Biomasse: il potenziale della loro conversione

Le biomasse costituiscono materiali che originano da varie fonti e possono essere sfruttate dall’uomo per scopi energetici.

Gli esempi più classici di biomassa sono i prodotti della coltivazione, il legno, l’olio esausto, i rifiuti organici di animali, umani e molto altro.

Questi substrati possono essere usati per ottenere energia elettrica o termica. Ciò si verifica tramite processi termochimici, che usano calore per trasformare la biomassa in energia, oppure, processi biologici, che, a tal proposito, si servono dell’attività metabolica dei microorganismi.

Processi di conversione di biomassa

Biogas

Ad oggi, uno dei processi più importanti di conversione di biomassa è quello di formazione del biogas, cioè la formazione di metano a partire dai batteri metanogeni.

In particolare, il biogas è una miscela di gas a composizione variabile, costituito principalmente da metano e CO2.

Specificamente, nel processo di formazione del biogas i microorganismi principalmente coinvolti sono: firmicutes, bacteroidetes, proteobacteria ed euryarchaeota.

Tale processo si suddivide in tre passaggi:

  1. Inizialmente, i batteri fermentativi idrolizzano la biomassa al fine di ottenere monomeri semplici a partire da polimeri complessi. In questo processo intervengono batteri capaci di sintetizzare enzimi idrolitici, come bacillus e clostridium;
  2. Successivamente, i composti organici formati in precedenza vanno a costituire fonte di carbonio ed energia per i batteri acidogeni, come lactobacillus, che formano acidi organici a catena corta. Quindi, a partire da questi composti i batteri acetogeni (ad esempio Clostridium acetum) generano acetato, idrogeno e CO2;
  3. Infine, l’acetato, l’idrogeno e la CO2 vengono utilizzati dai metanogeni per produrre metano.

Bioplastiche

Le bioplastiche sono nuovi materiali biodegradabili nati dalla necessità di limitare la produzione della plastica.

Nella fattispecie, il termine plastica è attribuito ad una moltitudine di materiali che durante i passaggi della loro produzione possono essere plasmati.

Specificamente, le plastiche sintetiche derivano da processi di polimerizzazione di monomeri provenienti da petrolio o gas con l’aggiunta di vari additivi chimici.

Il petrolio viene inizialmente estratto, poi raffinato. Quindi, le molecole ottenute vengono rotte in molecole più piccole (etilene e propilene) e solo alla fine saranno polimerizzate in polietilene o polipropilene. Essi diventano prima pellet e poi segue il processo di modellazione.

Le plastiche presentano peculiarità distintive, caratterizzabili sulla base di:

  • origine: può essere naturale o sintetica;
  • molding: cioè la capacità di essere o meno modellabile. Per cui le distinguiamo in termoplastiche (modellabili e riciclabili) e termosetting;
  • monomeri: le plastiche possono essere caratterizzate dagli stessi monomeri o da monomeri differenti, quindi possono essere omopolimeri o copolimeri.

Impatto ambientale

Le conseguenze ambientali sono causate principalmente dall’accumulo di rifiuti plastici e dai residui che formano microplastiche e nanoplastiche, entrate ormai anche nella catena alimentare.

Difatti, si stima che nell’oceano Pacifico entro il 2100 ci saranno più microplastiche che pesci.

Isola di plastica nel Pacifico
Figura 1 – isola di plastica nel Pacifico [credits: anteritalia.org]

La gravità della situazione è tale che quando mangiamo animali marini, oltre alle microplastiche, ingeriamo anche tutti gli additivi associati ad esse.

Smaltimento delle plastiche

Tra i metodi principali di smaltimento dei rifiuti plastici ci sono le discariche, l’incenerimento e il riciclo meccanico.

In particolare, le prime due soluzioni, data la grande quantità di plastica e l’emissione di gas tossici, sono state accantonate.

Invece, il riciclo è il metodo più indicato. Tuttavia, dopo un certo numero di ricicli la qualità della plastica decresce.

Quindi, si pensa ad un riciclo chimico che però ha costi elevatissimi. A tal proposito, ci viene in aiuto il metodo del biorisanamento.

Difatti, alcuni microorganismi sono in grado di degradare le plastiche. In particolare, questi batteri secernono enzimi depolimerasi che scindono i polimeri in monomeri.

Questi monomeri possono essere utilizzati dai suddetti batteri come fonte di carbonio per produrre energia, per poi essere ridistribuiti come azoto, carbonio o zolfo.

In questo processo possono formarsi anche prodotti secondari come CO2 o metano.

Sintesi di bioplastiche

Il problema dell’accumulo di plastiche può essere risolto a monte attraverso la produzione di bioplastiche.

Le plastiche biodegradabili sono di tre tipi:

  • fotobiodegradabili: sono caratterizzate dalla presenza di gruppi fotosensibili e quando vengono colpite dagli UV la loro struttura polimerica si rompe e diventa accessibile ai microorganismi;
  • semibiodegradabili: presentano delle unità di amido che diventano disponibili ai microorganismi che utilizzano l’amido;
  • biodegradabili: derivano dalla capacità di alcuni batteri di formare biopolimeri come PHA, PLA, poliesteri alifatici, polisaccaridi o polimeri.

In particolare, i polidrossialcanoati (PHA) sono una classe di poliesteri prodotti da un elevato numero di batteri nel loro citoplasma.

I PHA
Figura 2- i PHA [credits:bio-on.it]

Essi costituiscono una forma di energia sotto forma di granuli di carbonio.

Affinché possano essere prodotti deve esserci una situazione di stress caratterizzata da eccesso di carbonio e una carenza di azoto, fosforo, zolfo, ossigeno o magnesio.

Una volta accumulati, i PHA sono degradati da depolimerasi e metabolizzati come fonte di carbonio finché resta la carenza di uno degli elementi sopracitati.

Un particolare tipo di PHA è il PH3B, cioè il poliidrossibutirrato. La sua biosintesi prevede tre step:

  1. condensazione di due molecole di acetilCoA ad acetoacetilCoA ad opera della β-chetotiolasi;
  2. quindi, l’acetoacetilCoA viene ridotto a 3-poliidrossibutirrilCoA ad opera di acetoacetilCoA riduttasi;
  3. Infine, vi è la sintesi di PH3B ad opera di PHB polimerasi.

A questo punto, accumulatosi nel citoplasma del microorganismo produttore, i PHA sono recuperati per l’estrazione del polimero che sarà trattato per ottenere il pellet.

In particolare, i PHA derivanti da questo processo appaiono cristallini e flessibili, ma sono modellabili ad alte temperature e pressioni, per cui sono anche riciclabili.

Il vero problema delle bioplastiche è l’elevato costo di produzione, per questo si sta pensando a fonti di carbonio economiche per renderle più accessibili alle aziende.

Biofertilizzanti

L’uso di fertilizzanti chimici nasce come bisogno di aggiungere azoto fissato nel terreno per far crescere le piante (poiché senza il loro utilizzo le piante produrrebbero cibo solo per quattro milioni di persone).

Lo sviluppo di fertilizzanti ebbe inizio con Bosch e Haber che sintetizzarono ammoniaca a partire dall’azoto atmosferico, processo ad oggi ancora enormemente utilizzato.

Specificamente, i fertilizzanti sono prodotti che servono a migliorare la performance di un terreno e possono essere di origine naturale o sintetica.

Sono ottenuti da processi chimici di estrazione e gli elementi che li compongono si classificano in: primari, secondari e terziari a seconda delle quantità. Gli elementi più presenti (primari) sono: azoto, fosforo e potassio.

I fertilizzanti si dividono in tre categorie:

  1. concimi: arricchiscono la terra con sostanze nutritive;
  2. pesticidi: eliminano parassiti ed altri esseri viventi;
  3. correttivi: ristabiliscono il pH del suolo.

Il principale problema di questi composti è che la metà dell’azoto contenuto in essi non viene assorbito dalle piante, ma si disperde in acqua e in aria costituendo fonte di inquinamento per l’ambiente e rischio per la salute umana.

Pesticidi

Tra i pesticidi, distinguiamo: gli organofsforici, i carbammati, gli organoclorurati ed i pesticidi permanenti.

In particolare, le prime due tipologie inibiscono l’attività dell’acetilcolina esterasi, determinando: salivazione, lacrimazione e debolezza.

Invece, gli organoclorurati (come il DDT) agiscono sulla permeabilità dello ione potassio ed i pesticidi permanenti contenenti mercurio, piombo ed arsenico sono i più dannosi per la salute.

Una valida alternativa ai fertilizzanti chimici sono i rhizobacteria, batteri che agiscono in maniera simbiontica con le piante e ne favoriscono la crescita.

Specificamente, un biofertilizzante è un prodotto che contiene microbi vivi o dormienti che possono aiutare la pianta a crescere attraverso meccanismi di azoto fissazione, solubilizzazione del fosfato e altri meccanismi.

Questi batteri si trovano all’interno della rizosfera, una ristretta zona di terreno che accoglie l’apparato radicale della pianta ed è colonizzata da un’ampia gamma di microorganismi che prende il nome di PGPR.

Nello specifico, questi sono distinti in:

  • PGPR extracellulari: si trovano nella rizosfera o nel rizoplano (suolo superficiale) e sono rappresentati da bacillus e pseudomonas;
  • PGPR intracellulari: si trovano nei noduli radicali delle piante, come ad esempio rhizobium.

In particolare, un ceppo è considerato PGPR se presenta determinate caratteristiche, ovvero:

  • competenza per la rizosfera;
  • colonizzatore di radici;
  • promotore di crescita;
  • ampio spettro di azione;
  • resistenza al calore, essiccazione ed altri stress
  • capacità di vivere con altri batteri.

In base alle loro caratteristiche e capacità di azione sono classificati in quattro categorie: biofertilizzanti, fitostimolatori, rizomediatori e biopesticidi.

I meccanismi dei PGPR possono essere diretti, come la fissazione dell’azoto, la solubilizzazione del fosfato o la produzione di fitoregolatori e siderofori, o indiretti come la produzione di enzimi litici, antibiotici o il rilascio di metaboliti secondari.

Controversie

Ciononostante, i PGPR non sostituiscono del tutto i fertilizzanti chimici perché hanno dei vincoli, tra i quali:

  • non mostrano un ampio spettro d’azione;
  • non sempre sostituiscono ceppi dannosi per la rizosfera senza diventare antagonisti di quelli non dannosi;
  • devono sopravvivere in suoli sottoposti a diversi stress, cosa molto difficile;
  • la loro produzione e trasporto è difficile, poiché per agire devono essere vivi;
  • i vincoli legislativi, l’uso abitudinario di fertilizzanti chimici e il marketing rappresentano vincoli finanziari.

Concludendo, le biomasse costituiscono un importante risorsa in campo ecologico e in quello delle energie rinnovabili, dove rappresentano una fonte di energia biotica e rinnovabile.

Giovanna Spinosa

Fonti

  • https://www.scielo.br/j/qn/a/L6Pd3ZKdPqc4pZ4TQn5RyQy/?format=pdf&lang=pt;
  • https://arpi.unipi.it/handle/11568/800410#.YWQadhpBzIU;
  • http://crpalab.crpa.it/media/documents/crpa_www/Progetti/Seq-Cure/Candolo1.pdf.

Crediti delle immagini

  • Figura 1: https://anteritalia.org/continente-plastica-nell-oceano-pacifico-segreto-dellisola-ce/;
  • Figura 2: http://www.bio-on.it/what.php.

Foto dell'autore

Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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