La fermentazione del mosto d’uva
Non tutti sanno che nel mosto d’uva l’etanolo non è il solo prodotto dell’azione dei lieviti. La fermentazione alcolica, conosciuta da tutti come il principale processo metabolico che si verifica nel mosto d’uva dopo le operazioni preliminari, costituisce senza dubbio la base tecnologica del processo di vinificazione da cui originano le componenti olfattive principali, le quali donano al vino unicità d’aroma e di composizione (Fig.1).
I lieviti vinari trasformano lo zucchero in alcol mediante il proprio patrimonio enzimatico, attivato in condizioni di parziale mancanza di ossigeno e dunque di un accettore finale indispensabile per la catena di trasporto degli elettroni sulla cresta mitocondriale.
Il processo si può dividere cronologicamente in quattro fasi, in quanto i responsabili non sono sempre gli stessi microrganismi, con risultati di conseguenza diversi:
- primo periodo o fase vegetante, in cui avviene una veloce riproduzione dei lieviti, essendoci molto ossigeno a disposizione;
- secondo periodo o fase fermentante iniziale, in cui sono i lieviti apiculati (Hanseniaspora, Metschnikowia, Torulopsis, Cryptococcus) ad avviare la fermentazione producendo alcol e inibendo le muffe (2-2,5% di etanolo in volume);
- terzo periodo o fase fermentante tumultuosa, in cui i lieviti ellittici (Saccharomyces cerevisiae, Saccharomyces bayanus) prendono il sopravvento, poiché gli apiculati soccombono in presenza di etanolo al 4-5% (i batteri sono inibiti ma non soccombono del tutto), il processo continua fino a rallentare intorno al 7-8% di alcol;
- quarto periodo o fase di quiete, quando il lievito, ormai esausto per il gran lavoro svolto, è inibito dall’alcol e dall’anidride carbonica prodotta e passa allo stadio di riposo; tale passaggio di fase è favorito dalla carenza di nutrienti come azoto e sali minerali, dunque a questo punto i batteri (lattici, acetici) ridiventano attivi.
Fermentazione alcolica e bouquet aromatico
FERMENTAZIONE ALCOLICA SECONDO GAY-LUSSAC:
- C6H12O6 -> 2CO2 + 2C2H5OH + 24 Kcal
Il 92% degli zuccheri presenti nel mosto (in concentrazioni iniziali del 15-25% nella polpa dell’acino, sebbene i valori siano estremamente variabili a seconda delle pratiche di viticoltura, della latitudine e dallo stato di appassimento; ad esempio, le uve meridionali, in conseguenza di una maggiore fotosintesi, sono solitamente più dolci) subisce la fermentazione alcolica.
Tuttavia l’8%, dunque una porzione non trascurabile, segue invece la fermentazione glicero-piruvica, poiché una parte dell’acido piruvico, anziché essere decarbossilato con formazione di aldeide acetica e ridotto (ad opera del NAD) con formazione di alcol etilico, entra nel Ciclo di Krebs per essere ossidato.
Si tratta dunque della seconda fase della respirazione, in cui prendono forma i prodotti secondari della fermentazione.
Ecco allora che la legge stechiometrica della fermentazione cambia:
- C6H12O6 -> 2CO2 + 2C2H5OH + prodotti secondari + 24 Kcal
Nelle prime fasi della demolizione dello zucchero, è disponibile una parte di NADH + H+ che normalmente viene utilizzato per ridurre l’acetaldeide (ora ancora non formata) a etanolo.
Tuttavia, se l’acetaldeide è combinata con la SO2 (noto coadiuvante tecnologico in ambito enologico), essa non può essere ridotta ad alcol.
Il coenzima ridotto (NADH + H+) riduce il diidrossiacetone fosfato con formazione di glicerina, mentre l’aldeide glicerica-3-fosfato forma acido piruvico; la glicerina (o glicerolo) si accumula (motivo per cui, dopo acqua e alcol, è il composto più presente nel vino) mentre l’acido piruvico viene quasi tutto trasformato (ne restano circa 80 mg/L) in altri prodotti secondari, i cui principali sono acido acetico, acido citramalico, acido lattico, acido succinico, acetoino, butilen-2,3-glicole e aldeide acetica.
Una modesta quantità di acido acetico contribuisce all’affinamento del flavour complessivo nel vino, ma in alte quantità il rischio di acescenza è elevato, con formazione del difetto altresì noto come spunto acetico (maggiormente imputabile ad una contaminazione da batteri acetici).
L’acetoino o acetilmetilcarbinolo è un cheto-alcol che si forma per ossidazione del butilen-2,3-glicole e se ne ritrovano, nel vino, 2-20 mg/L.
Per ossidazione, origina il diacetile, molecola che conferisce un aroma burroso, mentre l’acido succinico, la cui presenza nel vino non conferisce sensazioni prettamente acide, esercita un ruolo importante nel determinare la sapidità, sensazione complessa di carattere salato-amaro-acido: esso conferisce, inoltre, vinosità ai vini giovani.
Gli esteri che si formano a partire dalla reazione di un alcol e un acido, possono essere di presenti già nell’uva o nel corso dell’invecchiamento e, dunque, di derivazione metabolica; gli esteri volatili sono quelli che impressionano la mucosa olfattiva e, con l’eccezione dell’acetato di etile, sono assai scarsi, sebbene la modesta concentrazione conferisce aroma fruttato e fresco, specialmente nei vini bianchi.
L’acido lattico, derivante dalla fermentazione malo-lattica (Fig.2) ad opera dei batteri lattici presenti nel mosto, conferisce rotondità e morbidezza al sapore del vino, in virtù della sua natura monoprotica.
Insieme a questi acidi, si riscontra la presenza anche di piccoli acidi organici a corta catena (butirrico, propionico, piruvico, ottanoico, ossalico, esanoico), i quali risultano essere volatili e dunque capaci di giungere ai recettori nasali e stimolare i sensi.
Il ruolo degli amminoacidi nel conferire l’aroma
Dalla decarbossilazione degli amminoacidi da parte dei lieviti originano invece ulteriori composti, noti come alcoli superiori, di cui sono state stimate almeno dieci specie chimiche: propanolo, isopropanolo, butanolo, isobutanolo, alcol amilico, 3-metilbutanolo, 2-metilbutanolo, esanolo, 2-feniletanolo.
Quest’ultimo è maggiormente noto soprattutto in cosmetica, poiché apporta il tipico odore di rosa, impreziosendo il bouquet aromatico della bevanda.
La formazione di questi composti non interessa direttamente la fermentazione alcolica, ma fa parte della complessa attività dei lieviti che necessitano dunque si sostanze azotate per la sintesi proteica.
Generalmente, un alto livello di alcoli superiori è correlato negativamente alla qualità del vino: vari autori riportano infatti che livelli di concentrazione superiori ai 300-400 ppm nel vino ne potrebbero diminuire drasticamente la qualità, apportando un odore ed un gusto pungente e/o vinoso.
Tuttavia livelli di concentrazione (<300 ppm) possono contribuire anche in maniera positiva all’aroma del vino con note fruttate.
Alla decarbossilazione degli amminoacidi, si accostano altre attività di derivazione microbiologica, che portano inevitabilmente ad altre modifiche strutturali e organolettiche del vino.
La formazione di metanolo, sostanza tossica se presente in alte concentrazioni (dunque in caso di aggiunte fraudolente), è dovuta alla demetossilazione enzimatica delle pectine della buccia d’uva, mentre i polisaccaridi di origine microbiologica (parete di lieviti) come le mannoproteine contribuiscono alla stabilità proteica dei vini, concedendo un uso maggiormente ponderato della bentonite.
In alcuni processi di vinificazione, come la produzione di spumante con Metodo Classico che prevede due fermentazioni, i lieviti vanno incontro a lisi cellulare, rilasciando sostanze organiche, come gli acidi nucleici, che risultano favorevoli al buon odore e al buon sapore dello spumante.
Si ringrazia il Dottor Marco Cozzolino per la stesura di questo articolo
Fonti
- G. Sicheri, Enologia
- P. Ribéreau-Gayon, Trattato di enologia,
- Amerine e Roessler, 1976; Ribéreau-Gayon, Trattato di enologia; Bidan,
- Nykanen et al., 1977; Lambrechts e Pretorius 2000; Swiegers e Pretorius 2005