Per la prima volta 15 giorni fa, grazie al progetto “gene in the space-3” degli scienziati sono riusciti, attraverso il sequenziamento del DNA ad identificare in orbita batteri presenti sulla stazione spaziale internazionale:
Inizialmente la procedura standard era quella di inviare i campioni sulla terra e li amplificare il loro genoma e successivamente sequenziarlo.
A fare tutto ciò è stata Peggy Whitson, biochimica di formazione, ha raccolto campioni su molte superfici della ISS; lasciate crescere per una settimana le colture hanno poi fornito materiale utile per la loro identificazione, avvenuta totalmente all’interno della ISS specificamente all’interno del “Microgravity science glovebox”(Fig.2) la zona dedicata alle sperimentazioni biochimiche sulla stazione.
Nulla di alieno! almeno per ora, sono stati identificati solamente batteri tipicamente presenti negli ambienti umani, come ci si aspettava.
Sono stati identificati 48 ceppi batterici, ma le proporzioni non erano quelle normalmente presenti in ambienti terrestri, infatti Bacillus safensis sembra che sopporti meglio la microgravita presente all’interno della stazione internazionale presentandosi in una densità di popolazione maggiore del 60% rispetto ad un ambiente terrestre.
Inoltre B. safensis, nonostante sia aerobio chemoeterotrofo, è già noto per la sua capacità di proliferare sulle sonde spaziali il che pone non pochi problemi proprio nella identificazione di specie aliene, e ovviamente problemi anche di tipo etico: e se introducessimo specie non autoctone in altri pianeti? se per questo motivo ipotetici organismi morissero? questo rischio evidentemente esiste e lo abbiamo già corso con Spirit e Opportunity, sonde inviate su Marte e arrivate in loco nel 2004.
Perchè lo studio di organismi terrestri nello spazio rimane comunque importante?
può esserlo per diversi e molti motivi, innanzitutto un ambiente in cui è presente una gravita così lieve è nettamente differente da un qualsiasi ambiente terrestre e ciò può essere considerata una pressione evolutiva, può essere utile agli astronauti in momenti di crisi come un’infezione o utile per migliorare un giorno i meccanismi di riciclo di acqua e aria ma probabilmente gran parte dei motivi ancora non li conosciamo.
Alessandro Clochiatti
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