I batteri sono procarioti costituiti da un’unica cellula. Questo potrebbe far pensare che si tratti di microrganismi semplici, eppure sono agenti patogeni responsabili di malattie che colpiscono anche l’uomo (organismo eucariotico pluricellulare).
Ad oggi, questi microrganismi vengono contrastati attraverso l’utilizzo degli antibiotici, ma, poiché spesso questi vengono somministrati in maniera smisurata e anche in assenza di un effettivo bisogno, i batteri sono riusciti ad evolversi sviluppando resistenza a questi farmaci, uno dei problemi della modernità.
L’antibiotico-resistenza è determinata dai plasmidi (figura 1), elementi genetici di piccole dimensioni (1-150kb) in grado di replicarsi autonomamente. Questi portano “geni accessori”, cioè geni che non sono fondamentali per la vita della cellula, ma sono importanti per la virulenza del batterio, poiché codificano per la produzione di pili, tossine o sono geni, come il fattore R che conferisce appunto resistenza a determinati antibiotici.
Come avviene questo fenomeno?
Spesso questo ha origine dal trasferimento orizzontale, cioè il passaggio di materiale genetico da una cellula batterica all’altra. Gli elementi responsabili di questo fenomeno sono proprio i plasmidi.
Proprio di questo meccanismo, in particolare della trasformazione (figura 2), si sono occupati gli studiosi dell’Università dell’Indiana (USA) che hanno utilizzato una nuova tecnica di colorazione fluorescente per osservare le cellule esattamente nel momento in cui la cellula batterica preleva dall’ambiente circostante un frammento di DNA solubile rilasciato da una cellula “donatrice” e lo porta al suo interno, tramite i pili.
I pili sono appendici molto piccole (sono addirittura 10000 volte più sottili di un capello umano!) che si trovano sulla superficie di alcune cellule batteriche e sono responsabili, oltre che del trasferimento orizzontale, anche della formazione del biofilm.
Senza la presenza dei pili, l’ingresso del DNA nella cellula batterica sarebbe praticamente impossibile: “come infilare un filo nella cruna di un ago!” afferma Courtney Ellison, una delle prime autrici dello studio.
Lo studio, pubblicato sulla rivista “Nature microbiology”, si è focalizzato su un batterio in particolare, il Vibrio cholerae (figura 3), l’agente responsabile della trasmissione del colera.
I ricercatori si sono focalizzati sulla struttura dei pili per favorirne la marcatura fluorescente.
Sapendo che i pili sono costituiti da proteine legate tra loro a formare una specie di collana di perle, e che ciascuna di esse è costituita da amminoacidi, i ricercatori hanno sostituito un amminoacido con la cisteina.
Questa è infatti in grado di legare una piccolissima molecola, chiamata maleimide, che a sua volta trasporta un colorante fluorescente.
In questo modo il gioco è fatto!
Dopo aver marcato con un colorante fluorescente il pilo (figura 4), i ricercatori hanno analizzato come questo riuscisse ad agganciare il frammento di DNA, per poi ritrarsi, a poco a poco, per portare il materiale genetico sulla superficie cellulare, a livello di un piccolissimo poro presente sulla membrana esterna della cellula.
Questo è solo il primo di molti obiettivi che il team si propone di raggiungere: dopo aver visto come avviene il trasferimento orizzontale, infatti, sono interessati a comprendere in che modo avvenga l’aggancio tra la punta del pilo e il frammento del DNA.
In questo modo, infatti, si potrebbe pensare di bloccare questo meccanismo, andando quindi a fermare il fenomeno dilagante della farmaco-resistenza.
Emanuela Pasculli
Fonte: Le Scienze
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