Lebbra: un flagello non solo umano

Il flagello della lebbra

Il morbo di Hansen, noto anche come lebbra – dal greco Λέπρα (lepra) ovvero squamoso –, è un’antica e terribile malattia infettiva cronica causata dal Mycobacterium leprae, bacillo scoperto nel 1873 dal dottor Gerhard Armauer Hansen, in Norvegia, avente prevalente tropismo nei confronti di cute e mucose, con conseguenze gravissime ai danni delle terminazioni nervose e organi interni, spesso invalidanti e irreversibili.

Tuttavia, nel 2008, è stato identificato in Messico un secondo agente causa della malattia: M. lepromatosis. Il contagio, in ogni caso, si verifica mediante trasmissione interumana, in seguito a contatto intimo prolungato.

La lebbra è un flagello osservato per la prima volta negli scimpanzé

Sebbene la malattia sia, ad oggi, curabile con un regime terapeutico che prevede l’azione combinata di più antibiotici, quali dapsone, rifampicina, e talvolta clofazimina, e i dati epidemiologici dell’OMS indicano una discreta diminuzione di casi in diversi Paesi del mondo, la letteratura scientifica ha riacceso l’attenzione su questa malattia, quando gli scienziati Kimberley Hockings e Fabian Leendertz hanno osservato, per la prima volta – nel 2017 –, la comparsa di terribili lesioni sul viso di scimpanzé in diversi siti dell’Africa occidentale, in Costa d’Avorio e in Guinea-Bissau.

Gli scienziati non hanno avuto dubbi: si trattava di lebbra, malattia mai documentata prima negli scimpanzé selvatici, mettendo in discussione l’uomo come reservoir epidemiologicamente più significativo. È, infatti, doveroso ricordare che, negli ultimi 2 decenni, gli scienziati hanno anche scoperto che l’agente patogeno circola negli armadilli a nove fasce nelle Americhe e negli scoiattoli rossi nel Regno Unito.

Entrambe le specie ospitano lo stesso genotipo batterico, chiamato 3I, che ricorda le numerose infezioni umane verificatesi nell’Europa medievale, di cui la letteratura dà ampia testimonianza con numerosi scritti.

Diagnosi

Identificato l’agente eziologico negli scimpanzé infetti, mediante screening di campioni fecali e autopsia, è stato poi possibile effettuare un confronto con ceppi di esseri umani e di altri animali e constatare che questi appartengono a genotipi diversi e rari.

Tale teoria è supportata anche dagli studi condotti dallo scienziato Leendertz, in Costa d’Avorio, sullo scimpanzé Woodstock al Taï National Park, i cui campioni fecali e necroscopici hanno dato prova della presenza in tracce di M. leprae, comune ad un altro scimpanzé che era stato ucciso da un leopardo nel più lontano 2009, il ché testimonia quanto l’origine di tale malattia sia tutt’oggi particolarmente controversa e discussa.

Trasmissione uomo – animale: un’ipotesi improbabile

Nonostante i segni con cui la malattia appaia siano pressoché identici negli scimpanzé e negli esseri umani, gli studiosi sostengono sia altamente improbabile che i ceppi identificati negli animali selvatici, provengano dal contatto con gli umani poiché è necessario un tempo di contatto ravvicinato e prolungato tra le specie affinché la malattia si diffonda e, ad oggi, nessun ricercatore o operatore locale è noto sia stato infettato, tenendo presente che è prassi per l’uomo mantenere sempre una distanza di almeno 6 metri per la salvaguardia della specie animale.

La sfida del futuro

La sfida, dunque, in questa complicata quanto affascinante storia di una delle più remote malattie mai conosciute, consiste – tuttora – nella scoperta dell’esistenza e della natura di un eventuale serbatoio (o più serbatoi) di lebbra non ancora identificato e quanto questo possa essere un pericolo per l’uomo, fornendo nuovi spiragli di indagine su una malattia ancora misteriosa e tutt’altro che superata, su cui troppo stesso si è calato il sipario.

Si ringrazia la dott.ssa Teresa Cantone per la gentile concessione dell’articolo “Lebbra: un flagello non solo umano

Fonte

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

1 commento su “Lebbra: un flagello non solo umano”

  1. Questo articolo mi sollecita a pensare e la risposta mi arriva prima ancora di fare la domanda. E’ una intuizione, non è risposta a domanda.
    La domanda che pongo è questa : perchè tanti umani affetti da lebbra e pochi animali invece lo sono ?
    La risposta che do io, seguendo l’intuizione avuta, è questa :
    “Potrebbe essere perchè negli animali una malattia troppo invalidante, come è la lebbra, causa in tempi MOLTO brevi la morte di chi ne è affetto, in quanto sopravvivono solo gli individui sani o quasi sani. Troppo ammalati, NO.
    Invece gli esseri umani si prendono quasi sempre cura dei propri simili (umani), e li assistono anche per anni e decenni.”
    Questa è la mia risposta, essa vive dentro di me come risposta giusta, forse non lo è, ma per me lo è, finchè qualcuno o qualcosa mi faccia cambiare idea. C’è da dire anche che potrebbero esservi altre risposte, giuste o sbagliate, che disintegrano la mia tesi-risposta, o la integrano.
    Voglio aggiungere che gli animali selvatici (in libertà) in habitat equilibratamente sani hanno una alimentazione molto più sana della nostra, pertanto sono portato a pensare che reagiscano molto più efficacemente della maggioranza di noi, alle infezioni da batteri.

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