Torniamo a parlare degli squali, temibili ma affascinanti predatori presenti in tutti i mari ed oceani.
È stato appurato che essi posseggono qualità rare dovute a milioni di anni di evoluzione, che hanno portato questi antichi animali a adattarsi alle condizioni più disparate. Tra le più svariate caratteristiche essi presentano un microbioma altamente variabile, che si adatta e cambia in base all’ambiente e anche alla dieta di quest’ultimi, in particolar modo nella zona orale. Gli squali però posseggono un ulteriore zona anatomica caratteristica, la pelle. La vera domanda che bisogna porsi in questo caso è: “quale relazione esiste fra la pelle degli squali e l’immensa diversità microbica degli oceani?”. Per rispondere a questa domanda dobbiamo introdurre i denticoli dermici.
Caratteristiche anatomiche: i denticoli dermici
Tra le tante strutture specializzate che questi animali posseggono, ritroviamo i denticoli dermici (Fig.1), chiamati anche dentelli. I denticoli sono scaglie placoidi caratteristiche dei condroitti e la loro funzione principale è di aumentare l’idrodinamicità degli animali che ne sono dotati. Le scaglie placoidi sono delle strutture inserite all’interno del derma con la sola piastra basale ossea ed una cuspide che fuoriesce dall’epidermide. Un singolo denticolo è composto da:
- polpa;
- dentina;
- vitrodentina.
Queste caratteristiche strutture donano ruvidità alla pelle degli squali e in molti casi sono utilizzate per il riconoscimento della specie. Questo avviene perché molto spesso alcuni squali vengano commercializzati, in alcuni casi (fortunatamente pochi), anche quando impedito dalla legge. Dove non è possibile ricorrere al riconoscimento della specie da altre caratteristiche anatomiche, si procede attraverso il riconoscimento tramite la forma e il numero dei denticoli.
L’influenza dei denticoli sulla pelle degli squali
Gli squali, come tutti gli altri organismi marini, sono sottoposti a fenomeni ambientali che caratterizzano gli ambienti acquatici. Questi fenomeni, tra cui l’influenza di microrganismi di vario genere, portano in alcuni casi alla comparsa del biofouling, definito in questo particolar caso come epibiotico.
Secondo alcuni studi, la pelle degli squali presenta un’innata resistenza contro il fenomeno del biofouling, in particolar modo nell’impedire la formazione di biofilm batterici. La pelle degli squali è quindi ritenuta auto-pulente e anti-fouling. La pelle di questi elasmobranchi (la sottoclasse a cui appartengono gli squali) sembra presentare queste particolari proprietà, proprio grazie alla presenza dei denticoli dermici. Queste strutture molto particolari creano delle concavità sulla pelle degli squali aumentandone la rugosità. Questa proprietà di base da poi origine a tutte le altre proprietà nominate precedentemente. In particolar modo essa va ad agire sui fenomeni di attecchimento e crescita dei microrganismi.
Biofouling o non biofouling, è questo il problema?
La pelle degli squali non è ovviamente priva di microrganismi. Sono molti i pareri che hanno portato alla formazione di due correnti di “pensiero”, riguardo l’effettivo ruolo della rugosità. Secondo alcuni l’adesione da parte di qualsiasi tipo di microrganismo può essere facilitata dalla presenza di queste strutture, che vanno a creare dei microambienti adatti alla proliferazione. Secondo altri invece il grado di rugosità può potenzialmente tradursi in una diminuzione dei processi di adesione (Fig.3) o non influenzarli in alcun modo.
Come ben sappiamo però, soprattutto in ambito naturale, è praticamente impossibile ritrovate sistemi biologici privi dei nostri amici microrganismi. Anche gli squali non possono far a meno di loro e la loro pelle non esula da questa relazione, anche se sembra essere invulnerabile al fenomeno del biofouling. Fondamentalmente, le “teorie” sulla rugosità, non accompagnate da alcun dato, restano di fatto solo teorie. Analizzando i dati, dobbiamo tener conto del fatto che nei mari, gli squali entrano a contatto con una moltitudine di fattori differenti. Da un lato questi fattori esterni possono favorire l’adesione di microrganismi, dall’altro invece sfavorirla. Ma cosa ci indicano le ricerche su questo tema?
Lo stato delle ricerche
Bisogna precisare che tutti i dati a favore di queste interessanti proprietà derivano da studi condotti solo su superfici riprodotte artificialmente. Questo piccolo dettaglio è dovuto principalmente alla difficoltà di studiare la pelle degli squali dal vivo, per ovvi motivi che concorrono al rendere difficile questo tipo di analisi. I modelli di pelle di squalo riprodotti in laboratorio, presentano dei ben precisi limiti. In primo luogo, queste riproduzioni sono analizzate in un ambiente statico. Parliamo di ambiente statico poiché mancano tutti quei fattori che ritroviamo invece in mare aperto, come le correnti marine.
Le correnti marine, infatti, secondo alcuni sembrano giocare un ruolo chiave nello sfavorire il fenomeno del biofouling. Esse vanno ad agire principalmente attraverso un’azione meccanica che, agendo sinergicamente con la struttura rugosa della pelle, non permette ai microrganismi di interagire con la superficie epidermica degli squali. Altro fattore che sembra giocare un ruolo fondamentale è la presenza di cellule mucose, che non sono ovviamente presenti sulle riproduzioni artificiali. Solo prendendo in considerazione questi due fattori, si capisce che per ottenere una rappresentazione fedele di queste proprietà, bisognerebbe studiarle direttamente sul sito di interesse, in condizioni naturali atte alla formazione del biofouling.
Possibili meccanismi anti-fouling
Il primo meccanismo preso in considerazione dai ricercatori è proprio quello delle correnti marine. Queste sarebbero influenzate dalla presenza dei denticoli dermici. I denticoli creerebbero un flusso d’acqua modificato nelle zone adiacenti alla struttura epidermica. Questi flussi d’acqua modificati (in particolar modo la loro velocità) andrebbero a sfavorire l’adesione dei microrganismi riducendone il tempo utile per attecchire alla superficie. Il secondo meccanismo proposto riguarda la presenza delle cellule mucose nominate precedentemente. Queste produrrebbero secondo alcuni delle sostanze antimicrobiche che preverrebbero l’adesione. Terzo ed ultimo meccanismo riguarda invece la micro-topografia, che agirebbe da deterrente nei confronti di tutti quei possibili microrganismi che potrebbero attecchire all’epidermide. In tutto questo giocano quindi un ruolo fondamentale i denticoli, che modificherebbero così i flussi d’acqua e l’epidermide rendendola adatta a sfavorire il fenomeno del biofouling.
Lo stato delle ricerche: applicazioni pratiche
Lo studio di questi meccanismi, seppur condotto solo su modelli artificiali, non è del tutto privo di nesso con lo sviluppo di tecnologie utili all’uomo. In primo luogo, abbiamo l’ipotesi del meccanismo delle cellule mucose. Se queste cellule fossero realmente in grado di produrre sostanze antimicrobiche, dal loro studio potrebbero essere ricavate molecole peptidiche in grado di agire come veri e propri peptidi antimicrobici. In secondo luogo, i modelli artificiali di pelle di squalo, rappresentano una vera e propria invenzione, utilizzabile in diversi campi. Queste superfici potrebbero essere utilizzate in ambito medico, per ridurre il rischio di contaminazione batterica e di successiva infezione a carico dei pazienti. Alcune ricerche propongono addirittura l’utilizzo di impianti (quindi innesti di dispositivi usati in campo medico) con superfici con una micro-topografia simile all’epidermide degli squali. Questo porterebbe alla riduzione dei molti casi di infezione conseguenti all’innesto di dispositivi medici.
Quali sono le reali applicazioni di questa tecnologia?
I dati condotti su diversi tipi di materiali e riproduzioni artificiali di questa geometria strutturale dei denticoli sono promettenti. Da questi è possibile dedurre che effettivamente superfici con questo tipo di topografia potrebbero essere utilizzate in ambito medico ma anche per ulteriori scopi. Principalmente il problema di fondo che si pone nell’utilizzo di superfici di questo tipo è la cito-compatibilità. Questo fattore entra in gioco nel momento in cui parliamo di impianti utilizzati allo scopo di sostituire un elemento danneggiato del corpo umano. Molti studi sono in corso per riuscire a comprendere quale sia il materiale ideale per riprodurre la struttura epidermica degli squali. Tra i materiali più studiato troviamo il chitosano (Fig.5) e l’ossido di grafene. Le caratteristiche fondamentali che un impianto del genere dovrebbe avere sono quelle di:
- prevenire l’infezione da parte di agenti batterici o virali;
- prevenire la crescita e l’adesione di microrganismi potenzialmente dannosi;
- non presentare un effetto citotossico sulle cellule umane;
- garantire l’adesione cellulare delle cellule umane adiacenti;
- non ostacolare la crescita delle strutture su cui si interviene;
- malleabilità dei materiali che permetta la riproduzione di strutture simili ai denticoli dermici.
Da questa serie di caratteristiche intendiamo come sia difficile trovare effettivamente una facile risoluzione di questo tipo di ricerca.
Sharklet: una promessa tecnologica
Esistono già però delle soluzioni tecnologiche che adottano questo tipo di struttura artificiale. Una di queste è la tecnologia Sharklet (®), inventata da un gruppo di ricercatore, descritta anche in un intervento TEDxMileHigh tenuto da Ethan Mann. I benefici derivanti da questo tipo di tecnologia, che imita la pelle degli squali dotata di denticoli dermici (Fig.6), sono davvero notevoli. Essa può apportare una riduzione delle infezioni batteriche in luoghi sanitari, in particolar modo nelle sale operatorie. Questo tipo di tecnologia presenta attività di tipo antibatterico, non è tossica e non induce la sempre più temuta resistenza antibatterica. Essa può essere applicata inoltre anche su veicoli di tipo marino e di superfici per evitare le incrostazioni (biofouling) dovute a fattori ambientali/naturali. L’efficacia di utilizzo di questa superficie presenta percentuali altissime, comprese fra il 90 e il 99%, intesa come capacità di prevenzione di formazione di biofilm batterici o semplici colonie.
Conclusioni
Come sempre la natura si rivela essere la principale fonte di ispirazione per risolvere problemi quotidiani ma anche importanti sfide globali. Tra queste, ritroviamo proprio il problema dell’antibiotici resistenza che trova un “terreno fertile” in strutture ospedaliere e sanitarie. L’utilizzo di strumenti dotati di questa tecnologia o simili, porterebbe ad una riduzione significativa della diffusione di questo fenomeno. Ovviamente non la si pone come unica soluzione al problema, ma rappresenta un’efficiente arma da utilizzare nei confronti di un problema che ci affligge sempre di più. Inoltre come già ribadito, il continuo studio di questi meravigliosi animali potrebbe portare anche alla scoperta di molecole antimicrobiche atte allo stesso scopo di prevenzione e cura. Non ci resta che continuare a meravigliarci di quanto la natura, se rispettata, ci offra. Tutto questo è alla portata dell’uomo, all’insegna della sostenibilità e della salute umana.
Luigi Gallucci
Fonti
- Inhibition of biofilm formation by rough shark skin-patterned surfaces. (Hsiu-WenChien et al., 2019) – Colloids and Surfaces B: Biointerfaces, Volume 186, 2020; Sciencedirect.com
- Bifunctional sharkskin mimicked chitosan/graphene oxide membranes: Reduced biofilm formation and improved cytocompatibility. (Sabra Rostami et al., 2021) – Applied Surface Sciences, Volume 544, 2021; Sciencedirect.com
- Squali del Mare Mediterraneo – Alessandro De Maddalena e Harald Bänsch, 2008 – Class Editori, Milano
- Manuale di Anatomia Comparata – E. Giavini, E. Menegola 2010, EdiSES.
- Antibacterial Film Inspired by Sharks – Asknature.org
- Imitation Shark Skin Could Prevent Infection – Small Business Innovation Research (SBIR) – sbir.nih.gov
- Immagine in evidenza: wikimedia.org
- https://www.microbiologiaitalia.it/altro/nei-rossi/