Dalla difficoltà di utilizzare tecniche di routine finalizzate alla ricerca di tutti i possibili organismi patogeni per definire la qualità dell’acqua è sorta la necessità di ricercare microrganismi indicatori di contaminazione, la cui presenza può essere considerata indice della presenza di patogeni. L’uso degli indicatori tuttavia fornisce la probabilità, e non la certezza, della presenza di patogeni. I microrganismi storicamente proposti come indicatori di inquinamento fecale nell’ambiente e che vengono ricercati, comunemente e su base normativa, per la definizione della qualità di acque di diversa tipologia e a diversa destinazione d’uso sono i Coliformi Totali (Fig.1).
Si tratta di batteri a forma di bastoncello, gram negativi, aerobi ed anaerobi facoltativi, non sporigeni. Sono considerati, insieme ai coliformi fecali (Fig.2) e agli streptococchi, classici indicatori di contaminazione nelle acque. Pur essendo presenti nel materiale fecale di origine umana con una densità media di 109 UFC/g, sono ubiquitari.
Proprio a causa della loro costante presenza nell’ambiente, la loro validità come indicatori è stata più volte messa in dubbio. Le più recenti indicazioni, in fase comunque di ulteriore evoluzione, tendono a distinguere i microrganismi appartenenti al gruppo in due principali categorie che, in base alle specie, e non più al genere, differenziano coliformi di origine fecale e coliformi di origine acquatica e tellurica, naturalmente presenti nelle acque al di là di qualsiasi contaminazione. La prima categoria, ben conosciuta, è quella dei coliformi di riconosciuta origine fecale che comprende alcune specie dei generi Escherichia, Enterobacter, Citrobacter e Klebsiella presenti nel materiale fecale dell’uomo e degli animali a sangue caldo e in acque e suoli contaminati. La seconda categoria corrisponde a specie che, al contrario, sono largamente distribuite nell’ambiente, dove possono anche moltiplicarsi, colonizzando suolo, acqua e vegetazione.
Il metodo consente di valutare, in un volume noto di acqua, la concentrazione dei microrganismi appartenenti al gruppo dei coliformi totali. La procedura analitica si basa sul conteggio dei microrganismi presenti in un volume noto del campione di acqua e a tal fine viene utilizzato il metodo MPN (Most Probable Number).
Il sistema più utilizzato è quello detto ‘simmetrico’ ed impiega lo stesso numero di tubi per ogni diluizione del campione in esame (solitamente si usano 3 o 5 tubi per diluizione).
I tubi con il campione e il terreno appropriato vengono messi ad incubare in termostato o in bagnomaria secondo i tempi e le temperature richiesti, quindi si passa alla lettura identificando i tubi positivi di tre diluizioni successive significative (la positività dipende dal terreno e dalla reazione richiesta). A questi si assegna il valore 1 mentre a quelli negativi si da valore 0, dopodichè si sommano i valori ottenuti per ogni gruppo di 3 o 5 tubi alla stessa diluizione e si confrontano con una tavola statistica che fornisce il valore del numero più probabile di microrganismi per varie combinazioni di tubi positivi. Moltiplicando il valore corrispondente delle tabelle per l’inverso del fattore di diluizione si risale al numero presuntivo di colonie presenti nel campione iniziale espresso in MPN/g o ml.
Una prima tavola statistica per la determinazione del MPN fu proposta da Mc Crady nel 1915 (Fig 4).
Con questo metodo viene calcolata la densità dei coliformi totali in campioni di acque tramite la formula probabilistica che definisce il numero più probabile di batteri coliformi necessario a produrre combinazioni di tubi positivi e negativi in repliche di diluizioni decimali. Il metodo è particolarmente adatto per l’esame di acque che presentano un’elevata torbidità.
Luana Bignozzi
Fonti:
http://www.gtdambiente.it/content/docs/norme_e_metodi/APAT-CNR-IRSA/file/7010.pdf
http://www.iss.it/binary/ampp/cont/TECN%20MICR.1113570628.pdf