Serviti come semplice contorno, come farcitura del tradizionale hot dog oppure insieme a salsicce, wurstel e patate, i crauti in cucina si prestano a molti usi diversi e grazie al loro sapore leggermente acidulo seppur dolciastro accompagnano bene carni saporite come quella di maiale.
I crauti sono un alimento base tipico di molti paesi europei, tra cui Germania, Olanda e Polonia, mentre in Italia fanno parte della tradizione friulana ed altoatesina; il loro nome deriva dal termine”Sauerkraut” che significa:”erba acida”.
Se originariamente ciò faceva riferimento solo alle loro proprietà organolettiche, col senno di poi possiamo affermare che forse mai nome in cucina fu scelto in modo più profetico: il procedimento di preparazione dei crauti a partire dalle foglie del cavolo cappuccio sfrutta infatti il metabolismo fermentativo di particolari batteri lattici, naturalmente parte della microflora epifitica dell’ortaggio in questione, che producono vari tipi di acidi organici (oltre a quello lattico presente in larga parte).
La superficie delle parti aeree delle piante, infatti, è sede di numerose colonie di microrganismi di tipo diverso (batteri, lieviti, funghi…) che ne costituiscono la ricca microflora naturale, organizzata spesso in veri e propri biofilm o aggregati distinti; essa può o meno instaurare relazioni ecologiche differenti con la pianta ospite, non necessariamente di tipo patogenico.
Sulle foglie del cavolo cappuccio in particolare vivono numerose specie diverse di gram negativi e di batteri lattici (che sono invece gram positivi): tra questi ultimi i più importanti sono Leuconostoc mesenteroides (Fig.1), Lactobacillus plantarum e Lactobacillus brevis (Fig. 2).
Questi tre microrganismi in particolare sono proprio quelli sfruttati nella preparazione dei crauti a livello industriale: si tratta di un processo abbastanza raffinato, che utilizza il normale metabolismo fisiologico fermentativo di tali batteri epifitici, regolandone la durata e scandendone le fasi attraverso un altro importante ingrediente, il cloruro di sodio (proprio il nostro comune sale da cucina!).
Il sale ha due funzioni diverse: da una parte serve a contrastare la crescita dei gram negativi epifitici presenti, che non intervengono nel processo, ma potrebbero creare vari problemi se iniziassero a proliferare; dall’altra crea le condizioni ideali perchè si attivino i veri responsabili della produzione.
La preparazione avviene in grossi contenitori di acciaio inox della capacità di 50-90 tonnellate e segue un protocollo standardizzato che assicura le necessarie condizioni igieniche e la conservazione di tutte le qualità organolettiche del prodotto finale; le foglie di cavolo cappuccio (che si raccoglie in genere a fine Settembre/inizio Ottobre), tagliate finemente a strisce, vengono immerse in una salamoia contenente circa al 3% cloruro di sodio, che viene poi portata a 18 gradi celsius e lasciata riposare per un certo periodo.
Durante questo lasso di tempo ed in queste condizioni si ha la prima fermentazione spontanea: i batteri della specie L. mesenteroides si attivano ed iniziano a proliferare. Questi microrganismi hanno un metabolismo di tipo cosiddetto ”eterofermentante”: essi cioè ossidano gli zuccheri presenti non solo producendo acido lattico (in larga parte), ma anche altri tipi di acidi organici, quali l’acido acetico, oltre ad etanolo ed anidride carbonica.
L’elevato aumento di concentrazione delle sostanze organiche acide provoca una caduta del pH della salamoia fino a 4,5 circa: questa variazione delle condizioni del microambiente all’interno del contenitore diventa però alla lunga mal tollerata dallo stesso batterio, che tende cosi’ ad arrestare la sua crescita. Tuttavia, questi nuovi valori di pH risultano ottimali per la crescita di altre specie epifitiche presenti, in modo particolare proprio di L. plantarum e L. brevis (i quali sono di contro ”omofermentanti”, producono cioè quasi esclusivamente acido lattico); essi iniziano a questo punto a proliferare e prevalere sugli altri (il pH della salamoia scende ancora ed arriva a circa 3,5) sino a portare a termine il processo di fermentazione e permettere cosi’ di ottenere il prodotto finito.
Dalle salamoie con i crauti sono stati isolate anche altre specie batteriche che, sebbene non intervengano direttamente nel processo, pare abbiano un ruolo (ancora non ben caratterizzato) nel conferire certe sfumature organolettiche al prodotto finale grazie ai loro metaboliti: si tratta di altri membri del genere Leuconostoc quali L. citreum, L. fallax e L. pseudomesenteroides; è stata inoltre rilevata la presenza di L. weissella.
Tuttavia, recenti studi microbiologici su queste salamoie industriali hanno aperto uno scenario inaspettato scoprendo che nel regolare l’equilibrio delle diverse popolazioni microbiche nel corso del processo intervengono anche dei batteriofagi: è stato infatti dimostrato che nel passaggio dalla fase dell’eterofermentazione a quella della omofermentazione aumenta la carica virale dei batteriofagi attivi sui rispettivi Leuconostoc coinvolti ed in particolare su weissella.
Tali evidenze sono importanti dal punto di vista tecnologico poiché a livello industriale, laddove sono coinvolti processi di fermentazione svolti da microrganismi, da qualche anno si guarda con interesse all’uso dei batteriofagi come possibile strumento per regolare e tenere sotto controllo la crescita delle popolazioni microbiche coinvolte, soprattutto di quelle potenzialmente indesiderate.
Pare però che l’intervento dei batteriofagi non abbia ricadute sul lato della produzione alimentare in senso stretto; in ogni caso, la prossima volta che ci capiterà di sederci a tavola di qualche ristorante tipico austriaco o tedesco e ci verranno serviti dei crauti, saremo consapevoli una volta di più di quanto la microbiologia, in tutti i suoi aspetti, pervada intimamente le nostre vite,le nostre abitudini e persino le nostre tradizioni (Fig.3).
Sitografia delle immagini
Per l’immagine in evidenza:
https://www.my-personaltrainer.it/Tv/Ricette/Verdure_e_Insalate/crauti-fatti-in-casa.html
Per l’immagine di Leuconostoc mesenteroides:
Per l’immagine di Lactobacillus brevis:
https://www.nitto-pharma.co.jp/en/mycology/research/brevis/
Per l’immagine del piatto finale:
http://www.trytocook.com/2012/04/28/wurstel-e-crauti/
Bibliografia di riferimento
“Microbiologia agroalimentare”, Bruno Biavati e Claudia Sorlini, casa editrice Ambrosiana
“Microbiologia”, Lansing M. Prescott ed altri, edizioni Zanichelli