Tutto quello che introduciamo nel corpo, sottoforma di cibo o di farmaco, viene rapidamente scomposto in molecole bioattive, intercettate e vagliate dai nostri organi emuntori (“pulitori”) primari e secondari. A questi ultimi appartiene la pelle che è in grado di far sentire la propria voce in caso di disagio microbiologico mediante arrossamenti cronici ed ostinati, noti come rosacea. I farmaci sospettati di ingerenze sul microbiota cutaneo, ça va sans dire, gli antibiotici. Sarà vero?
Rosacea: l’infiammazione che fa arrossire
La dermatite cronica benigna, nota con il nome di rosacea (abbreviazione di acne rosacea), è il frutto di uno stato infiammatorio locale che si manifesta con eritema facciale, apprezzabile sulla zona centrale del viso. Siamo, ad oggi, in grado di distinguerne diversi esiti fenotipici: eritema centro-facciale, alterazioni fimatogene (tumore cutaneo, noto come fima), papule e pustole, flushing cutaneo, telangectasia, manifestazioni oculari, etc.
Steinhoff e colleghi sostengono che il meccanismo patogenetico della rosacea si strutturi su due basi disfunzionali: da un lato la disregolazione neurovascolare e dall’altro una aberrante risposta immunitaria innata. Entrambi questi fattori determinerebbero, dunque, l’infiammazione cutanea, nelle sue molteplici sfumature fenotipiche. Il coinvolgimento della immunità innata nello sviluppo infiammatorio è confermato dalla up-regolazione della via biosintetica del peptide LL-37 derivante dalla catelicidina, ad opera della callicreina. La callicreina è un enzima (serin-proteasi) presente in eccesso nello strato corneo dell’epidermide, in caso di rosacea.
Peptidi antimicrobici ed immunità innata
I peptidi antimicrobici ed i loro precursori costituiscono il centro dell’immunità innata umana ed animale (in particolare nei mammiferi). Il peptide LL-37 è elicoidale ed anfipatico, riscontrato in tutto il corpo umano, con attività antimicrobica ad ampio spettro. Esso è, infatti, espresso nelle cellule epiteliali dei testicoli, della cute, dei tratti intestinali e respiratori e persino nei leucociti (monociti, neutrofili, cellule T e B, cellule NK). Il peptide LL-37 apporta ulteriore regolazione della risposta infiammatoria, della chemiotassi cellulare nel sistema immunitario acquisito, in sede di lesione od infezione. Tale molecola, inoltre, lega e neutralizza i lipopolisaccaridi (LPS) microbici, promuovendo, contemporaneamente, la riepitelizzazione e la chiusura delle ferite.
L’immunità innata dei mammiferi
I tessuti che, per la prima volta, affrontano il contatto con agenti esogeni, si difendono mediante liberazione di peptidi antimicrobici (AMPs). Essi possiedono caratteristiche cationiche ed anfipatiche per le quali sono impiegati, per esempio, nei Procarioti come armi contro altri organismi competitori. In questo tipo di organismo, infatti, i peptidi provengono sia da vie biosintetiche ribosomiali che non ribosomiali. Nei mammiferi, invece, i granulociti sono così definiti proprio per la presenza di granuli ricchi di precursori di AMPs pronti ad essere attivati. L’attivazione avviene in seguito a secrezione nei fagosomi, posti poi fatalmente a contatto con intrusi catturati e, per l’appunto, fagocitati.
Eppure, l’azione antimicrobica diretta non è l’unica funzione degli AMPs. Questo differente punto d’osservazione funzionale sui peptidi è giustificato dalla loro dimostrata sofferenza, in termini di capacità antimicrobiche, quando si trovano in siero o tessuti. Al contrario, sembra che essi crescano in efficacia immunomodulatoria in relazioni complesse tra immunità innata ed acquisita.
Nei mammiferi, inoltre, i peptidi si distinguono in due tipologie: le defensine (più abbondanti) e gli AMPs (derivati dalla catelicidina). Ma, secondo De Smet e Contreras, esisterebbe una terza tipologia: le istatine, in stretta relazione con le altre due.
Il microbiota cutaneo in corso di rosacea
Iniettati in modelli animali, i peptidi di catelicidina innescano risposta infiammatoria ed angiogenetica, suggerendo, così, che proprio la disfunzione del sistema immunitario innato causi le classiche caratteristiche cliniche della rosacea (papule e pustole infiammatorie). I soggetti con simili manifestazioni cutanee vengono, di solito, sottoposti a trattamenti antibiotici topici o sistemici con metronidazolo, ivermectina ed eritromicina. Nei casi più ostinati, i cicli di antibiotici sistemici vengono ripetuti e risultano gli stessi impiegati anche per l’acne infiammatoria: tetraciclina, doxiciclina, minociclina.
La conseguente scomparsa delle papule di rosacea, dopo trattamento sistemico, è attribuita ad una concomitante capacità anti-infiammatoria degli antibiotici. In effetti, tali farmaci inducono completa risoluzione delle lesioni anzichè la sola attenuazione. Inoltre, risultando più efficaci degli antinfiammatori stricto sensu (steroidi e farmaci non steroidei -FANS-), gli antibiotici, evidentemente, godono dell’aiuto di comunità batteriche cruciali.
Diversi studi indicano specie microbiche che concorrerebbero allo sviluppo di rosacea: Demodex folliculorum, Staphylococcus epidermidis, Bacillus deronius, Helicobacter pylori, Chlamydia pneumoniae. Come molti dei microbi isolati sulla cute, questi sono organismi commensali ed è difficile quindi collegarli univocamente alla patologia infiammatoria. Oltretutto, la rosacea, diversamente dall’acne, è diffusa trasversalmente nelle varie fasce d’età umane, correlandosi a differenti popolazioni batteriche proprio in base all’età dei soggetti.
Rosacea, microbiota cutaneo ed antibiotici: lo studio
Yu Ri Woo e colleghi dell’Università Cattolica di Seoul in Corea hanno coinvolto nel loro studio pazienti maggiorenni con diagnosi di rosacea e più di 10 papule/pustole infiammatorie sul viso (Grado 3 e 4 su Investigatoris Global Assessment -IGA grade scale). Ai soggetti è stato prescritto, poi, di non detergere il viso o applicare agenti topici nelle 12 ore precedenti il campionamento. Criteri di esclusione dei pazienti dallo studio comprendevano, invece, storia di uso di antibiotici sistemici o topici nell’arco dell’ultimo mese, ipersensibilità alle tetracicline, trattamenti sistemici della rosacea nelle ultime 4 settimane, trattamenti topici nelle ultime 2 settimane, peluria facciale che complicasse il prelievo dei campioni cutanei, ma anche stato di gravidanza ed allattamento.
I pazienti, dunque, sono stati sottoposti a trattamento con doxiciclina 100mg, 2 volte al dì, per 6 settimane. I ricercatori, poi, hanno raccolto campioni cutanei in due occasioni nell’arco del periodo di studio: prima dell’inizio del trattamento farmacologico e alla scadenza delle 6 settimane dall’inizio dell’assunzione di doxiciclina. Intanto, a 2 settimane dall’inizio della terapia, Yu Ri Woo e colleghi hanno verificato eventuali effetti collaterali nei pazienti, come diarrea o nausea. I partecipanti hanno anche curato la compilazione di un diario sanitario sull’esito della medicazione, dopo le 6 settimane del trattamento antibiotico.
Ogni prelievo cutaneo è stato effettuato su guance e naso con tampone singolo di cotone sterile (EASY SWAB, Hanil-Komed Inc, Seongnam, Gyeonggi-do, Corea). Tutti i punti di prelievo hanno subìto 20 sfregamenti con stick di cotone. Da tali campioni, quindi, i ricercatori hanno estratto il DNA presente mediante lisi enzimatica e protocollo di omogenizzazione con biglie.
Popolazioni del microbiota e prevalenze
Lo studio di Yu Ri Woo ha isolato, su 24 campioni di 12 pazienti, ben 16 phyla, 22 classi, 65 ordini, 149 famiglie, 390 generi e 998 specie, uniche e presenti in ogni campione. La dominanza generale (Fig.1) ha riguardato: Staphylococcus (24.7%), Cutibacterium (10.5%), Corynebacterium (7.8%), Pseudomonas (5.7%) e Snodgrassella (5.6%).
Ma, in particolare, i ricercatori si sono soffermati sulla valutazione dei generi i cui livelli variassero dopo le 6 settimane di trattamento antibiotico. I principali generi batterici riscontrati su pelle con rosacea ancora non trattata sono stati:
- Staphylococcus (28%),
- Cutibacterium (13%),
- Pseudomonas (9%),
- Corynebacterium (8%),
- Acinetobacter (7%),
- Snodgrassella (6%).
Dopo 6 settimane di trattamento antibiotico, il microbiota cutaneo si è presentato composto da:
- Stenotrophomonas (33%),
- Staphylococcus (22%),
- Corynebacterium (8%),
- Cutibacterium (7%).
Tra le specie batteriche, invece, individuate dopo le 6 settimane di trattamento antibiotico, i ricercatori hanno indicato:
- Staphylococcus epidermidis (22%),
- Stenotrophomonas rhizophila (8%),
- Cutibacterium acnes (7%),
- Corynebacterium tuberculostearicum (7%).
In particolare, la specie batterica che, statisticamente, ha manifestato cambiamenti significativi sotto trattamento antibiotico con doxiciclina è risultata la Weissella confusa, aumentata di 3.43 volte.
Età e severità della rosacea
Lo studio di Yu Ri Woo ha suddiviso, inoltre, i partecipanti in due gruppi, in base all’età: under-60 ed over-60. Le differenze emerse tra i generi che compongono il microbiota cutaneo sono interessanti.
Gruppo under-60
- Staphylococcus (32%),
- Cutibacterium (18%),
- Snodgrassella (6%).
Gruppo over-60
- Pseudomonas (33%),
- Corynebacterium (17%),
- Staphylococcus (16%).
Tra le specie batteriche, a cavallo di entrambi i gruppi, le più abbondanti sono risultate:
- Pseudomonas koreensis (33%),
- Corynebacterium tuberculostearicum (17%),
- Staphylococcus epidermidis (10%),
- Snodgrassella alvi (5%).
Comune ai due gruppi ed in concentrazione elevata (più dello 0.1% in ogni campione) è risultato il Cutibacterium acnes. Considerando, poi, i due livelli di severità della rosacea, IGA 3 ed IGA 4, le specie batteriche rispettivamente dominanti, in ogni livello, sono state Cutibacterium acnes e Snodgrassella alvi.
Significato dei ceppi dominanti in rosacea
L’incremento post-antibiotico di Weissella confusa può presentare particolari risvolti clinici. Si tratta, infatti, di un batterio Gram-positivo, catalasi-negativo ed alfa-emolitico, che si configura bastoncellare singolo, accoppiato o formante catene. Weissella spp. è, inoltre, un comune residente del microbiota enterico, ma non di un normale microbiota cutaneo. Il suo significato extra-intestinale, quindi, resta poco chiaro, alla luce di una infezione polimicrobica. In realtà, Weissella spp. è presente anche in cibi fermentati e c’è chi lo propone addirittura come ceppo probiotico, per la sua sperimentale efficacia antibatterica ed anti-infiammatoria.
Contrariamente all’acne, la rosacea aumenta di frequenza con l’avanzare dell’età. La stretta dipendenza della severità della patologia con l’età dei soggetti è largamente discussa nello studio di Zaidi e colleghi. Secondo questo studio, infatti, la rosacea più grave si riscontra in età comprese tra 30-60 anni, rispetto alla fascia 0-30 anni.
Cutibacterium acnes e Snodgrassella alvi
In un simile quadro patogenetico, la prevalenza di Cutibacterium acnes e Snodgrassella alvi non fa che confermare la persistenza della forma matura di rosacea.
Snodgrassella alvi è una specie batterica nota per essere un simbionte intestinale nel microbiota delle api, identificata, inoltre, come fulcro nel microbiota dell’acaro Demodex ed isolata in pazienti con rosacea. E se esistesse anche una correlazione tra rosacea ed infestazione da acari? In aggiunta, Snodgrassella alvi campeggia sui campioni di pelle non trattati con antibiotico di questo studio. Per di più, nei soggetti non trattati farmacologicamente, il ceppo batterico risulta correlato all’acne infiammatoria, con un sensibile decremento dopo le 6 settimane di doxiciclina.
Una correlazione negativa, invece, e quindi a favore della nostra salute, con la severità della rosacea la mostra bene il ceppo Cutibacterium acnes, come valutato da Rainer e colleghi. Questa specie batterica, infatti, mantiene la pelle in salute, prevenendo colonizzazioni cutanee indesiderate. La sua riduzione post-antibiotica potrebbe, perciò, dialogare con esiti di dermatite atopica e psoriasi.
Prossimi e doverosi focus sperimentali, per i ricercatori, saranno la dinamica e la rapidità di rimonta delle comunità microbiche cutanee iniziali ed il successivo follow-up.
Riferimenti bibliografici
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