Cosa si nasconde dietro una corretta identificazione batterica: il paradigma di Burkholderia cepacia

Il problema dell’identificazione dei microrganismi in generale e dei batteri in particolare è da sempre un punto caldo per la comunità scientifica. L’importanza di una corretta identificazione riguarda vari punti di vista: identificare vuol dire dare un nome, riconoscere una specie batterica e dare una collocazione corretta a livello clinico o ambientale. Questo si riflette in numerosi aspetti della vita pratica, che possono riguardare scelte terapeutiche o commerciali, di conseguenza un’identificazione corretta e tempestiva è fondamentale. Il Burkholderia cepacia complex (Bcc) rappresenta un ottimo esempio di necessità di identificare rapidamente e in modo corretto un microrganismo. Costituito da un insieme di specie genomiche o genomovar, questo complex è in continua evoluzione grazie ai progressi della tecnologia: grazie ai passi avanti in questo ambito è possibile riconoscere precedenti misidentificazioni, come recentemente accaduto (Loveridge et al, 2017). Nel corso degli anni, infatti, il complex si è evoluto grazie all’aggiunta di alcuni genomovar, prima erroneamente attribuiti a generi più o meno vicini come Pseudomonas e Stenotrophomonas. Il complex è in continua evoluzione, come dimostra la recente aggiunta di Pseudomonas mesoacidophila. Il Bcc mostra una grande versatilità dal punto di vista fenotipico, grazie alla produzione di numerosi composti per il biorisanamento e di antibiotici attivi contro altri germi multi-resistenti.

Crescita di Burkholderia cepacia su apposito terreno selettivo.

Inoltre, gli appartenenti al Bcc sono molto importanti in ambito clinico per quanto riguarda infezioni di pazienti immunocompromessi, affetti da fibrosi cistica (FC), o da malattia granulomatosa cronica e sindrome delle cilia immobili. Nel caso dei pazienti FC, i batteri che appartengono al Bcc sono in grado di stabilire infezioni polmonari croniche, con possibili esacerbazioni (fasi acute dell’infezione caratterizzate da particolari segni clinici) e diverso outcome a seconda del genomovar di appartenenza. In particolare due sono le specie genomiche che costituiscono anche una controindicazione al trapianto polmonare, da qui l’importanza di arrivare a un’identificazione rapida e affidabile. L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha permesso di migliorare notevolmente le prestazioni, diminuendo i tempi e aumentando l’accuratezza delle identificazioni. Tra i primi sistemi utilizzati ci sono quelli a gallerie, che hanno il pregio di testare varie capacità metaboliche  e di crescita, ma il limite di essere operatore-dipendente nel senso che si è legati all’interpretazione degli operatori e, perché no, alla loro esperienza. Nonostante i sistemi a gallerie siano costruiti in modo da identificare correttamente una specie, i genomovars del Bcc hanno troppa analogia genetica per potersi differenziare dal punto di vista fenotipico. Il dualismo genotipo-fenotipo, cioè la “rivalità” tra il “contenuto” (patrimonio genetico) e il “contenitore” sono un leitmotiv dell’identificazione dei batteri del Bcc, un tema ricorrente e particolarmente importante. I test a gallerie, quindi, non sono sufficienti a risolvere la complessa tassonomia del complex e a dare un nome e un cognome ai batteri che ne sono parte. La biologia molecolare viene in aiuto dei ricercatori e dei clinici, fornendo strumenti aggiuntivi come il sequenziamento parziale del gene che codifica per il 16S rRNA. Purtroppo anche questo metodo non è particolarmente esaustivo, proprio per la grande omologia dei membri del complex. Non è quindi possibile riconoscere i singoli genomovar,  ma si riescono a distinguere solo alcune specie. Questo porta a non ritenere questa metodica sufficientemente affidabile, e a prendere in considerazione altri geni. L’attenzione viene concentrata sul gene recA, che codifica per una proteina chiamata ricombinasi che ha lo scopo di “difendere” il  genoma batterico dall’ingresso di DNA esogeno e indesiderato. Lo studio di questo gene ne ha confermato l’affidabilità e l’appropriatezza come target di analisi, specie se sottoposto a restrizione con l’enzima HaeIII.

Digestione enzimatica di PCR che mostra diversi profili di restrizione.

La reazione di PCR (Polyerase chain reaction, reazione a catena della polimerasi che serve per amplificare il DNA) è stata studiata in modo da essere identificativa del complex, in pratica se l’amplificazione del gene recA risulta positiva il batterio preso in considerazione appartiene al complex. Utilizzando recA come bersaglio genetico diventa possibile stabilire l’appartenenza al complex con una sola PCR, e individuare il genomovar grazie all’uso di enzimi di restrizione e a una PCR di conferma. Anche se questo metodo risulta affidabile, il suo impiego prevede una grande esperienza da parte dell’operatore, la disponibilità di ceppi di riferimento per individuare per confronto i profili di restrizione, e per costituire i controlli positivi per le reazioni di amplificazione dei singoli genomovar. Oltre al tempo da destinare alla crescita del batterio da coltura primaria, occorre effettuare una sub-cultura e dedicare un’altra giornata di lavoro alla biologia molecolare. Per questo un’identificazione accurata costa molto in termini di tempo. Negli ultimi anni si sono però diffusi i sistemi MALDI-ToF  (matrix assisted laser desorption ionization-time of flight mass spectrometry), assolutamente rapidi e affidabili, che uniscono anche la facilità di interpretazione dei risultati ottenuti alla rapidità e semplicità di esecuzione dei test.  Nel caso del Bcc, però, l’efficienza di questo sistema perde di risoluzione a livello di specie: mentre non ci sono problemi nell’identificazione del genere Burkholderia, non è stato possibile assegnare una specie al 20% di isolati clinici appartenenti soprattutto alle specie B. cepacia e B. contaminans. La mancata identificazione di isolati appartenenti a due genomovar particolari non inficia l’efficacia del metodo: è fondamentale infatti determinare rapidamente il genere di appartenenza e in questo la metodica è assolutamente affidabile e alla portata dei microbiologi clinici che abbiano a disposizione lo strumento. Nonostante questo, non siamo ancora pronti ad abbandonare la biologia molecolare per utilizzare la spettrometria di massa, almeno non nel caso di un complex di specie dalla tassonomia così intricata e dalla somiglianza genetica così marcata.

Questa breve storia dell’identificazione del Bcc mette in risalto l’effetto che i progressi tecnologici hanno avuto sulla diagnostica microbiologica negli anni: dai test a gallerie si è passati alla spettrometria di massa da bancone, dei risultati fino a pochi anni fa decisamente impensabili. Le ricerche che riguardano questa incredibile categoria tassonomica sono tuttora in corso, e un gruppo nutrito di scienziati di alto livello si occupano della divulgazione sul sito per addetti ai lavori riportato in sitografia.

 

Priscilla Cocchi

 

Bibliografia

Fehlberg LC, Andrade LH, Assis DM, Pereira RH, Gales AC, Marques EA. Performance of MALDI-ToF MS for species identification of Burkholderia cepacia complex clinical isolates. Diagn Microbiol Infect Dis. 2013 Oct;77(2):126-8. doi:10.1016/j.diagmicrobio.2013.06.011.

 

Sitografia

http://ibcwg.org/

 

Crediti immagini

https://en.wikipedia.org/wiki/Burkholderia_cepacia_complex

 

Foto dell'autore

Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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