Latte e derivati: la microbiologia come parametro di qualità e sicurezza

Introduzione

L’affermazione della microbiologia come disciplina di primaria importanza, all’interno delle dinamiche di lavorazione e trasformazione di alimenti, ha traslato l’attenzione dei tecnici e delle figure professionali operanti in quest’ultimo settore sulla realizzazione di strategie di controllo ad ogni livello dello sviluppo microbico e del correlato metabolismo al fine di garantire qualità e sicurezza costanti nel tempo. Come nel settore enologico, l’impiego delle colture starter e la diffusione di laboratori altamente specializzati talvolta presenti all’interno degli stessi complessi produttivi, hanno fatto sì che le aziende del settore lattiero-caseario aumentassero gli standard qualitativi dei prodotti finali, uniformandosi ai criteri comunitari in materia di legislazione e sicurezza alimentare.

Nella seconda metà del secolo scorso, complice il maggiore consumo di latte nelle famiglie e l’aumentata elaborazione di alimenti che comprendessero tale alimento come ingrediente in prodotti da forno, dolciari o di pasticceria, la produzione è notevolmente aumentata e la maggiore attenzione alla standardizzazione, alla qualità e sicurezza del prodotto finito hanno di fatto plasmato i tradizionali processi di lavorazione, in cui l’aspetto microbiologico era già di fondamentale importanza nei meccanismi alterativi o nella fabbricazione di formaggi. Dunque, acclarata come conditio essenziale la qualità microbiologica del latte per il consumo diretto e per la realizzazione di prodotti caseari, sul cui aspetto l’Unione Europea ha stabilito criteri microbiologici ben precisi emanati mediante Regolamenti, la capacità di governare i fenomeni di questo genere riveste significativa importanza nell’ottica di garanzia di qualità.

Sarà dunque offerta nel presente articolo una panoramica generale sugli aspetti cruciali del controllo microbiologico, elencando i trattamenti messi in atto per debellare i rischi associati al latte, coinvolgendo sia le specie microbiche di rilievo che la produzione di alcuni dei più noti prodotti caseari.

Definizione di latte e criteri igienici

Recita la legge 218 del 10/09/1996 (direttive C.E.E. 92/46) che il latte “… è il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella d’animali in buono stato di salute e d’alimentazione”. Come si può comprendere dalla definizione, viene posta particolare attenzione allo stato di salute dell’animale: tale dicitura, oltre ad avere intrinsecamente un significato giuridico ed etico che presuppone il rispetto per la specie producente, mette in luce la rilevanza dello stato di salute come indice di assenza malattie, anche e soprattutto correlate all’igiene dell’allevamento, della mammella e del liquido secreto. Come anticipava il Regio Decreto del 9 maggio del 1929, i requisiti in materia di pulizia degli ambienti e degli animali erano già a sommi capi delineati, a testimonianza del fatto che erano già sufficientemente chiari meccanismi di alterazione e patogenicità di agenti correlati ai prodotti lattiero-caseari.

Chimicamente, il latte è un liquido di colore bianco opaco, a reazione debolmente acida (pH = 6,6÷6,8), costituito da una fase acquosa e da elementi strutturali in emulsione (globuli di grasso), in soluzione (lattosio, sieroproteine e sali minerali) e in dispersione colloidale (caseine). Ne conviene che le prime analisi effettuate sul liquido possono riguardare il potenziale idrogenionico e il potenziale redox della soluzione: infatti, valori di pH sensibilmente bassi (6,4-6,5) suggeriscono una probabile alterazione dovuta a fenomeni fermentativi, con produzione di acidi organici (lattico specialmente), il che può significare contaminazione degli ambienti di lavoro, superfici o stalle; allo stesso modo, il latte fresco normale ha un potenziale redox positivo, compreso tra +0.20 e +0.30 V e i valori che intervengono nel determinarne le proprietà ossido-riduttive riguardano per la gran parte l’ossigeno disciolto, responsabile del potenziale positivo del latte fresco crudo. Valori che si discostano dagli indici espressi, anche in questo frangente, potrebbero ricondursi a metabolismi indesiderati, col consumo di ossigeno da parte di agenti microbici. Mentre per le metodologie di controllo e le analisi di laboratorio su campioni di latte si fa riferimento alle normative ISO 8261 (Latte e prodotti del latte – Guida generale per la preparazione di campioni di prova, sospensione iniziale e diluizione decimale per l’esame microbiologico), per quel che riguarda i criteri microbiologici, il Regolamento (CE) n.853/2004, facente parte del ben noto pacchetto igiene, fissa i criteri microbiologici di qualità per il latte crudo, ascrivibili ai controlli esercitati nei confronti di aziende produttrici di latte. Il Reg. (CE) N.1441/2007 istituisce invece i criteri di igiene di processo, essendo il latte destinato al consumo umano un prodotto che va necessariamente privato di agenti potenzialmente patogeni, come vedremo in seguito.

Figura 1 - Regolamento europeo e igiene del latte
Figura 1 – un estratto del Reg. (CE) che fissa i criteri igienici del latte

Specificamente, il parametro Enterobacteriaceae viene ricercato mediante la ricerca del Most Probable Number: si tratta di un metodo di rilevazione indiretta della presenza batterica, in cui gli organismi vitali vengono sulla base di una manifestazione di crescita in provette allestite e numerate in modo da avere un raffronto statistico (tabelle di McReady).

Stabilizzazione microbiologica del latte

Essendo un alimento ricco di principi nutritivi ed esposto in più fasi della lavorazione a possibili agenti contaminanti, il latte destinato al consumo umano viene per necessità sanitarie, qualitative e di conservazione, reso stabile mediante trattamenti fisici. All’arrivo in centrale o nello stabilimento produttivo, una filtrazione grossolana e un abbattimento della temperatura momentaneo a scopo cautelativo precedono una fase di standardizzazione del contenuto in grasso, al quale segue il trattamento che consentirà al latte di essere immesso in sicurezza sul mercato. Con l’avvento delle microfiltrazioni, si è potuto ridurre l’impatto dei trattamenti termici, associando a questi ultimi un metodo fisico di sterilizzazione che potesse abbattere i tempi di permanenza ad alta temperatura del prodotto. Fermo restando queste considerazioni, le principali strategie di stabilizzazione del latte riguardano appunto i trattamenti termici, così suddivisi:

  • latte pastorizzato, l’obiettivo fondamentale (la coppia tempo-temperatura di 72°C per 15’’) deve consentire l’abbattimento dei microrganismi più patogeni, prima di tutto Mycobacterium tubercolosis, quindi i 72°C per 15 secondi vengono presi in riferimento al microrganismo più termoresistente patogeno. Altri microrganismi patogeni termoresistenti che possiamo trovare nel latte e che vengono abbattuti con la pastorizzazione sono Brucella, Listeria, Salmonella, Campylobacter ed Escherichia coli (ceppi enterovirulenti). L’eliminazione dunque di Mycobacterium tubercolosis sta ad indicare una sicurezza generale rispetto alle specie microbiche appena menzionate. L’effetto della temperatura per quanto riguarda la pastorizzazione ci consente di distruggere la microflora patogena ma non quella sporigena (che ritroveremo nel prodotto finale) e la vita di scaffale sarà condizionata dalla temperatura che noi diamo al contorno nella conservazione. Quindi il latte è catalogabile come semi-conserva e necessita di stoccaggio a basse temperature (0-6°C);
  • latte sterilizzato, in cui l’obiettivo non è più la sola eliminazione delle forme microbiche vegetative, bensì l’abbattimento di tutta la carica microbica e una sterilità pressocché totale (sterilità commerciale). L’utilizzo di temperature al di sopra dei 100°C (sterilizzazione classica: 120°C per 15’) consente di raggiungere questi obiettivi.

I moderni impianti offrono soluzioni ragionevolmente migliori sotto il profilo organolettico e qualitativo, poiché consentono di avere il medesimo risultato evitando fenomeni indesiderati come perdita di proteine del siero, imbrunimenti e sapori di cotto, innalzando le temperature e accorciando notevolmente i tempi di permanenza negli scambiatori di calore (HTST e UHT, rispettivamente High Temperature Short Time e Ultra High Temperature).

Figura 2 - scambiatore di calore per trattamenti termici
Figura 2 – scambiatore a piastre ispezionabili per il trattamento termico del latte

Produzione di formaggi

Anche in questo frangente, viene in soccorso un testo legislativo della prima metà del secolo scorso (R.D.L. n. 261/1933) che, nel definire il formaggio, così recita: “Il nome di ‘formaggio’ o ‘cacio’ è riservato al prodotto che si ricava dal latte intero o parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”.

Il ruolo biologico esplicato dai microrganismi era noto anche al legislatore dei primi anni ’20, che riconosce, si noti bene, l’uso di fermenti e dunque l’aggiunta premeditata di un iniziatore del processo fermentativo. Nell’ambito caseario, a tal proposito, possiamo parlare di latto-innesto, siero-innesto o scotta: se la prima espressione fa riferimento al latte della lavorazione precedente carico di organismi vivi e vitali, il siero-innesto è l’omologo nel caso di formaggi in cui vi è un’operazione unitaria che preveda un ruolo attivo del siero (tutto ciò che, nel latte, non è grasso). Ad esempio, la mozzarella di bufala prevede una fase di sosta sotto siero e quest’ultimo può essere reimpiegato per una successiva lavorazione. Tali dinamiche erano parte del già largo patrimonio di conoscenza dei vecchi mastri casari, che con il solo intuito si rendevano consapevoli del ruolo della ormai nota fermentazione. Il latto-innesto è oggi prodotto a partire da latte munto, termizzato (trattamento che elimina la popolazione microbica poco termoresistente) e messo in incubazione a temperature di mesofilia, al fine di enfatizzare la crescita dei lattobacilli e degli streptococchi, vale a dire i principali attori della fermentazione lattica:

Figura 3 - metabolismo batteri lattici
Figura 3 – fermentazione lattica

La fermentazione del latte è una fase del processo produttivo che, secondo le varie tipologie di formaggi, può durare da 1 a 5 ore. Essa inizia con la coagulazione del latte, che comporta il passaggio del latte dallo stato liquido allo stato di gel e avviene mediante modificazione fisico-chimica delle caseine del latte. L’azione del caglio e dell’acido lattico prodotto dai batteri lattici causa la formazione di un network proteico (insolubilizzazione delle micelle di caseine a formare un gel) che ingloba il siero e gli altri costituenti. Nel corso della maturazione della cagliata (fermentazione), prima che essa sia formata, i batteri lattici, naturalmente presenti o aggiunti come colture starter (a livelli di 106 UFC/ml) fermentano il lattosio con produzione di acido lattico e, intrappolati nella fase solida, si moltiplicano fino a raggiungere livelli di 109 – 1010 UFC/g, dando alla cagliata le caratteristiche desiderate e preparandola alla fase successiva di stagionatura. In questa fase vengono prodotti anche altri metaboliti che donano al formaggio aroma, sapore e struttura fornendo al contempo protezione dallo sviluppo di batteri indesiderati (produzione di batteriocine attive contro patogeni e alterativi). Quando il formaggio è nelle fasi finali di produzione, esso va in maturazione. In tale fase avvengono trasformazioni ad opera di enzimi (autolisi batterica e rilascio di enzimi) a carico dei costituenti della cagliata formata e conservata per tempi variabili in condizioni controllate di temperatura e umidità. Gli enzimi, come detto, sono di natura microbica ma anche derivanti dal latte stesso.

In maniera schematica, si può dire che le trasformazioni enzimatiche riguardano e determinano:

  • metabolizzazione dell’acido lattico da parte di lieviti, muffe e batteri propionici;
  • idrolisi dei trigliceridi in acidi grassi liberi;
  • idrolisi delle caseine in peptidi, aminoacidi e composti aromatici;
  • modificazioni del pH e dell’attività dell’acqua;
  • ammorbidimento della pasta;
  • formazione della crosta;
  • modifica dell’aspetto;
  • sviluppo dell’aroma e del sapore del formaggio;
  • colonizzazione microbica della crosta.

Tra i batteri predominano ceppi e specie di batteri lattici quali Lactobacillus, Lactococcus, Streptococcus, Leuconostoc ed Enterococcus, ma anche ceppi e specie di micrococchi e stafilococchi, propionibatteri, corinebatteri. Occasionalmente, possono essere presenti batteri alterativi (clostridi, bacilli, coliformi) e patogeni (L. monocytogenes, Salmonella e altri), ma è il caso di latte alterato e dunque non idoneo né al consumo umano, né alla caseificazione. Anche alcuni lieviti (Debaryomyces hansenii, Kluyveromyces marxianus, Yarrowia lipolytica) svolgono un ruolo importante nella maturazione dei formaggi (metabolizzazione del lattato e, in alcuni casi, per la loro attività lipolitica, contribuiscono a determinare le caratteristiche tipiche dei formaggi). Nella maggior parte dei formaggi lo sviluppo di muffe non è gradito ed è considerato segno di alterazione. Per contro, in alcuni formaggi, comunemente noti come “a crosta fiorita” (ammuffimento superficiale della crosta) ed erborinati (sviluppo del micelio fungino all’interno della pasta), le muffe sono inoculate di proposito come colture selezionate. Esempi tipici di formaggi a crosta fiorita sono il Camembert e il Brie, in cui la muffa maggiormente utilizzata è costituita da ceppi non micotossinogeni di Penicillium candidum, che si sviluppa sulla superficie dei formaggi con un denso micelio bianco. Tra i formaggi erborinati, un tipico esempio è rappresentato dal Gorgonzola (così come il Roquefort, lo Stilton ecc.) in cui sono inoculati i conidi di Penicillium roqueforti come muffa tipica che si sviluppa all’interno del formaggio con un micelio di colore verde-azzurro. Il ruolo delle muffe è quello di svolgere principalmente le seguenti azioni:

  • utilizzazione dell’acido lattico, con conseguente disacidificazione e addolcimento del prodotto;
  • attività lipolitica e proteolitica, con rilascio di prodotti di degradazione che conferiscono al formaggio le caratteristiche sensoriali ed organolettiche tipiche.
Figura 4 - formaggi e microflora dominante
Figura 4 – principali microrganismi associati ai più noti formaggi

Di seguito, alcuni difetti di natura biologica che riguardano i formaggi:

  • Gonfiore precoce: tipico di formaggi freschi e a pasta molle. Si manifesta con occhiature della pasta che compaiono entro le prime 24 ore dalla produzione. Sono dovute ad uno sviluppo non controllato di batteri gasogeni come coliformi, lieviti e batteri lattici eterofermentanti. Tra le cause, latte con antibiotici o contenuto microbico troppo elevato, fallimento dello starter per attacchi batteriofagici;
  • Gonfiore tardivo: tipico di formaggi a lunga stagionatura (superiore a tre mesi). Si manifesta con occhiature della pasta (a volte localizzate a formare delle grosse caverne) causate da batteri anaerobi come clostridi e propionici, che utilizzano il lattato trasformandolo in acido butirrico o acido propionico e CO2 e H2. I fattori scatenanti possono trovarsi in un latte molto contaminato da clostridi e propionici, nelle errate condizioni di stagionatura (temperature troppo elevate) o in errori tecnologici (insufficiente acidificazione o salatura);
  • Difetti di superficie o della crosta e colorazioni anomale: sviluppo superficiale indesiderato di batteri e muffe pigmentate;
  • Marciume: dovuto ad una massiva proliferazione di microrganismi fortemente proteolitici che determinano alterazioni di tipo putrefattivo, demolendo le strutture proteiche e causando mutamenti di forma e di sapore/odore;
  • Cancro o vaiolo: si verifica su formaggi a lunga stagionatura. È dovuto allo sviluppo di funghi a micelio rado (Es.: Scopulariopsis spp.) ed a una conseguente invasione di acari che si nutrono delle strutture riproduttive di questi funghi, i quali, per sfuggire all’attacco degli acari si affondano nella pasta producendo delle profonde cavità che diventano evidenti dopo la toelettatura delle forme.

Fonti

  • C. Alais (2000) Scienza del Latte. Milano, Tecniche nuove
  • Regolamento (CE) 853/04, Regolamento (CE) 1441/2007
  • F. Villani, Fondamenti di microbiologia degli alimenti, V.1 Ecosistemi alimentari e microrganismi
  • Zambonelli C., Tini V., Giudici P., Grazia L. (2001) Microbiologia degli alimenti fermentati. Bologna, Calderini Edagricole.

Foto dell'autore

Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

Lascia un commento