Il fegato (Figura 1) può essere considerato l’organo più grande del nostro corpo, è situato nell’addome in alto a destra ed è costituito da cellule dette epatociti.

Come quasi tutti gli organi del nostro organismo, il fegato può essere colpito da tumore. Il più frequente negli adulti è il carcinoma epatocellulare (che colpisce gli epatociti), il quale ha un tasso d’incidenza molto basso rispetto ad altri tumori (mammella, colon-retto, polmone), e con un rapporto 2:1 tra maschi e femmine.
Va, però, ricordato che si tratta di un organo interessato molto frequentemente da tumori secondari, cioè quei tumori che si originano da metastasi provenienti da tumori in altri organi.
Un gruppo di ricercatori del National Cancer Institute di Bethesda (USA) ha condotto una ricerca, pubblicata su Science, che potrebbe aprire le porte a nuovi sviluppi per la terapia dei tumori epatici. Questi hanno infatti scoperto come i batteri della flora intestinale (Figura 2) riescano ad influenzare le difese immunitarie antitumorali nel fegato e, di conseguenza, anche lo sviluppo di metastasi in questo organo.
L’esistenza di una relazione fra questi due elementi era stata già dimostrata da ricerche precedenti, che, però, non sono riuscite a spiegare il meccanismo biologico alla base di questo legame così importante e negativo per l’organismo.

Lo studio è stato condotto su topi geneticamente modificati per essere predisposti a sviluppare il cancro. Andando ad agire sulla flora batterica intestinale, attraverso la somministrazione di un cocktail di antibiotici, è stato possibile ridurre il numero e le dimensioni dei tumori epatici, nonchè delle metastasi epatiche di linfomi e melanomi. Gli stessi risultati, però, non sono stati riscontrati in altri organi.
Questo è dovuto ad un accumulo nel fegato, di linfociti Natural Killer (NK), considerati la migliore arma a disposizione del nostro sistema immunitario nell’eliminazione efficace delle cellule tumorali (Figura 3)

L’accumulo nel fegato è dovuto all’espressione, in quantità maggiore, della proteina CXCL16 sulla superficie delle cellule che rivestono l’interno dei capillari che giungono al fegato. Questo è, a sua volta, dovuto agli acidi biliari, che sono prodotti dal fegato con il compito di scindere i grassi durante il processo di digestione, portando alla produzione di glicerolo e acidi grassi. Questi ultimi sono strettamente collegati con la flora batterica intestinale: molti batteri, infatti, li metabolizzano andando a produrre acidi grassi secondari.
Il batterio maggiormente implicato in questo è Clostridium scindens, una delle specie di Clostridium (Figura 4) presente nel nostro intestino abitualmente.

La loro funzione è quella di inibire l’espressione di CXCL16, andando ad inibire, a cascata, l’accumulo di linfociti NK nel fegato e, infine, la proliferazione di cellule tumorali. Questo meccanismo, riscontrato nel topo, sembra essere attivo anche nell’uomo.
In conclusione, lo studio suggerisce che si potrebbe agire sulla secrezione degli acidi biliari per favorire una maggiore attivazione di cellule anti-tumorali e limitare quindi l’insorgenza e/o la crescita di tumori epatici.
Emanuela Pasculli
Fonte:
Le Scienze
Fondazione Veronesi