Ciclo dell’azoto

L’azoto è l’elemento chimico indicato con la lettera N (dal latino nitrogenum) collocato nel gruppo 15 della tavola periodica e contraddistinto dalle seguenti proprietà chimico-fisiche:

  • Numero atomico: 7
  • Massa atomica: 14,0067 g mol-1
  • Punto di fusione: -210 °C
  • Punto di ebollizione: -195,8 °C
  • Notazione guscio elettronico: [He] 2s2 2p3

L’azoto si trova principalmente nel comparto atmosfera, all’interno del quale rappresenta circa il 78% dell’aria secca. Nell’acqua e nel terreno questo elemento è presente principalmente in forma di ione ammonio (NH4+), ione nitrato (NO3) o di azoto organico. Rappresenta l’elemento essenziale per la vita, subito dopo il carbonio, poiché è il costituente di importanti macromolecole: proteine e acidi nucleici (DNA ed RNA). Nel primo caso, l’azoto è presente sotto forma di gruppo amminico (-NH2) degli amminoacidi che a loro volta compongono le proteine; mentre negli acidi nucleici si presenta in forma di base azotata.

In sintesi, nell’ambiente l’azoto è distribuito in diverse forme (organiche o inorganiche) interconvertibili tra loro e che, complessivamente, costituiscono il complesso ciclo biogeochimico dell’azoto. Per ciclo biogeochimico si intende la movimentazione, per lo più circolare, di un elemento chimico (in questo caso l’azoto) attraverso i comparti biotici e abiotici nell’ambiente. Ruolo fondamentale è svolto dai microrganismi, in grado di mettere continuamente in circolo i nutrienti e gli elementi essenziali per la vita.

Ciclo dell'azoto
Figura 1 – Ciclo dell’azoto
Stato di ossidazione delle diverse forme dell'azoto
Figura 2 – Stato di ossidazione delle diverse forme dell’azoto

Fissazione biologica dell’azoto

Il primo step del ciclo dell’azoto che verrà di seguito approfondito è la fissazione dell’azoto. Quest’ultima è una reazione chimica che comporta la conversione dell’azoto molecolare, presente in atmosfera, in ammoniaca:

N2 + 3 H2 ↔ 2 NH3

Il processo di azotofissazione viene condotto da particolari microrganismi procariotici che utilizzano fonti energetiche diverse e sulla base delle quali si distinguono gli azotofissatori liberi e gli azotofissatori simbionti. I primi vivono liberi all’interno del comparto suolo e/o acqua, mentre i secondi si associano con le pianti superiori in uno scambio mutualistico di substrati energetici ed elementi.

Microrganismi azoto fissatori del suolo

Tra gli azotofissatori liberi si distinguono i microrganismi:

  • Fototrofi, cioè microrganismi in grado di utilizzare l’energia luminosa del Sole e di ricavare elettroni dall’acqua o da altri donatori riducenti (e.g., zolfo). In questo gruppo ricadono soprattutto le specie di cianobatteri, di cui sono note le loro capacità di essere autotrofi sia nei confronti del carbonio (fotosintesi) che dell’azoto (fissazione). Si concentrano soprattutto in ambienti acquatici o suoli con particolari condizioni. L’apporto di azoto fissato per ettaro ogni anno si attesta sui 30-70 chilogrammi.
  • Organotrofi, ovvero microrganismi che operano in condizioni di scarsa luminosità e degradano i composti organici (e.g., carboidrati) per produrre potere riducente e ATP, entrambi necessari alla conversione dell’azoto molecolare (n.o. = 0) in ammoniaca (n.o. = -3). Questi microrganismi si concentrano principalmente nella rizosfera, all’interno della quale trovano le condizioni favorevoli, poiché ricca di matrici organiche (e.g., essudati radicali) da poter degradare. L’apporto di azoto da parte di queste comunità microbiche non è elevatissimo, si tratta di pochi chilogrammi di azoto fissato per ettaro ogni anno.

Un ruolo rilevante nel ciclo dell’azoto è, invece, ricoperto dai microrganismi simbionti, tra i quali si fa particolare menzione alla famiglia Rizobiacee che instaurano con le Leguminose un’associazione pianta-microrganismo: i primi forniscono le fonti energetiche (carboidrati) in cambio dell’azoto prodotto sotto forma di ammoniaca dai secondi. Più nello specifico, i rizobi fissano l’azoto all’interno di speciali strutture che si formano a livello radicale e che prendono il nome di noduli. A differenza dei gruppi precedentemente menzionati, questi ultimi sono in grado di produrre notevoli quantità di azoto (ca. 600 chilogrammi per ettaro ogni anno).

Noduli radicali risultanti dalla simbiosi tra una leguminosa e un azoto fissatore (Rhizobium)
Figura 3 – Noduli radicali risultanti dalla simbiosi tra una leguminosa e un azoto fissatore (Rhizobium)

Ammonificazione

Nel suolo l’azoto è presente principalmente in forma organica, come ammina. Il gruppo amminico (-NH2) lo si ritrova principalmente nelle proteine, nei filamenti di DNA ed RNA. L’azoto organico presente nel suolo subisce un processo di degradazione microbica, nota come mineralizzazione, che che può avvenire nell’arco di poche settimane a molti anni in funzione della stabilità del materiale organico di partenza.

Le proteine, per azione degli enzimi prodotti dai microrganismi, sono scomposte e degradate in elementi più semplici come peptidi e amminoacidi, fino ad arrivare alla liberazione di molecole di ammoniaca (NH3). Pertanto, le proteasi e le peptidasi extracellulari degradano le proteine dapprima in peptidi e poi in amminoacidi, rispettivamente. A questo punto entra in gioco l’ultima fase: l’ammonificazione, che altro non è che una deaminazione secondo cui l’azoto viene strappato via dallo scheletro carbonioso sotto forma di NH3. In seguito, quest’ultimo acquista un protone (H+) convertendosi in ione ammonio (NH4+).

L’NH4+, liberato dai processi di ammonificazione, può essere:

  • adsorbito dalle superfici dei colloidi del suolo;
  • utilizzato dai microrganismi eterotrofi per la decomposizione della sostanza organica;
  • convertito biologicamente in nitriti e nitrati secondo la fase di nitrificazione.
Reazioni in gioco nel processo di mineralizzazione e ammonificicazione di una proteina generica
Figura 4 – Reazioni in gioco nel processo di mineralizzazione e ammonificicazione di una proteina generica

Nitrificazione

Percorrendo il ciclo dell’azoto, la fase successiva all’ammonificazione è la nitrificazione, reazione di ossidazione biologica dell’ammoniaca in nitrato. La reazione è operata da due gruppi batterici chemiolitotrofi al fine di recuperare energia dalla conversione dell’ammonio in nitrito (NO2) e dall’ulteriore ossidazione di quest’ultimo a nitrato (NO3).

Pertanto, la nitrificazione si compone essenzialmente di due reazioni, ognuna operata da particolari microrganismi:

  • ammonio ossidasi, secondo cui l’NH4+ è convertito in NO2 ad opera dei batteri nitrosanti appartenenti ai generi Nitrosospira, Nitrosomonas, Nitrococcus. La reazione di ossidazione dell’NH3 in NO2 avviene successivamente alla formazione di idrossilammina (NH2OH);

NH3 + O2 + 2 H+ → NH2OH + H2O → HNO2 +4 H+ + 4 e

Ossidazione dell'ammoniaca in nitrito e flusso degli elettroni nei batteri ammonio ossidanti
Figura 5 – Ossidazione dell’ammoniaca in nitrito e flusso degli elettroni nei batteri ammonio ossidanti
  • nitrito ossidasi reazione che comporta la conversione dell’NO2 in NO3 condotta dai batteri nitrificanti dei generi Nitrococcus, Nitrospina, Nitrospira, Nitrobacter.

NO2 + H2O → NO3 + 2 H+ + 2 e

Ossidazione del nitrito a nitrato nei nitrito ossidanti
Figura 6 – Ossidazione del nitrito a nitrato nei nitrito ossidanti

Entrambe le reazioni sono operate dai microrganismi al fine di ricavare energia. Infatti, gli elettroni prodotti dalle due reazioni saranno impiegati per ridurre le moli di ossigeno in acqua, liberando in questo modo protoni che saranno poi estrusi dalla cellula. Queste dinamiche comportano la formazione di una forza proton-motrice che azione l’ATPasi, che introduce protoni all’interno producendo così energia sotto forma di ATP.

Riduzione assimilativa e dissimilativa del nitrato

Un altro passaggio fondamentale all’interno del ciclo dell’azoto è la riduzione del nitrato, che può espletarsi in due diverse modalità:

  • riduzione assimilativa;
  • riduzione dissimilativa.

La riduzione assimilativa è un processo biologico attraverso cui le piante assorbono il nitrato, presente all’interno della soluzione circolante del suolo, al fine di sintetizzare molecole organiche (e.g., proteine, enzimi, amminoacidi). Dal punto di vista chimico, la riduzione assimilativa del nitrato non è altro che il percorso inverso precedentemente descritto. La pianta, infatti, riduce il nitrato a nitrito e quest’ultimo in ammonio attraverso l’azione di specifici enzimi: nitrato reduttasi e nitrito reduttasi, rispettivamente. L’ammonio prodotto viene successivamente organicato a formare le macro-molecole che costituiranno le cellule vegetali.

Contrariamente, la riduzione dissimilativa non prevede come scopo ultimo l’organicazione dell’azoto per la biosintesi di macro-molecole, bensì comporta la perdita di azoto presente nel suolo sotto forma di molecola gassosa che si riversa nell’atmosfera. La riduzione dissimilativa consta di tre fasi di riduzione dell’azoto:

  • riduzione del nitrato a nitrito (respirazione del nitrato);
  • riduzione del nitrito ad ammonio;
  • denitrificazione.

Ciò avviene in particolari condizioni ambientali in cui vi è scarsità di ossigeno (e.g., suoli paludosi) dove il nitrato funge da accettore finale di elettroni nella catena di respirazione microbica (soprattutto appartenenti al genere Pseudomonas). Pertanto, il nitrato viene ridotto a nitrito e quest’ultimo in ossidi di azoto (NO, N2O). Diversi studi suggeriscono che la riduzione del nitrito ad ossidi di azoto sia prettamente legato ad un’azione di detossificazione dell’ambiente, data la sua nocività. L’ultima fase del processo è la denitrificazione che porta alla formazione di azoto molecolare (N2), chiudendo difatti il cerchio.

Processo di denitrificazione del nitrato
Figura 7 – Processo di denitrificazione del nitrato

Fonti: