Come ben sappiamo è possibile ritrovare batteri, ma in generale i microrganismi, ovunque. Dagli ambienti antropizzati, arrivando ai più remoti ambienti estremi, addirittura su esseri viventi o su materiale non vivente come la plastica. Molto spesso lo studio delle comunità microbiche su una particolare superficie, vivente o non vivente, risulta fondamentale. Esso ci permette infatti di risalire a dati, caratteristiche o anche allo stato di salute dell’ospite della comunità, qualora parlassimo di organismi viventi. Quest’ultimo è proprio il caso del quale vi parleremo, ovvero uno studio condotto sul microbioma specifico di cinque specie differenti di squali e i danni portati dai loro morsi.
Gli squali
Gli squali sono vertebrati, classificati come pesci cartilaginei all’interno della classe dei Condroitti, sottoclasse degli Elasmobranchi, superordine dei Selachimorpha, insieme a razze e chimere (che appartengono invece al superordine dei Batoidea). Essi presentano uno scheletro cartilagineo e gli unici elementi costituiti da tessuto osseo sono rappresentati dai denti e dai denticoli dermici. Gli squali hanno un lungo passato evolutivo, sono infatti sopravvissuti per milioni di anni adattandosi ai cambiamenti del pianeta e alla comparsa dell’uomo. Oggi molte specie di squali sono classificate dalla IUCN come in via di estinzione, e in base alla specie rientrano in gradi differenti di rischio.
Tra tutti il più famoso è sicuramente il grande squalo bianco (Fig.1) Carcharodon carcharias (Linnaeus, 1758). Esso è oltretutto famoso per meriti cinematografici (scientificamente inesatti) che hanno portato a definire questi meravigliosi animali come pericolosi per l’uomo.
Gli olobionti e l’ologenoma
Con il termine olobionte (Fig. 2) definiamo l’organismo vivente che convive in maniera complementare con il proprio microbiota (composto dai suoi microrganismi simbionti). Il microbioma invece è parte di quello che viene definite ologenoma, ovvero l’insieme degli elementi genici dell’ospite e dei microrganismi che abitano su di esso o all’interno di esso.
In linea generale sappiamo che il microbioma può contribuire in maniera sostanziale allo stato di salute di un organismo. Quest’influenza è spesso espressa attraverso la produzione di metaboliti secondari protettivi, modulando la risposta immunitaria dell’ospite o indicando l’instaurarsi di uno stato di malattia dell’organismo.
Il microbioma degli squali: olobionti perfetti?
Nel tempo i ricercatori si sono concentrati principalmente sullo stabilire il ruolo ecologico che questi predatori occupano nei complessi oceani terrestri. Solo ultimamente alcune ricerche hanno approfondito le conoscenze sul microbioma di questi animali. Non esistono effettivamente prove chiare del fatto che gli squali si siano co-evoluti insieme al loro microbioma o se invece solo recentemente si siano sviluppati diventando olobionti. Sappiamo però che presentano caratteristiche uniche che possono variare da specie a specie, con una diversità microbica abbastanza variabile.
Alcune di queste ricerche hanno portato alla luce particolari aspetti che potrebbero portare anche alla scoperta di nuove specie di microrganismi. Tra le ricerche più importanti ritroviamo quelle effettuate da Michael P. Doane e colleghi sul microbioma dello squalo volpe, Alopias vulpinus (Fig.3), dimostratosi differente da quello degli habitat in cui normalmente essi vivono. Altrettanto importante invece è lo studio condotto dal gruppo di ricerca di Tina K. Johny che ha provato a definire il microbioma intestinale di una specie di squalo degli abissi, Centroscyllium fabricii. I ricercatori però non sono riusciti a classificare il 25% circa del microbioma, suggerendo che possa esistere una grande porzione di diversità microbica associata agli squali ancora non caratterizzata.
Il microbioma e i morsi degli squali
Seppur siano relativamente pochi (parliamo di circa 3000 attacchi non provocati dal 1580 ad oggi), i morsi di squalo conseguenti ad attacchi rappresentano un problema per chi riesce a sopravvivere ma sviluppa un’infezione batterica. In particolar modo, in alcune regioni del mondo in cui gli attacchi sono più frequenti, come gli Stati Uniti o l’Australia, si rivela di fondamentale importanza lo studio del microbioma orale degli squali. Anche se nella maggior parte dei casi i morsi non risultano fatali, portano ad un aumento del rischio di contrarre un’infezione batterica. Questa viene spesso trattata con antibiotici ad ampio spettro, che in alcuni casi non hanno effetto rendendola più pericolosa dei morsi stessi. Questo fenomeno è dovuto principalmente alla mancanza di conoscenze sul microbioma orale di questi animali.
Caratterizzare il microbioma della dentatura degli squali potrà in futuro portare a migliorare i trattamenti utili in questi casi, rendendoli più efficaci e più specifici.
Lo studio di alcune specie di squali
Nello studio condotto da Rachael Storo e collaboratori, sono stati effettuate comparazioni delle comunità microbiche di cinque specie differenti di squali:
- Ginglymostoma cirratum o squalo nutrice;
- Negaprion brevirostris o squalo limone;
- Carcharhinus plumbeus o squalo grigio;
- Carcharhinus perezi o squalo del reef dei Caraibi;
- Galeocerdo cuvier o squalo tigre.
Questi studi sono stati condotti su branchie, denti, pelle e cloaca di ogni specie, che è stata scelta in base anche al habitat tipico che occupa, per differenziare le condizioni di verifica della diversità microbica. Inoltre, sono stati prelevati anche campioni di acqua dai vari habitat per confrontare i valori della diversità tra le specie e gli habitat.
L’interpretazione dei dati
I dati ricavati da questo studio hanno messo in luce che le comunità microbiche associate agli squali sono molto differenti rispetto a quelle della colonna d’acqua oceanica. Inoltre, esse si differenziano da specie a specie ed anche in base alla parte anatomica presa in analisi.
Sembra che alcune specie di squali possano preferire alcuni habitat rispetto ad altri, o adottare comportamenti differenti anche in base alla diversità microbica del loro microbioma. Questo è spiegato dal fatto che l’ambiente circostante influenza di gran lunga la composizione microbica delle diverse parti anatomiche. Ciò spiegherebbe anche il 25% della diversità microbica non categorizzata negli squali degli abissi. La differenza tra le diverse parti anatomiche sarebbe spiegata dalla diversa specializzazione che le comunità hanno sviluppato nel tempo, che si adattano alle specifiche micro-nicchie che si creano sull’organismo. Dimostrando l’elevata efficienza come olobionti che gli squali sono riusciti a raggiungere nel corso di milioni di anni.
Il microbioma orale degli squali
Dai dati ottenuti dall’analisi dei microrganismi situati sui denti degli squali, è emerso che essi rappresentano un’eccezione. A differenza degli altri siti anatomici, infatti, il microbioma orale si è dimostrato più ricco e diversificato. Si è ipotizzato che questa differenza possa essere influenzata dal tipo di dieta che gli squali adottano. Ipotesi che però non è stato possibile verificare in quanto nello studio non sussistevano le condizioni adeguate. Essenzialmente si pensa che sia molto difficile verificare questa particolare ipotesi anche con successivi studi, poiché richiederebbero un numero di dati e campionamenti molto elevato.
Ottenere però un maggior numero di campioni e dati potrebbe rivelarsi utile nell’ottica dell’identificazione delle diverse specie di squalo in casi di morso. Questo porterebbe ad un miglior approccio nella cura delle infezioni batteriche derivate dai morsi di questi animali. Oltretutto questi dati potrebbero essere utilizzati anche per scopi ecologici. Tra i taxa analizzati troviamo: Streptococcus, Staphyloccocus, Corynebacterium, Enterococcus, e Vibrio.
Conclusione
Questo tipo di studi presenta quindi una doppia valenza. Da un lato essi possono aiutare a prevenire morti, nei già limitati casi fatali, dovute agli attacchi non provocati di squalo e ai morsi. Dall’altro lato possono invece aiutare a conoscere maggiormente questi animali, caratterizzando in alcuni casi anche specie di microrganismi non conosciuti, come nel caso della scoperta della specie Vibrio carchariae. Questi studi ci aiutano quindi a conoscere bene degli animali che sono presenti da ben più tempo di noi su questo pianeta. Inoltre, ci permettono di approfondire le conoscenze sugli olobionti, e sulla co-evoluzione di quest’ultimi con i loro microrganismi simbionti.
Fonti
- Microbiome analyses demonstrate specific communities within five shark species. (Rachael Storo et al. 2021) – Frontiersin.org
- Metabarcoding data of bacterial diversity of the deep sea shark, Centroscyllium fabrici. (Tina K. Johny et al., 2018) – Sciencedirect.com
- The skin microbiome of elasmobranchs follow phylosymbiosis, but in teleost fishes, the microbiomes converge. (Michael P. Doane et al., 2020) – Microbiomejournal.com
- L’organismo vivente come ecosistema: l’ipotesi evolutiva dell’olobionte – unipd.it
- International shark attacks file – floridamuseum.ufl.edu