Ottobre, tempo di vendemmia, tempo di fermentazione! Ci siamo: questo è il periodo dell’anno in cui nei vigneti si raccolgono i frutti del duro e lento lavoro di un intero anno e si procede alla preparazione della bevanda che accompagnerà i pasti dell’anno successivo.
La vinificazione è una di quelle pratiche millenarie che abbraccia la nostra cultura e la nostra storia, ed è un esempio di processo biotecnologico applicato e praticato inconsapevolmente da sempre. I primi vinificatori non sapevano di certo che il processo di trasformazione che portava dal succo d’uva alla bevanda inebriante fosse mediato dall’attività di microrganismi invisibili ad occhio nudo, né tantomeno erano a conoscenza dell’esistenza di batteri e lieviti.
Dobbiamo invece ringraziare proprio batteri e lieviti se dal frutto zuccherino della vite si può ricavare la bevanda alcolica ricca di profumi e aromi (e proprietà nutrizionali da non sottovalutare) che tanto amiamo!
La vinificazione
La vinificazione è il processo che riguarda la trasformazione del mosto in vino. Dopo aver raccolto l’uva (vendemmia), nelle cantine inizia il processo di vinificazione propriamente detta, che comprende diverse fasi (Fig. 2):
- Diraspatura e pigiatura: il processo meccanico mediante il quale gli acini d’uva vengono separati dal raspo e successivamente spremuti per separare la parte liquida da quelle solide (vinacce e vinaccioli). Queste ultime, dopo la macerazione assieme al succo, vengono allontanate dal mosto;
- Fermentazione alcolica: la fermentazione alcolica è la fase centrale della vinificazione. E’ il processo mediante il quale gli zuccheri naturalmente presenti nei mosti si trasformano in alcool grazie all’azione dei lieviti (principalmente Saccharomyces cerevisiae, ma anche altre specie);
- Affinamento e maturazione del vino: è la fase successiva alla fermentazione in cui il vino viene sottoposto a travasi e filtrazione. Segue poi un periodo di assestamento all’interno di recipienti inerti per un periodo variabile (da qualche settimana a qualche mese). E’ durante questa fase che si sviluppano gli aromi secondari del vino e tutti quegli elementi che contribuiscono a determinarne il profumo e le caratteristiche organolettiche. E tutto questo avviene, nuovamente, grazie all’azione di altri microrganismi, i batteri lattici, che operano la cosiddetta fermentazione malolattica e altre reazioni chimiche.
La base della vinificazione: la fermentazione malolattica
La fermentazione malolattica, in realtà, non è una vera e propria fermentazione dal punto di vista chimico, bensì si tratta di una conversione malolattica, ovvero una reazione di decarbossilazione dell’acido malico ad acido lattico catalizzata dall’enzima malolattico. Contemporaneamente avviene la conversione del gruppo acido (-COOH) in acqua e anidride carbonica (Figura 3).
La reazione è mediata dai lattobacilli, batteri lattici appartenenti principalmente alle specie Oenococcus oeni e Lactococcus lacti, che sono naturalmente presenti nel mosto. I batteri lattici si trovano sulle bucce delle uve, ma anche negli ambienti di cantina come silenti colonizzatori. Possono dar luogo a fermentazioni spontanee attaccando gli zuccheri residui nei mosti dei vini. In questo caso danno vita a fermentazioni eterolattiche, generando anche dei sottoprodotti indesiderati come l’acido acetico.
Caratteristiche della fermentazione malolattica
La fermentazione malolattica è un evento caratteristico che porta il vino a maturazione e avviene successivamente alla fermentazione alcolica. Generalmente, inizia spontaneamente a fine inverno quando il rialzo termico (18-20 °C) favorisce la crescita dei batteri lattici.
Affinché questo tipo di fermentazione abbia inizio, infatti, sono necessarie alcune condizioni:
- Il pH del vino non deve essere eccessivamente basso;
- Non deve esserci un eccesso di anidride solforosa;
- L’alcol etilico non deve superare il 15%;
- La temperatura del vino deve essere compresa tra i 18 e i 20°C.
Durante la fermentazione malolattica, l’acido malico, che è più aspro, si trasforma in acido lattico, che è più debole e dona un gusto più delicato e meno acre al vino. Questo permette quindi di ottenere un vino più morbido ed equilibrato, ma allo stesso tempo corposo per via della concentrazione di polisaccaridi.
Effetti organolettici della fermentazione alcolica
I batteri lattici tendono a metabolizzare non solo l’acido malico, ma anche gli zuccheri residui, se sono ancora presenti nel mosto dopo la fermentazione alcolica. Inoltre, la maggior parte dei batteri lattici sono eterofermentativi: generano cioè non solo acido lattico e i suoi sali, ma anche metaboliti secondari (acetoino, diacetile, acido acetico). Questi possono alterare il profilo aromatico del vino sia positivamente che negativamente.
Ad ogni modo, l’effetto principale della fermentazione malolattica è quello di ridurre l’acidità del vino: nello specifico, il consumo di 1 g/L di acido malico fa diminuire l’acidità totale di 0,4 g/LH2SO4. Nello specifico durante la fermentazione malolattica aumenta l’acidità volatile, ma diminuisce quella totale (Figura 5).
La fermentazione malolattica viene utilizzata maggiormente nei vini rossi ,ma recentemente è stata introdotta anche nei vini bianchi più importanti, che grazie ad essa risultano dotati di grande morbidezza.
Effetti negativi
I batteri lattici eterofermentativi, come anticipato, possono avere allo stesso tempo un effetto negativo sulle proprietà organolettiche del vino. Specialmente quando la microflora è di dubbia natura, c’è il rischio che si producano sottoprodotti indesiderati.
Per questo, soprattutto nella grande produzione industriale, vengono utilizzati batteri lattici specifici come starter per supportare la fermentazione malolattica e allo stesso tempo contrastare possibili condizioni avverse alla microflora autoctona.
I batteri lattici utilizzati in enologia
I batteri lattici associati all’industria enologica appartengono a 4 generi: Oenococcus e Lactobacillus (già menzionati) ma anche Leuconostoc e Pediococcus. Il pH del vino è un fattore però fortemente selettivo. Generalmente, sotto pH 3.5 soltanto i ceppi della specie O. oeni riescono a sopravvivere e ad esprimere il loro potenziale malolattico. Invece, in vini con pH superiore entrano in gioco anche specie dei generi Lactobacillus e Pediococcus.
O. oeni (Fig. 6) è quindi la specie meglio adattata alle difficili condizioni enologiche ed è il batterio comunemente presente negli starter commerciali. Tra i Lactobacillus, in aggiunta a L. lacti (Fig. 7) recentemente anche L. plantarum si è dimostrato molto promettente per gli starter nei vini ad alto pH e possiede un corredo enzimatico capace di influire sul profilo sensoriale del vino.
Ancora una volta, dei microrganismi invisibili ad occhio nudo e sconosciuti ai più si rivelano fondamentali per la buona riuscita di uno dei prodotti di maggior consumo in Italia e nel mondo.
Grazie batteri, grazie microbiologia!
Fonti
- https://www.quattrocalici.it/conoscere-il-vino/fermentazione-malolattica/
- https://www.lallemandwine.com/wp-content/uploads/2017/05/Raccolta-Lallemand-pubblicazioni-batteri.pdf
- Kemp B. et al (2019) Red winemaking in cool climates. Red wine technologies 2019 pp 341-356