Da diversi anni, dopo molteplici e continui studi, la microbiologia ha avuto e sta avendo nuove applicazioni in settori decisamente non convenzionali: i nuovi orizzonti riguardano la paleomicrobiologia, la microbiologia forense e la microbiologia post mortem.
Sono branche in continua evoluzione, estremamente delicate ma allo stesso tempo così affascinanti, in cui l’identificazione batterica e virale non è più finalizzata ad una diagnosi clinica, ma allo studio di microrganismi nei reperti archeologici oppure alla possibilità di risalire ad un sospettato in una determinata indagine investigativa mediante tecniche di biologia forense, oppure ancora alla possibilità di rilevare infezioni impreviste che causano decessi improvvisi (PMM-post mortem microbiology).
Paleomicrobiologia: microrganismi ed archeologia
La Paleomicrobiologia è un settore della microbiologia relativamente recente. Si basa principalmente sulla ricerca di microrganismi nei reperti archelogici mediante avanzate tecniche di laboratorio (tecniche di paleomicrobiologia).
L’analisi molecolare di batteri, virus o parassiti è estremamente importante anche nella ricostruzione di eventuali epidemie passate; non solo, però! La paleomicrobiologia, dallo studio “dell’antico”, permette di fornire nuove informazioni sull’evoluzione di virus e saprofiti, ma anche di approfondire determinate culture e stili di vita passati.
Lo studio del DNA antico (aDNA)
L’aDNA, conosciuto anche come DNA antico, è caratterizzato generalmente da una elevata fragilità. Di conseguenza, i reperti da cui può essere analizzato necessitano di particolari laboratori e particolari tecniche che eliminino a monte ogni possibilità di “contaminazione” da DNA esterno. Le pratiche comuni per cercare di ridurre il problema della contaminazione prevedono metodi di concentrazione del DNA stesso; questi utilizzano precipitazione in glicogeno ed alcool ed una fase di preamplificazione e sequenziamento.
Un altro problema che è stato motivo di dibattito da parte degli studiosi è stata anche la conservazione, nel tempo, del DNA. Infatti, nell’ambiente, esso è sottoposto ad una serie di processi enzimatici e non enzimatici che portano alla sua successiva degradazione. Generalmente, si è visto, che la “durata” del DNA eucariotico nei fossili è inferiore a 600 anni; tuttavia gli studiosi sono riusciti ad ottenere, da animali e umani passati, un DNA di oltre 10 mila anni.
Ma la cosa più sorprendente è la conservazione del DNA procariotico. Quest’ultimo sembra essere molto più resistente alla degradazione, poiché diversi studi sono riusciti ad ottenere un DNA microbico di oltre 400 mila anni. Questo, probabilmente, è grazie agli ambienti ottimali in cui è stato ritrovato, caratterizzati dall’assenza di molecole di acqua, il che ha rallentato notevolmente i processi di degradazione mediati da enzimi.
L’aDNA viene solitamente riscontrato ed estratto dal ghiaccio fossile e dal permafrost, specialmente negli strati più profondi. Il virus Pithovirus sibericum, ad esempio, è stato scoperto per la prima volta nel 2014 in Siberia da un blocco di permafrost di 30 mila anni. E’ infatti il più antico virus di infezione da eucarioti fino ad oggi isolato.
Per il riscontro di malattie infettive, vengono invece utilizzate ossa e polpa dentale. In esse, oltre al DNA microbico è possibile ritrovare anche proteine ricollegabili ad agenti infettivi. Le ossa, in particolare, vengono preferite poiché spesso alcuni microrganismi possono indurre lesioni visibili durante un’infezione cronica e la patologia che ne deriva può essere utilizzata per discriminare resti antropologici infetti.
La polpa dentale, invece, è utile poiché molti agenti patogeni ed opportunistici tendono a conservarsi in essa e di conseguenza possono conservarsi nei resti antichi. Diversi studi, hanno rilevato Yersinia pestis e Salmonella typhi nella polpa dentale di antichi resti umani.
Le tecniche di laboratorio utilizzate prevedono determinazione degli acidi grassi, PCR, sequenziamento e le ultime metodiche di Next Generation Sequencing. Ovviamente, essendo tecniche ad alto rischio di contaminazione, le zone di lavoro del laboratorio devono essere sempre separate rispetto alle altre, come accade nei classici laboratori di genetica e biologia molecolare.
Microbiologia post mortem e microbiologia forense
In medicina forense anche la microbiologia è estremamente importante. Infatti, assieme all’esame autoptico, può essere di grande aiuto per determinare la causa di morte di una persona. Da qui, la microbiologia post mortem. Può rilevare infezioni inaspettate che causano decessi improvvisi, identificare eventuali patogeni emergenti, confermare ancora una eventuale infezione sospetta ma non, per esempio, clinicamente dimostrata.
Questa branca è tuttora oggetto di studio, il cui obiettivo è la sua espansione ed il suo utilizzo assieme alla branca dell’anatomia patologica. Sono state studiate e messe in pratica, da parte di un team formato da microbiologi ed anatomopatologi, delle linee guida mirate a prevenire la contaminazione dei campioni prelevati durante il campionamento in sala settoria, mediante tecniche generali di campionamento utilizzando anche l’autopsia minimamente invasiva; questo perché il corretto campionamento senza alcuna contaminazione esterna è fondamentale per identificare eventuali organismi causa del decesso; altresì, è stato studiato il microbioma post mortem o Thanatomicrobiome, di grande rilevanza per determinare l’intervallo post mortem.
Dopo il decesso, infatti, continuano ad “esistere” una moltitudine di microrganismi che possono essere di grande aiuto nelle indagini medico legali. Negli ultimi decenni i processi sempre più avanzati nel sequenziamento genetico microbico e nella bioinformatica hanno permesso di creare un “inventario filogenetico” di moltissimi microbi, il che può essere di grande aiuto nel chiarire alcuni aspetti in determinate indagini legali. Ad esempio, alcuni studi sono riusciti ad identificare esseri umani mediante microbiota cutaneo.
Infine, di pari passo alla microbiologia post mortem, c’è la microbiologia forense. I microbi, infatti, come è stato dimostrato da uno studio condotto all’Argonne National Laboratory dell’Università di Chicago si trovano su vestiti, scarpe, cellulari e possono essere una vera e propria caratteristica che permette di tracciare i nostri movimenti.
Anche questa branca è in continua evoluzione, ed i suoi studi hanno come obiettivo ultimo quello di comprendere come il rapporto tra ambiente e microbi possa modificarsi sia nel tempo sia in base alla localizzazione geografica e di conseguenza come possano “rintracciare” determinati spostamenti di un sospettato.
I continui studi in materia permetteranno sicuramente di conoscere in modo ancora più approfondito questi settori, migliorando e perfezionando così le tecniche di laboratorio utilizzate e permettendo quindi una collaborazione sempre più frequente tra microbiologi, anatomopatologi e medici legali.
Priscilla Caputi
Fonti
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5287379/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28236029
- https://www.clinicalmicrobiologyandinfection.com/article/S1198-743X(18)30583-4/fulltext
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/B9780128093603000060
- https://link.springer.com/article/10.1007/s12024-018-0061-0