Cos’è il biorisanamento
Il biorisanamento è conosciuto in tutto il mondo con il termine inglese di “bioremediation”. Quest’ultimo è un modo per rimediare all’inquinamento ambientale che l’uomo provoca. Per riparare ad un tale danno ci vengono in aiuto piante e microorganismi, che possono ridurre le sostanze dannose da noi rilasciate volontariamente o accidentalmente. Negli anni, ad esempio, si sono verificati ingenti sversamenti di petrolio, i quali hanno causato l’intossicazione di diverse specie animali, vegetali e microbiche (Figura 1).
Ci sono alcune perdite accidentali di petrolio che hanno fatto la storia dei disastri ambientali; basti pensare a quella del 1978 a carico della nave Amoco Cadiz. Questa, all’epoca dei fatti, ha causato la contaminazione di gran parte della costa francese, provocando la morte di tantissimi esseri viventi. Un incidente più recente, invece, è quello del 2010. In tal caso la rottura della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha provocato danni anche più gravi di quello del ’78. In tutti i casi non parliamo mai solo di perdita ambientale, ma anche di ingente perdita economica.
Tecniche utilizzate sino ad ora per ridurre il petrolio nell’ambiente
Prima di valutare l’uso di microorganismi come possibile soluzione, i ricercatori hanno intrapreso altre strade, quali:
- Lo spostamento della parte di terreno contaminata;
- Bruciare il petrolio;
- Usare sostanze ossidanti per eliminarlo.
Tutte queste soluzioni sono accomunate dal fatto che provochino degli effetti secondari negativi. Nel primo caso, infatti, muovendo il suolo, il danno potrebbe espandersi in altre zone non ancora intaccate sino a quel momento. Nel secondo caso, bruciare il petrolio vuol dire produrre CO2. Questa danneggerà l’aria e chiaramente tutti coloro che la respireranno. Nel terzo caso, aggiungere sostanze ossidanti vuol dire alterare l’apporto di contenuti che normalmente sono in equilibrio all’interno del terreno.
Il ruolo dei batteri nel biorisanamento
A questo punto, però, ci si potrebbe chiedere: visto che i danni sono tanto importanti, quanto grandi, come fanno degli esseri viventi invisibili all’occhio umano a porvi rimedio? La risposta è semplice. Alcuni batteri hanno delle caratteristiche genetiche capaci di attivare specifici meccanismi cellulari. In particolar modo, questi ultimi sono in grado di degradare gli idrocarburi che compongono il petrolio, riducendone il contenuto sversato (Figura 2). Inoltre, i microorganismi sono parte integrante dell’ambiente, per cui usandoli non si andrebbe ad alterare l’equilibrio naturale. Più specificamente, numerose colture batteriche quali Achromobacter, Pseudomonas, Dehalococcoides, Rhodococcus e Sphingomonas sono in grado di alterare le miscele tossiche presenti nelle diverse matrici e di ridurne il contenuto. Essi producono enzimi catalitici che sono in grado di trasformare le sostanze dannose in molecole più semplici ed incapaci di accumularsi.
Uso di microorganismi geneticamente modificati
Gli studi condotti sino ad ora, hanno dimostrato che non sempre i batteri presenti nelle aree dello sversamento hanno i caratteri genetici necessari ad essere protagonisti del biorisanamento. In più, hanno anche rivelato che inserendo specie non autoctone, nonostante abbiano il pool genetico necessario, queste non sopravvivono a causa della competizione con altri ceppi. Per questa ragione molti scienziati hanno valutato l’opzione dei batteri ingegnerizzati (Figura 3).
Tra i vari ceppi, uno di quelli maggiormente utilizzati a scopo di ricerca è Escherichia coli. Questo è un batterio Gram-negativo, scoperto originariamente nel colon umano da Theodor Escherich, da cui il nome. E. coli può essere definito un po’ il cavallo di battaglia dei laboratori di biologia molecolare ed uno dei microorganismi maggiormente usati dalle industrie. Esso ha tutta una serie di caratteri che sicuramente lo rendono più utilizzabile rispetto ad altri. Ad esempio, è noto che cresce rapidamente, in semplici condizioni di coltura ed ha plasticità metabolica. Inoltre, viene usato come ospite per la produzione industriale di diverse sostanze. Chiaro è, però, che come nel caso di tutti i microorganismi, usarlo può avere i suoi svantaggi. Infatti, non è adatto a crescere in colture a pH troppo elevato, ne troppo basso; non è adatto a crescere li dove le temperature sono eccessivamente alte.
Le recenti scoperte
Durante la loro sperimentazione, Katherine E. French ed i suoi colleghi hanno modificato geneticamente ceppi di E. coli. In questo modo il batterio ha acquisito un vettore caratterizzato da una sovra espressione di geni che inducono alla produzione di enzimi utili alla degradazione degli idrocarburi. A questo punto, E. coli così modificato, è stato inoculato all’interno del terreno inquinato (Figura 4). Dopo 5 giorni questi ceppi modificati sono morti, a causa della competizione con le altre specie. Prima di morire, però, E. coli è riuscito a passare il suo DNA, tramite trasferimento orizzontale, a specie batteriche autoctone. Per tale ragione, questi ultimi hanno acquisito i tratti genetici che gli hanno permesso di intervenire nell’area contaminata. Infatti, al termine dell’esperimento la presenza di petrolio si è rivelata ridotta del quasi 50%.
Futuri usi dei batteri per il biorisanamento
La scoperta è davvero importante e i dati ci permettono di pensare in positivo. Nel mondo della scienza, però, qualcuno ha già dato parere contrario a questo tipo di risoluzione. Il problema sono gli effetti che questi batteri geneticamente evoluti possono avere nel lungo termine.
Tocca, quindi, fare ulteriori studi. Bisogna capire se, nel tempo, questi microorganismi possono risultare dannosi per le dinamiche ambientali. Lo scopo finale di questa ricerca è quello di usare queste risorse eco-sostenibili per riparare ai danni causati dagli sversamenti di petrolio.
Fonti:
- S. Gouma et al. (2014). Microbial biodegradation and bioremediation. Elsevier, pp. 301-323 https://doi.org/10.1016/B978-0-12-800021-2.00013-3
- K. E. French et al. (2020) Horizontal ‘gene drives’ harness indigenous bacteria for bioremediation. Sci Rep 10, 15091 https://doi.org/10.1038/s41598-020-72138-9
- https://www.britannica.com/list/9-of-the-biggest-oil-spills-in-history
- L. Bilal et al. (2020). Microbial bioremediation as a robust process to mitigate pollutants of environmental concern. Elsevier, Volume 2, 100011 https://doi.org/10.1016/j.cscee.2020.100011
- S. Pontrelli et al. (2018). Escherichia coli as a host for metabolic engineering. Elsevier, Volume 50, pp 16-46 https://doi.org/10.1016/j.ymben.2018.04.008
Crediti delle immagini:
- https://microbenotes.com/bioremediation/
- http://www.bmscience.net/blog/impatto-ambientale-del-petrolio-e-del-metano/
- https://academicjournals.org/journal/AJB/article-full-text/C80954248836
- https://www.nature.com/articles/s41598-020-72138-9#citeas
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2666016420300098