’azoto, componente fondamentale per molte forme di vita primaria. Secondo alcune stime, infatti, i mammiferi marini rilasciano circa 2.3 x 104 tonnellate per anno di azoto (solo nel Golfo del Maine, luogo dello studio di ricerca). Infatti, questi animali riescono approssimativamente a superare l’apporto di tutti i fiumi mondiali combinati. Il maggior contributo al ciclo dell’azoto avviene in primavere ed estate quando i livelli di nitrato sono minori. Questo porta, come nel caso del ferro, ad un effetto con feedback positivo che aumenta la produttività del fitoplancton (o del plancton in generale).
L’export di carbonio
Secondo uno studio pubblicato nel 2010 da T. J. Lavery e collaboratori, l’apporto di ferro, in quanto nutriente limitante influenza a sua volta anche l’export di carbonio. Quest’ipotesi si basa sul fatto che a pari valore, un aumento della produzione primaria porta anche ad un aumento dell’export di carbonio. In questo lavoro, essi hanno comparato la quantità di carbonio respirato dalle balene con quello esportato ricavandone un dato molto interessante.
Sono riusciti a calcolare l’apporto del whale pump, grazie all’utilizzo di un rapporto molare per calcolare la quantità di carbonio esportata in relazione al ferro aggiunto. Dato che, delle 50 megatonnellate di ferro che vengono immesse dal fenomeno del whale pump, circa il 75% persiste nella zona fotica, abbiamo una quantità di circa 36 megatonnellate che non precipita nelle zone sottostanti. Queste 36 mt stimolano l’esportazione di 4 x 105 tonnellate di carbonio per anno verso le acque profonde. Secondo una stima di questo gruppo di ricerca, basata sempre sui dati raccolti dai capodogli nell’oceano Antartico, questi animali respirano una quantità di 1.6 x 105 tonnellate di carbonio per anno. Calcoli alla mano, la popolazione di cetacei contribuisce per l’esportazione netta di circa 2.4 x 105 tonnellate di carbonio l’anno.
La popolazione di cetacei
Tristemente questo dato rappresenta all’incirca solo lo 0,05% delle tonnellate di carbonio che l’uomo immette in natura (prendendo in considerazione un dato del solo 2005). Inoltre, la popolazione di balene è nel tempo diminuita. Si stima che le popolazioni di capodogli nel solo oceano antartico (o meridionale) si siano ridotte nel tempo del 85-95%. Una stima che proviene ovviamente da una somma di periodi in cui la caccia a queste ultime era più che selvaggia, con periodi di grandi mattanze nelle tre decadi fra il 1940 e il 1970.
Anche se a conti fatti, questi dati (in particolar modo quelli riguardanti l’export di carbonio) dipendono comunque da variabili come la stagionalità delle prede che compongono la dieta dei cetacei, e altri fattori ambientali che possono influenzare questo fenomeno. Si capisce però, nonostante la non certezza matematica di queste cifre, che possono comunque variare, come sia stato un errore in alcuni periodi storici, sterminare le popolazioni di balene (in generale dei cetacei) che apportano un gran contributo al ciclo del carbonio e alla produzione primaria degli oceani dell’intero pianeta.
Fonti
- Encyclopedia of the Sea – Richard Ellis
- Iron defecation by sperm whales stimulates carbon export in the Southern Ocean – T. J. Lavery, B. Roudnew et al. (2010)
- The Whale Pump: marine mammals enhance primary productivity in a coastal basin – J. Roman, J. J. McCarthy (2010)
- Marine microbiology: Ecology and Applications – C. Munn 3° Edizione
- Immagine in evidenza: NOAA Photo Library