Heamophilus influenzae

Caratteristiche

Haemophilus influenzae è un coccobacillo Gram-negativo pleomorfo (Fig. 1), asporigeno, mesofilo, aerobio-anaerobio facoltativo, catalasi e ossidasi positivo, immobile, capsulato o non capsulato. La denominazione del genere si riferisce alla necessità di fattori di crescita ottenibili dal sangue (sono quindi batteri emofili). I membri di tale gruppo hanno come habitat le mucose dei vertebrati, con una relazione di specificità “specie animale-specie batterica” abbastanza limitata e costrittiva. Nella patologia umana, Haemophilus influenzae occupa il posto predominante in virtù del ruolo eziologico nella meningite batterica infantile. Oltre a questo, ci sono anche Haemophilus haegyptius ed Haemophilus ducrey, i quali raffigurano rispettivamente la causa della congiuntivite purulenta (usuale nelle zone tropicale e preminentemente nei bambini) e dell’ulcera venerea (chiamata anche cancroide o ulcera molle, è una malattia a trasmissione sessuale).

Il nome della specie è stato assegnato quando, nel corso della pandemia influenzale del 1890, il microorganismo venne isolato dai malati in maniera assai frequente, e ciò fece supporre erroneamente che Haemophilus influenzae fosse l’agente responsabile della malattia.

H. influenzae non è esclusivamente un patogeno, bensì è anche un componente della flora del rinofaringe e della cavità orale, insieme a Haemophilus haemolyticus, Haemophilus parainfluenzae, Haemophilus parahaemolyticus e Haemophilus aphrophilus.

Si tratta di un microorganismo esigente dal punto di vista nutrizionale, che richiede terreni ricchi di fattori di crescita provenienti dal sangue, tra cui il termolabile fattore V, che sarebbe la nicotinammide adenina dinucleotide (NAD), e il termostabile fattore X, cioè la protoporfirina IX (o emina), precursore dell’ematina.

Sulla base della capsula polisaccaridica, è possibile distingue sette sierotipi di questo batterio (a, b, c, d, e, e’, f). In aggiunta a ciò, possiamo discernere otto biotipi (I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII) grazie a tre reazioni biochimiche, ovvero la produzione di indolo (composto eterociclico, sottoprodotto della digestione del triptofano, con formula bruta C₈H₇N), l’enzima ureasi (che scinde l’urea in ammoniaca e anidride carbonica) e l’enzima ornitina decarbossilasi (che catalizza la decarbossilazione dell’ornitica per formare la putresceina).

H. influenzae al microscopio ottico e al microscopio elettronico a scansione
Figura 1 – Haemophilus influenzae al microscopio ottico e al microscopio elettronico a scansione

Filogenesi

Dominio              Prokaryota

Regno                  Bacteria

Phylum                Proteobacteria

Classe                  Gammaproteobacteria

Ordine                 Pasteurellales

Famiglia              Pasteurellaceae

Genere                Haemophilus

Specie                  H. influenzae

Morfologia delle colonie

Poiché, come abbiamo già spiegato all’inizio, H. influenzae è un batterio che richiede specifici nutrienti, si coltiva in agar cioccolato, che si ottiene aggiungendo il sangue defibrinato al 5% (di cavallo o montone) al terreno liquido riscaldato a 80°C; in questo modo gli eritrociti vanno incontro a lisi con conseguente rilascio di emoglobina, che fa assumere al terreno un colore rosso-bruno, e fornisce i due fattori NAD ed emina (quest’ultima è disponibile anche da cellule non emolizzate). Dal momento che Haemophilus influenzae è microaerofilo, una volta seminato deve essere incubato a 35-37°C in ambiente aerobio con il 5-10% di CO₂ per 24-48 ore.

Le colonie appaiono piatte, lisce, circolari, grigie pallide e trasparenti, o incolori. Non avviene alcuna emolisi o scolorimento del terreno (Fig. 2). I ceppi capsulati formano delle colonie più grandi (2-3 mm) con aspetto mucoso ed iridescente, mentre quelli non capsulati generano delle colonie più piccole (1-1,5 mm) compatte e grigiastre, con aspetto a “goccia di rugiada”.

Colonie di H. influenzae su agar cioccolato
Figura 2 – Colonie di H. influenzae su agar cioccolato

Patogenesi

Nell’essere umano Haemophilus influenzae  è situato nelle mucose del tratto respiratorio superiore (rinofaringe ed orofaringe) in un’alta percentuale di individui sani; nei bambini raggiunge il 60-90%, mentre negli adulti è più bassa, 35-85%. Tuttavia, solo lo 0,4% degli adulti e il 5% dei bambini ha Haemophilus influenzae di tipo b, che è quello responsabile delle forme più gravi di patologia. Altri siti dove il batterio si localizza sono la congiuntiva e le vie genitali. Di solito l’infezione viene tenuta sotto controllo dal sistema immunitario e non si manifestano sintomi. Ciononostante, nel momento in cui le difese dell’organismo si indeboliscono (per esempio in caso di immunodepressione), H. influenzae si converte in un agente patogeno provocando infezioni locali (che riguardano le vie aeree superiori ed inferiori) e sistemiche, che sono quelle più pericolose.

I ceppi acapsulati sono capaci di penetrare nella sottomucosa nasofaringea, però è insolito che riescano ad entrare nel torrente circolatorio e a distribuirsi in altre zone. I quadri patologici maggiormente assidui sono l’otite media, la sinusite, la bronchite e la polmonite.

I ceppi capsulati, nei soggetti non vaccinati o non esposti in precedenza (quindi privi di anticorpi in grado di opsonizzare il batterio), arrivano a colonizzare il torrente ematico, e ciò evolve in batteriemia e disseminazione alle meningi (meningite), ai tessuti molli (cellulite) e all’epiglottide (epiglottite).

Nella patologia umana il sierotipo b è quello più ricorrente, è caratterizzato dalla propensione ad invadere, determina batteriemia e colpisce soprattutto neonati e bambini di età inferiore ai due anni. Tra l’altro, raffigura la causa più frequente di meningite batterica dai due mesi ai cinque anni di età, ed è l’unico capace di passare nel sottoepitelio del rinofaringe. Il raggiungimento della sottomucosa è avvantaggiato dalla distruzione delle giunzioni tra le cellule epiteliali che permette il passaggio negli spazi intercellulari, contrariamente a Neisseria meningitidis, che effettua l’attraversamento intracellulare. La meningite batterica ha un periodo di incubazione di uno o tre giorni ed è preceduta da un’otite o da un’infezione respiratoria. I sintomi sono febbre, cefalea, fotofobia, rigidità della nuca (nei lattanti, invece, è molla e ciondolante), difficoltà respiratorie, dolore nella deglutizione, salivazione eccessiva, vomito a getto, opistotono (condizione di iperestensione e spasticità che porta ad assumere una posizione inarcata innaturale; è il sintomo tipico del tetano) (Fig. 3). Questa infezione può avere come conseguenza danni abbastanza rilevanti con difetti circoscritti in particolare al sistema nervoso, tra cui sordità, cecità, problemi dell’apprendimento e dello sviluppo, danni cerebrali focali o diffusi. Il decorso della malattia può essere tragico, con setticemia e coinvolgimento multi-organo che portano al decesso del paziente. Nell’adulto al sopra dei ventisette anni la patologia è rara.

Raffigurazione dell’opistotono in un dipinto di Sir Charles Bell (1809)
Figura 3 – Raffigurazione dell’opistotono in un dipinto di Sir Charles Bell (1809)

Un’altra grave infezione arrecata da questo batterio è l’epiglottite, che riguarda specialmente i bambini dai sei mesi ai due anni. È associata al rigonfiamento dei tessuti dell’epiglottide e si manifesta con febbre alta (39-40°C), faringodinia (dolore alla gola), scialorrea (ipersalivazione), disfagia dolorosa, dispnea e voce afona, fino ad arrivare all’ostruzione delle vie respiratorie e alla morte.

Anche la cellulite e l’artrite settica rappresentano delle malattie pediatriche dovute a infezione da Haemophilus influenzae, con maggiore incidenza nei bambini al di sotto dei due anni di età. La prima è caratterizzata da febbre, macchie rosso-bluastre sulle guance e sulla zona periorbitale; la seconda, che colpisce anche gli adulti, è associata a febbre, dolore a livello dell’area dell’infezione, tumefazione dell’articolazione con arrossamento della cute, limitazione della funzione dell’articolazione colpita. Il ginocchio e l’anca sono le articolazioni interessate in maggior misura.

C’è da sottolineare che l’assiduità dell’infezione patologica da Haemophilus influenzae  e l’età sono inversamente proporzionali. Ovvero, gli individui che vengono attaccati dal microorganismo sono specialmente i bambini. Non a caso, se non viene somministrato il vaccino, il 50% della popolazione infantile è colpita da un’infezione da H. influenzae nel primo anno di vita, e a tre anni gran parte dei fanciulli sono già stati contagiati. Anche gli anziani sono più suscettibili all’infezione.

Haemophilus influenzae possiede quattro determinanti di patogenicità:

  • La capsula, formata da ribosio, fosfato e ribitolo. È il fattore di virulenza primario, dal momento che impedisce la fagocitosi mediata dal sistema del complemento. In aggiunta a ciò, stimola la generazione di anticorpi che opsonizzano il batterio consentendo la fagocitosi da parte dei macrofagi e dei neutrofili;
  • Il lipo-oligo-saccaride (LOS), che paralizza le ciglia delle cellule respiratorie, annullando quindi il ruolo difensivo di esse e promuovendo la permanenza e la proliferazione dei batteri;
  • I recettori per la lattoferrina e la trasferrina, che consentono al microorganismo di sequestrare il ferro pregiudicando l’attività antibatterica delle ferro-proteine. H. influenzae è l’unica specie del genere Haemophilus a possedere questa caratteristica;
  • L’IgA1 proteasi, che catalizza il clivaggio delle immunoglobuline A1 (IgA1) a livello della regione cerniera in cui sono presenti legami peptidici. Questi anticorpi sono fondamentali per l’immunità mucosale;
  • Le fimbrie, che facilitano l’adesione del batterio alle cellule epiteliali non ciliate del rinofaringe.

Diagnosi

Quando si ha un sospetto clinico di infezione da Haemophilus influenzae, è essenziale confermare la presenza dell’agente patogeno tramite esame microscopico e colturale. Il primo ha un notevole valore diagnostico, viene eseguito applicando il campione su un vetrino e colorandolo con Gram; tale esame rimarca i coccobacilli Gram-negativi e i granulociti neutrofili. Questi ultimi, nella meningite batterica acuta, aumentano fino adun numero maggiore di 500/μl. Nell’attuazione della colorazione di Gram, bisogna ricordare che il microorganismo tende a mantenere il colore violetto ai poli, perciò al microscopio i batteri possono sembrare dei diplococchi Gram-positivi. Per evitare questo inconveniente, occorre rivolgere particolare attenzione alla fase di decolorazione con alcool-acetone. Per quanto concerne l’esame colturale, il campione viene seminato su agar cioccolato e cresciuto in atmosfera contenente il 5-10% di anidride carbonica. Ogni volta che si eseguono questi esami, è opportuno tenere a mente che l’H. influenzae, come anche Streptococcus pneumoniae e Neisseria meningitidis, è sensibile alle variazioni di temperatura e quindi potrebbe non sopravvivere a lungo al di fuori dell’organismo. Per tale ragione il campione deve essere portato in laboratorio il più rapidamente possibile e non va mai refrigerato, bensì conservato a 37°C.

La scelta del campione dipende, ovviamente, dal quadro patologico:

  • Meningite: sangue e liquido cerebrospinale. Quest’ultimo appare torbido a causa della presenza massiva di leucociti polimorfonucleati, i quali possono lisarsi facilmente, dato che il liquor è ipotonico, e ciò ne altera la conta. Questo è un altro motivo per cui il campione deve essere analizzato presto dopo il prelievo.
  • Epiglottite: sangue e tampone della faringe anteriore
  • Cellulite: sangue e cute
  • Artrite: sangue e aspirato articolare
  • Polmonite: sangue ed espettorato
  • Sinusite: aspirato dai seni nasali
  • Otite media: aspirato da timpanocentesi (perforazione della membrana del timpano con un apposito ago, che permette l’evacuazione del pus in caso di otite purulenta).

Ulteriori approcci diagnostici sono la ricerca di antigeni capsulari mediante test di agglutinazione su vetrino utilizzando dei sieri agglutinanti (Kit Heamophilus influenzae Agglutinating Sera), o saggi immunoenzimatici (ELISA). Questi ultimi, nel caso dell’ H. influenzae di tipo b, ricercano IgG contro il poliribosiribitolo fosfato (PRP) della capsula batterica.

Terapia e prevenzione

Il trattamento delle infezioni fatali da H. influenzae si basa sull’utilizzo di antibiotici come le cefalosporine di terza generazione (ceftriazone cefotaxime), o il cloramfenicolo. Considerati i preoccupanti effetti collaterali di quest’ultimo farmaco (come anemia aplastica, leucopenia, piastrinopenia, sintomi gastrointestinali, reazioni allergiche, epatotossicità), è opportuno monitorarlo costantemente per il dosaggio. Inizialmente le infezioni più severe venivano curate con l’ampicillina, che è stata in seguito sostituita dal cloramfenicolo a causa della presenza del trasposone TnA (Fig. 4), integrato in vari tipi di plasmidi (RSF007, RSF0885); questo tipo di trasposone è distinto dalla mancanza delle sequenze di inserzione e dalla presenza di una regione centrale che codifica per tre geni, cioè una trasposasi (tnpA), una resolvasi (tnpR) e una beta-lattamasi (questa conferisce resistenza all’ampicillina).

La terapia deve proseguire per un lasso di tempo di 7-14 giorni e non deve essere interrotta precocemente, anche se si nota un evidente miglioramento clinico.

Rappresentazione schematica del trasposone TnA con i tre geni tnpA (trasposasi), tnpR (resolvasi) e ampR (gene di resistenza all’ampicillina)
Figura 4 – Rappresentazione schematica del trasposone TnA con i tre geni tnpA (trasposasi), tnpR (resolvasi) e ampR (gene di resistenza all’ampicillina)

Per le infezioni più lievi, invece, si impiega un’associazione di ampicillina e sulbactam, cefalosporine di seconda generazione (cefaclorcefamandolo e cefuroxime), o fluorochinoloni. Anche lo xibornolo, un antibiotico lipofilo somministrabile per via orale o mediante spray nasale, si è rivelato efficace verso il batterio.

Per la profilassi, da diversi anni esistono dei vaccini specifici formati dai polisaccaridi capsulari purificati di H. influenzae di tipo b, mescolati con proteine di altri microorganismi, come l’anatossina di Clostridium tetani e di Corynebacterium diphtheriae, che contribuiscono a stimolare una risposta immunitaria dipendente dai linfociti T, con produzione di immunoglobuline di tipo G (IgG) e formazione di cellule della memoria. Un esempio è il vaccino Infanrix Hexa (Fig. 5), costituito dal polisaccaride dell’H. influenzae di tipo B (poliribosiribitolo fosfato), il tossoide difterico, il tossoide tetanico, gli antigeni di Bordetella pertussis (tossoide pertossico, emoagglutinina filamentosa e pertactina), l’antigene di superficie dell’HBV (HBs), e i virus inattivati della poliomielite (tipo 1, 2 e 3). Questo vaccino offre una protezione dalla malattia causata da H. influenzae tipo b, tetano, difterite, pertosse, epatite B e poliomielite. È appropriato per la vaccinazione primaria e di richiamo di neonati e bambini.

La prima somministrazione del vaccino contro H. influenzae tipo b si compie all’età di due mesi, per poi espletare le altre tre inoculazioni a quattro mesi, sei mesi e un anno (o un anno e mezzo). Con il decreto legge in materia di prevenzione vaccinali per i minori da zero a sedici anni (approvato il 19/05/2017), è diventato obbligatorio per tutti i nati a partire dal 2001.

Infanrix Hexa
Figura 5 – Infanrix Hexa

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e sono il creatore di Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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