Biofilm: batterico Velo di Maya, ancora da squarciare

L’irraggiungibilità, per l’uomo, della realtà in sé, ovvero della kantiana «isola [..] terra della verità», è da sempre il punto di fuga, il fuoco, di molte prospettive filosofiche. Ma quel che uno studio tedesco, appena pubblicato, rileva è la sfuggevolezza, alla comprensione, di una mera microbica realtà fenomenica: la genesi del biofilm, in ceppi di Staphylococcus xylosus. L’agente biochimico essenziale, in tale processo, è infatti ancora sotto il Velo di Maya.

Dal Velo al biofilm, a lume d’ingegno

Da Kant a Schopenhauer, il «fenomeno» ha descritto una parabola discendente, di delegittimazione, si direbbe: da unica realtà accessibile all’uomo, a pura illusione (figura 1), parvenza; come inteso nelle filosofie orientali, da cui l’Occidente ha attinto ragioni per i propri turbamenti gnoseologici.

Biofilm: batterico Velo di Maya, ancora da squarciare.
Figura 1 – Arthur Bowen Davies, «Maya, lo specchio delle illusioni», 1910.
Fonte [wikipedia]

Māyā, il sanscrito del «distribuire», del «forgiare», è il potere della creazione del materiale: e da esso, mago, magia, a stillare nel nostro mondo delle idee. Come un lenzuolo, disteso su un mobile, e su tutti i suoi ninnoli, in una casa dismessa, protegge e cela, e al contempo plasma un’apparenza nuova e falsata, di ciò che sottende, così, allo stesso modo, il Velo di Maya altera il Vero.

E sul filo del conforme, viaggiano l’aspetto e la funzione di una prodigiosa matrice batterica, che sviluppandosi bidimensionale ha vocazione di pellicola, film. Biofilm.

Impasto organico di persistenza e contiguità, di unione che fa la forza, il biofilm è frutto delle capacità biochimiche, di un batterico circuito resistivo. Comune a molti ceppi batterici, esso è sostanza che, in forza dei suoi polisaccaridi, di proteine, acidi nucleici e lipidi, protegge le cellule batteriche, da cui origina e che crescendo anche abbraccia e include, dai moti di eradicazione immunologici o farmacologici.

Staphylococcus sp. ed il suo biofilm batterico

Il genere stafilococcico, in particolare, si fa tristemente ricordare per la sua perniciosità patogenetica, dovuta ad una portentosa adesività alle superfici, che lo stesso si estende a colonizzare, a mezzo biofilm: e l’accumulo di cellule batteriche, che ne deriva, arrangia poi una struttura clusterizzata pluristratificata. Il suo marchio biochimico distintivo, è una componente amorfa viscosa, nota come PIA (adesina polisaccaridica intercellulare): polisaccaride dunque ad unità di N-acetilglucosamina, tra loro strette da legami β‐1, 6-, e con residui parzialmente deacetilati.

Le basi genetiche e molecolari dell’iter generativo del biofilm, sono molteplici e strettamente intrecciate tra loro. Tanto che, eventuali mutazioni, nell’operone ica, che presiede alla regolazione del processo di biosintesi, generano fenotipi pleiotropici. Nelle cellule biofilm-negative, e negative all’emoagglutinazione, si registra naturalmente minore adesività alle superfici idrofile, e minore virulenza. Eppure la sostanza amorfa PIA, non cessa d’essere sintetizzata. Si sa, la conservazione, in natura, di un carattere, rende ragione della sua essenzialità; magari, in meandri metabolici che ancora ci son preclusi. Inaccessibili, per colpa di quella Maya Devi, il cui velo inganna l’occhio e lo spirito.

La natura proteica della matrice: ultimo studio sul biofilm

La composizione biochimica della matrice del biofilm può variare, essendo fondamentalmente un esito di meccanismi metabolici specie-specifici, e grandemente influenzati dall’ambiente di crescita batterico. Se, il biofilm, risulterà qualificabile come proteico, le sue proteine di superficie assurgeranno a fattori salienti di adesione primaria e di maturazione dell’intera struttura collosa. Esse infatti possono, in quel caso, tanto interagire con le strutture esterne delle cellule adiacenti, quanto formare complessi amiloidi, promotori dell’aggregazione cellulare.

Proteine di superficie, note per l’incidenza sul processo di formazione del biofilm sono: FnBPs (proteine leganti la fibronectina), Sas G (proteina G di superficie di S. aureus), e Bap (proteina associata al biofilm). Proprio su quest’ultima si concentrano i saggi di verifica dell’ultimo studio condotto da Carolin J. Schiffer.

Bap: la proteina che genera il biofilm. Oppure no?

Descritta per la prima volta nel 2001 dal gruppo di ricerca Cucarella, la proteina Bap, ad alto peso molecolare, è risultata in grado di mediare aggregazioni multicellulari, non solo in Stafilococchi, ma anche in Enterococchi. Nel ceppo, in particolare, Staphylococcus aureus V329, la Bap compie autoassemblaggio dei suoi peptidi N-terminali, a formare fibre amiloidi; solo in ambiente acido. In tale ceppo, inoltre, ad insidiare la formazione delle maglie polisaccaridiche, oltre ai valori di pH, emergono gli ioni calcio.

Di Staphylococcus xylosus, gram positivo batterio commensale, coagulasi negativo, della pelle dei mammiferi, e starter di fermentazione carnea, studi precedenti hanno solo valutato la presenza o meno del gene bap, codificante per la proteina in esame. Senza però addentrarsi, e far luce, sul ruolo e sul peso che la molecola proteica detenesse nella materializzazione del velo amorfo, protettivo e rafforzante, detto biofilm.

Ipotesi: gene bap difettivo, fenotipo biofilm-negativo. Tesi: proteina Bap essenziale, per formare biofilm.

Il dato di fatto per cui la produzione di biofilm in Staphylococcus xylosus, sia soggetta a logiche specie-specifiche, e che in ceppi recanti geni bap difettivi, si ingenerino fenotipi biofilm negativi, ha suggerito al già citato gruppo di ricerca di Carolin J. Schiffer, la tesi per cui la proteina Bap sia essenziale, ai fini del biofilm. E così, per verificare la tesi, i ricercatori hanno selezionato due ceppi di S. xylosus, TMW 2.1023 e TMW 2.1523, su carne cruda fermentata. Posti quindi in crescita su terreno TSB a 28-37°C, arricchito in glucosio 1% (TSB+), oppure lasciato privo di tale aggiunta glucidica (TSBN).

Si è reso necessario anche un ceppo di E. coli DC 10B, incluso, per esperimenti trasformativi in cui occorre eludere sistemi enzimatici di restrizione di tipo IV. Questo, posto in coltura su terreno LB a 37°C. A tal fine, i ricercatori hanno aggiunto ai mezzi di crescita anche cloramfenicolo: 20 µg/mL su E. coli, 10 µg/mL su S. xylosus.

Manipolazione genica del velo batterico: il doppio scambio allelico crociato

In principio fu l’amplificazione genica in PCR, mediante primers specifici. Al fine di parificare il sistema metagenomico di riferimento, i ricercatori si son riproposti l’impiego dello stesso set di primers per entrambi i ceppi di S. xylosus. E primers, poi, in grado di mappare regioni conservate, quindi significative, del gene. Stabilizzando e normalizzando, così, i futuri risultati di confronto.

Dunque, essi hanno proceduto al legame dei prodotti di amplificazione ad un vettore molecolare, il pIMAY*, gentilmente fornito da A. Gründling, del dipartimento di Microbiologia Molecolare dell’Imperial College di Londra. I costrutti trasformati, all’interno di E. coli DC 10B, son stati trasferiti, con elettroporazione. I buoni esiti, ancora, passati su piastre dotate di cloramfenicolo; ed anche sequenziati, per estrema verifica della corretta integrazione genica. Ecco nato un plasmide. Navicella di trasferimento di geni, da un ceppo all’altro, come ago che trapassi un tessuto naturale, e vi insinui il suo filo sintetico, traditore.

Il plasmide è poi stato isolato con apposito kit, Monarch plasmid DNA miniprep kit (NEB), e trasformato in cellule di S. xylosus elettrocompetenti.

Cronache di laboratorio

I ceppi di S. xylosus sono stati posti in coltura su BHI overnight, quindi diluiti fino ad un valore OD600 di 0.5, in medium base (BM), il giorno seguente. Poi incubazione a 37°C e 200 rpm, per 40 minuti. Le cellule raccolte, dopo lavaggi sequenziali con acqua per due volte, e per due volte con glicerolo 10% a volumi decrescenti (1/10, 1/25), hanno subìto risospensione ad 1/200 volumi di glicerolo 10% e saccarorio 500 mM, quindi elettroporazione.

Infine, 1 µg di plasmidi trasferiti nelle cellule riceventi, risospese subito in 1 mL di BHI e 200 mM di saccarosio. Dopo un’ora a 28°C, semina cellulare su BMI e nuova incubazione a 28°C, per 2 giorni. Prelevate le colonie migliori, i ricercatori hanno condotto la sostituzione allelica, verificandone in ultimo la correttezza in PCR, con idonei primers (bap1F, bap4R).

Mutanti, pH e ioni calcio: come cambia il destino del biofilm

Ricapitolando. Per determinare il grado d’impatto della proteina Bap, sulla formazione di biofilm batterico in S. xylosus, i ricercatori hanno preso in esame le attitudini di 2 ceppi wild-type e di loro mutanti, in 96 saggi su piastra. Condotti su supporti idrofili ed idrofobi, i saggi hanno restituito una notevole riduzione di organizzazione del velo biofilmico, su entrambi i supporti, in S. xylosus TMW 2.1523: solo su terreno privo di zucchero ( TSBN ), quindi privo di pH acido, durante le fasi di crescita. Nessuna differenza nel ceppo TMW 2.1023, quanto a formazione di biofilm, tra wild-type e mutanti per il gene bap (figura 2).

Il calcio: chiave di volta della validità della tesi

Nel tempo, il pH dei ceppi di S. xylosus in terreno arricchito di glucosio, tuttavia, non scende mai sotto il valore di 5.0, limite che promuove la creazione del biofilm, in S. aureus:

  • 5.1 ± 0.2 per TMW 2.1023,
  • 5.0 ± 0.1 per TMW 2.1523.

I ricercatori rendono anche conto di una velocità di acidificazione superiore del mezzo di crescita, per TMW 2.1023, rispetto all’altro ceppo, che collima con una maggiore velocità di crescita.

Saggio di aggregazione cellulare in S. xylosus, e formazione del biofilm. Batterico Velo di Maya, ancora da squarciare.
Figura 2 – Saggio di aggregazione cellulare su S. xylosus TMW 2.1023 (.023), TMW 2.1523 (.523) e corrispondenti mutanti per il gene bap, in crescita per 24 h in TSB+ a 37 °C (200 rpm). Valutazioni contestuali di pH, e degli effetti di CaCl2 20 mM.
Fonte [mdpi].

Il calcio, poi. Aggiunto CaCl2 20 mM ai tubi di coltura, nessun effetto inibente la produzione di biofilm batterico è noto. Ma effetto capitale, il calcio, lo esercita sull’intero impianto epistemologico. Poichè, studi precedenti, danno per assodato che l’addizione del minerale sopprima la creazione di biofilm Bap mediata, è evidente che nel caso in oggetto, dei ceppi di S. xylosus la proteina Bap non abbia affatto ruolo di essenzialità, nella genesi del biofilm. Bap resta, tuttavia, accertato fattore determinante il biofilm in S. aureus, ed S. epidermidis.

Gli inganni di Maya, perchè la ricerca prosegua

Saltato il perno dell’ipotesi, il piano della tesi crolla, ed il concetto rotola verso nuovi, diversi, meccanismi biochimici e biomolecolari, ancora nell’ombra. Il velo, il limite, però è necessario. È necessario ai batteri, se lo rendiamo metafora fisica del biofilm, e di strategia di sopravvivenza microbica. È necessario alle menti della ricerca, se ne accogliamo il senso metafisico, per non dissolvere intenti ed impulsi, e per non sprecare la tensione verso l’intellectus agens, di aristotelica memoria.

In fondo sono i nostri piccoli desideri materiali, compresi i rovelli scientifici, che mandano avanti il mondo. Il mondo manifesto, quello fuori dal Velo di Maya.

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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