La fermentazione in campo alimentare è da sempre foriera di notevoli effetti benefici, molti dei quali ancora sconosciuti. I cibi fermentati dall’azione di batteri lattici, si scopre, comunicano con il sistema immunitario umano ed hanno guidato la nostra evoluzione.
Alimenti senescenti oggi detti “fermentati”
Durante la lunghissima storia umana non sono mancati periodi di carestia e ristrettezze alimentari che ci hanno plasmato l’organismo e le capacità metaboliche.
Spesso condizioni ambientali sfavorevoli hanno, infatti, indotto l’uomo a nutrirsi di alimenti quasi guasti in cui le proliferazioni microbiche avevano già cominciato i propri processi degradativi, definiti Fermentazione.
La fermentazione è un processo atto, principalmente, a liberare energia dalle molecole di zucchero presenti nell’alimento o nella materia organica in genere.
A livello chimico, tale processo trasformativo serve a rendere utilizzabile l’energia contenuta nello zucchero (glucosio) da parte di lieviti e batteri o da singoli enzimi in organismi complessi.
La nostra, una evoluzione “assistita”
L’interazione tra microbiota intestinale ed ospite umano è fisiologicamente cruciale, in salute ed in malattia.
Gli effetti benefici dei batteri lattici (LAB), che colonizzano permanentemente l’intestino umano o che sono acquisiti transitoriamente con i cibi ingeriti, sono ampiamente riconosciuti.
Tuttavia, la comprensione del meccanismo molecolare che consente ai LAB di modulare le risposte del nostro sistema immunitario -e non solo- è ancora limitata.
Metaboliti dei cibi fermentati e recettori “esclusivi”
Acidi grassi a catena corta (SCFAs) e Lattato sono noti metaboliti dei LAB che hanno mostrato giocare un ruolo fondamentale nel mantenimento di una barriera intestinale funzionante.
Gli acidi grassi, infatti, possono indurre nell’ospite l’attivazione di specifici recettori accoppiati a proteine di membrana, dette proteine G.
Essi sono espressi e quindi presenti nelle cellule immunitarie della mucosa intestinale e nelle cellule epiteliali intestinali.
Le proteine G sono, invece, molecole immerse nella membrana cellulare e sporgenti dal lato interno, in grado di trasmette segnali ormonali nella cellula.
Tali proteine sono, dunque, molecole di accoppiamento di segnali.
I recettori accoppiati ad esse sono responsabili della regolazione delle funzioni immunitarie e dell’omeostasi energetica dell’organismo.
Si tratta, in particolare, dei recettori cellulari per gli acidi idrossicarbossilici (HCAR) e sono coinvolti nei mutamenti delle condizioni metaboliche e dietetiche dei primi ominidi.
Molti mammiferi possiedono due isoforme dei suddetti recettori, ovvero HCA-1 e HCA-2, ma solo gli umani e i primati ne contengono anche un terzo tipo: HCA-3.
Nei fermentati si gioca l’orientamento del nostro metabolismo lipidico
I recettori di tipo HCA-1 sono attivati dal legame con una molecola di Lattato, mentre i recettori di tipo HCA-2 sono stimolati dal legame con molecole chetoniche endogene di D-3-Idrossibutirrato e Butirrato.
Entrambi i recettori mediano un effetto anti-lipolitico, a favore, quindi, della conservazione dell’energia di riserva nella sua forma più concentrata: i grassi, nelle cellule del tessuto adiposo.
Inoltre, i recettori HAC-2 sono espressi anche negli enterociti (cellule intestinali), colonociti (cellule del colon) e molti tipi di cellule immunitarie, come neutrofili e macrofagi, con effetti anti-infiammatori.
Il terzo tipo di recettore, HCA-3, è stato identificato solo di recente nel corredo cellulare umano.
Esso risulta attivato dal legame con diverse sostanze, che inducono diverse risposte dell’organismo.
Digiuno. Il blocco conservativo dei “beni lipidici”
Un particolare acido grasso, il 3-Idrossioctanoato (3OH), legandosi ai recettori HAC-3 determina effetti di anti-lipolisi in condizioni di digiuno.
Quindi, questo legame “ligando-recettore” rafforza lo scopo di conservazione energetica estrema, impedendo al corpo di intaccare le proprie riserve grasse, quando l’organismo percepisce la carenza totale di cibo.
Il digiuno totale è proprio il meccanismo più rischioso nelle diete fai-da-te, per questo congegno biochimico di “blocco del grasso”, senza possibilità di smaltirlo, ma anzi conservandolo più strenuamente.
Batteri fornitori dei nostri armamenti immunitari
Ma i recettori HAC-3 sono risultati attivati anche da D-aminoacidi aromatici, in particolare D-Fenilalanina e D-Triptofano.
Essi sono presenti in tessuti e fluidi corporei in concentrazioni micromolari.
Sono, inoltre, prodotti in abbondanza da una serie di ceppi batterici che ospitiamo: Acetobacter, Bifidobacterium, Brevibacterium, Lactobacillus, Micrococcus, Propionobacterium, Streptococcus.
L’effetto di tale legame tra recettore e aminoacidi aromatici è un responso chemiotattico, di richiamo e migrazione per i neutrofili umani, in sede di processo infiammatorio.
Alimenti fermentati: fonti supreme di modulatori immunitari
I batteri lattici producono molecole strutturalmente correlate sia a D-3-Idrossioctanoato, sia alla D-Fenilalanina: 3-Idrossidecanoato e, soprattutto, Acido D-Fenil-Lattico (D-PLA).
Il PLA è stato isolato in concentrazioni micromolari nei cibi fermentati come i crauti, in cui sono state anche riscontrate associazioni microbiche stabili nel tempo.
Pressione selettiva ed aumentata tolleranza alcolica. Vere spinte evoluzionistiche
Dalla combinazione di analisi evoluzionistiche e saggi funzionali, i ricercatori guidati da Claudia Stäubert hanno scoperto che il D-PLA sia il più potente attivatore dei recettori umani HAC-3, regolatori delle nostre funzioni immunitarie.
L’interpretazione evoluzionistica, quindi, che ne è emersa ha suggerito che la conservazione di tale tipo di recettore, dagli ominidi agli esseri umani, sia derivata dalla necessità di far fronte ad un nuovo repertorio alimentare in mutate condizioni ecologiche.
Quando l’evoluzione è pronta compaiono i cambiamenti ambientali
Sembra proprio questo, infatti, il principio -traslato da un proverbio giapponese- su cui si è articolata la diramazione evolutiva che ci ha distinto dai primati.
Dieci milioni di anni fa, una mutazione del gene codificante per l’enzima Alcol Deidrogenasi (ADH), ha consentito ad alcuni esemplari di primati di tollerare meglio l’alcol.
Gli alcoli, infatti, come specie chimiche, sono molecole potenzialmente molto nocive e richiedono un adeguato processo di detossificazione.
Carrigan e colleghi hanno affermato che, a seguito di tale mutazione a favore della tolleranza alcolica, i frutti colti direttamente dagli alberi siano risultati meno gradevoli, spingendo, alcuni dei nostri antenati, a scendere dai rami per raccogliere quelli caduti a terra.
I frutti già al suolo avevano, infatti, una maggiore gradazione alcolica a causa dei processi fermentativi dovuti alla senescenza e ai batteri lattici ambientali.
Di necessità… molte virtù
Questa risulterebbe, dunque, la pressione selettiva sui gusti e sulla capacità metabolica che avrebbe indotto il consumo di cibi fermentati, ben prima della voluta e gestita fermentazione alimentare umana.
In quell’ancestrale contesto, non solo la migliore attività etanol-metabolica deve aver fornito un vantaggio selettivo naturale ad alcuni individui.
A proteggere e rafforzare gli individui “evolventi” ci ha pensato anche il loro sistema immunitario, ben regolato dal legame tra recettore “esclusivo” HAC-3 e D-PLA.
Il D-PLA veniva, infatti, introdotto proprio ingerendo i nuovi cibi fermentati dai batteri lattici: frutti, piante, pesce, carne, latte.
A volte, cambiare gusti può salvare la vita o crearne una nuova.
Riferimenti bibliografici
- https://journals.plos.org/plosgenetics/article?id=10.1371%2Fjournal.pgen.1008145&fbclid=IwAR3nhEu0W3DzXlgkjqggHH_eF1XFLf9Rw21syoWRz8p5iwG5ANS164vzB9w#pgen.1008145.ref008
- https://www.microbiologiaitalia.it/2019/03/23/amidi-resistenti-sano-microbiota-e-perdita-peso/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26925050
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- https://www.riben.it/2019/05/09/aminoacidi-ramificati-quello-che-sportivi-e-vigoressici-non-sanno/